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NUOVA BARBARIE

Yale, il politicamente corretto si abbatte sul Rinascimento

L’ateneo americano smetterà di tenere il corso “Introduzione alla storia dell’arte: dal Rinascimento al presente”. L’obiettivo è ripensare la storia dell’arte, introducendo dibattiti sul “genere”, il “colonialismo”, la “classe sociale”. Dopo gli attacchi ideologici contro Cristoforo Colombo e Dante, prosegue così l’erosione delle fondamenta della nostra civiltà.

Attualità 10_02_2020

L’Università di Yale smetterà di tenere uno storico corso introduttivo di indagine sulla storia dell’arte, introdotto all’ateneo americano da prestigiosi professori come Vincent Scully (†2017). Il corso, “Introduzione alla storia dell’arte: dal Rinascimento al presente”, una volta veniva pubblicizzato come una delle eccellenze dell’università.

Si è voluto questo cambiamento per chiudere definitivamente con il passato e accogliere la “richiesta degli studenti” (alcuni) che pretendevano l’abolizione del “canone” occidentale, nel quale gli artisti sono straordinariamente bianchi, etero, europei e maschi. Nella primavera di quest’anno, nelle lezioni finali del corso si cercherà di mettere in discussione l’idea stessa dell’arte occidentale, introducendo dibattiti sul “genere”, il “colonialismo”, la “classe sociale”.

Il professore e preside del Dipartimento di Storia dell’arte, Tim Barringer, ha dichiarato al notiziario universitario che intende dimostrare che un corso sulla storia dell’arte non significa solo arte occidentale e che mettere l’arte europea su un piedistallo è “problematico”.  Invece di questo corso, il Dipartimento di Storia dell’arte offrirà presto una serie di altri insegnamenti, come “Arte e politica”, “La via della seta” e “Luoghi sacri”.

Paradossalmente, a riprova che gli studenti o almeno la stragrande maggioranza di essi rimangono interessati all’introduzione della storia dell’arte sino al Rinascimento, l’iscrizione degli studenti all’ultimo corso (più o meno tradizionale) del professor Barringer è salita alle stelle il semestre scorso,dopo l’annuncio del piano di abolizione da parte del Dipartimento. Dei 700 iscritti, oltre 400 studenti hanno dovuto abbandonare le lezioni pochi giorni fa, per problemi di sicurezza delle aule che possono contenerne solo 300. Una crescita di attenzione studentesca impressionante, dovuta sia al prestigio dell’insegnamento sia alla consapevolezza del fatto che questo sia l’ultimo semestre in cui la storia dell’arte verrà insegnata, seppur con qualche eccezione, secondo i canoni tradizionali.

La direttrice degli studi universitari, Marisa Bass, ha ribadito che “il Dipartimento di Storia dell’arte di Yale è profondamente impegnato a rappresentare la diversità intellettuale dei suoi studenti e della sua facoltà e crediamo che gli insegnamenti introduttivi siano un’opportunità essenziale per continuare a sfidare, ripensare e riscrivere le narrazioni che circondano la storia dell’impegno con l’arte, l’architettura, immagini e oggetti attraverso il tempo e il luogo… non c'è mai stata una sola storia della storia dell’arte”.

La decisione di sbarazzarsi di questo corso di storia dell’arte ricorda la decisione nel 2017 del Dipartimento di Inglese, che volle “decolonizzare” i suoi riferimenti ai “poeti inglesi”. Negli ultimi anni è diventato comune che i piccoli gruppi di studenti si ribellino ai curriculum delle arti liberali perché li sentono troppo concentrati su artisti, autori e pensatori occidentali. Gli studenti del Reed College di Portland, in Oregon, ad esempio, hanno esercitato nel 2018 pressioni sui professori affinché abolissero un corso introduttivo di studi umanistici. In quel caso, gli attivisti hanno richiesto che tutti i testi europei fossero rimossi e sostituiti da libri non europei come una forma di “riparazione per le storie delle persone di colore eliminate per secoli”.

L’abolizione della storia e dunque l’erosione sistematica delle fondamenta civili dell’Occidente prosegue senza sosta. Dallo scorso decennio ad oggi, decine sono le proteste e le censure promosse dalla “sinistra liberale” contro Cristoforo Colombo e le celebrazioni annuali della scoperta dell’America, sostituite con celebrazioni in memoria degli indigeni nativi o dei vichinghi. Persino la Divina Commedia di Dante Alighieri, di cui celebreremo i 700 anni dalla morte nel 2021, è oggetto da dieci anni di una richiesta di abolizione e censura, perché Dante è accusato di essere “offensivo, razzista e discriminatorio” da un’organizzazione per i diritti umani riconosciuta dalle Nazioni Unite.

Siamo di fronte non solo al taglio delle nostre radici religiose, oggi purtroppo alquanto evanescenti nella sfera pubblica, ma anche a un bombardamento chirurgico delle fondamenta su cui poggia l’intera evoluzione occidentale e globale. Abolire Giotto, Masaccio, Brunelleschi e Palladio, cancellare dallo studio e dall’educazione al bello e al vero figure e opere di Michelangelo, Raffaello e Dante dove farà ripiombare la futura (in)civiltà? Non allo straordinario Medioevo, la cui luminosità è stata per secoli oscurata dal pregiudizio del “buio”, bensì alla barbarie. Questo non ci può lasciare indifferenti.

È certamente positivo includere, laddove possibile, più prospettive e garantire che un’educazione alle arti liberali e letterarie non sia esclusivamente focalizzata sull’Europa, ma la diversità per addizione è ampiamente preferibile alla diversità per sottrazione. L’influenza dell’Occidente sugli eventi degli ultimi venti secoli può benissimo essere discussa, ma ciò non significa che non sia né reale, né ampiamente positiva. Il nichilismo del politicamente corretto si evolve sempre più nelle sue forme patologiche di follia suicida. Ma facciamo attenzione perché, con il ritorno alla barbarie, la dignità umana verrà anch’essa completamente abolita e tornerà la legge del più forte.