Xi Jinping detta regole di buon vicinato. Per gli altri
La Cina, unica potenza economica al mondo che cresce anche durante la crisi della pandemia, al forum di Davos si presenta come vincitrice e detta regole di buon vicinato per il futuro delle relazioni internazionali. Regole, però, che valgono solo per gli altri perché la Cina, nell'ultimo anno, le ha già violate praticamente tutte.
Un complottista si chiederebbe “cui prodest?” chi ha guadagnato nella pandemia globale di coronavirus? Paradossalmente, l’unico Paese che ha veramente guadagnato è proprio quello da cui tutto è partito: la Repubblica Popolare Cinese. Xi Jinping, nel suo intervento (in videoconferenza) al Forum Mondiale del Commercio (Wef) ha raccolto i frutti di questa vittoria e ha praticamente dettato le regole del futuro delle relazioni internazionali, soprattutto di quelle con gli Usa dell’amministrazione Biden.
Il Pil cinese cresce poco, rispetto ai suoi standard: il 2,3% annuo. Ma si tratta dell’unica grande economia mondiale che cresce, mentre tutte le altre sono in recessione. La Cina comunista è diventata il primo Paese al mondo meta di investimenti esteri, superando gli Stati Uniti. In parole povere, la strategia cinese ha funzionato bene. Ha minimizzato il problema Covid, grazie ad una censura totale dei media, ha trasmesso l’immagine del primo Paese che ha vinto la pandemia (benché sia tuttora alle prese con un nuovo grande focolaio) e ha suggerito al resto del mondo la strategia (il lockdown) per vincerla in poco tempo. Chiunque abbia adottato il modello cinese, applicandolo su scala nazionale, ha perso. La Cina, che lo ha applicato ad una sola provincia, lo Hubei, con una popolazione di 50 milioni di abitanti su un miliardo e mezzo di cinesi, ha vinto la sfida economica (anche se tuttora non ne conosciamo il costo umano). I frutti si vedono, non è detto che il primato economico cinese sia destinato a durare a lungo, ma intanto Xi ha l’opportunità di presentarsi nel grande salotto del Wef come primo della classe.
Il discorso del presidente cinese può riassumersi come il trionfo del doppiopesismo. Ha invitato ad abbandonare “il pregiudizio ideologico e unirsi in un percorso di coesistenza pacifica, beneficio reciproco e cooperazione a somma positiva”. Ma lo afferma per proteggersi dalle accuse di violazione dei diritti umani, come quelle che, nei giorni scorsi, gli sono state rivolte anche dalla nuova amministrazione Usa. “Non ci sono due soli Paesi al mondo che siano identici. Né due storie, culture o sistemi sociali che siano la stessa cosa. Ogni Paese è unico nella sua storia, cultura e sistema sociale e nessuno è superiore all’altro”. Il sistema sociale cinese prevede anche la repressione, o “sinizzazione” di tutte le religioni, la deportazione e “rieducazione” di più di 1 milione di uiguri per motivi etnici, la completa repressione della libertà di espressione e il controllo capillare di ogni cittadino, ma per Xi “nessuno è superiore all’altro” è un principio che si applica solo nelle relazioni fra Stati. All’interno dello Stato cinese, invece, una maggioranza ideologica ed etnica può considerarsi superiore, evidentemente.
Per Xi, il fatto che sistemi diversi (leggasi: chi rispetta e chi viola i diritti umani) coesistano non è un problema. Invece: “Quel che dovrebbe far suonare un campanello di allarme è l’arroganza, il pregiudizio e il rancore, è il tentativo di imporre una gerarchia nelle civiltà umane e imporre la propria storia, cultura e sistema sociale agli altri”. Xi rivolge la predica a un nemico che non nomina, ma è parso abbastanza chiaro a tutti che stesse parlando degli Usa di Trump e che questi argomenti siano un avvertimento esplicito anche al suo successore Biden. Quel che sfugge, tuttavia, è che proprio i metodi e gli atteggiamenti che il presidente cinese condanna sono quelli che il suo stesso regime impone alle minoranze, all’enclave di Hong Kong e vorrebbe estendere anche a Taiwan (che la Cina considera come una propria “provincia”). L’anno scorso una Legge sulla sicurezza nazionale è stata imposta da Pechino a Hong Kong, senza passare dal consenso locale, gli uiguri sono “rieducati” perché colpevoli di preservare religioni e cultura tradizionali, i fedeli di tutte le religioni devono uniformarsi alla cultura dominante che è, al tempo stesso, confuciana e comunista. In pratica, Xi sta invitando il resto del mondo a tollerare la sua assoluta intolleranza.
Il “multilateralismo” è il concetto più ripetuto nell’intervento del presidente cinese. E’ anche nel titolo del suo intervento. Senza temere alcun contraddittorio, Xi invita a “continuare ad obbedire alla legge internazionale, alle regole internazionali, invece di cercare la propria supremazia. Gli antichi cinesi credevano che la legge fosse il fondamento primo del governo. Il governo internazionale deve essere basato sulle regole e sul consenso raggiunto fra noi, non sull’ordine imposto da uno o da pochi”. Il tutto detto dal capo di uno Stato che ha appena violato gli accordi con il Regno Unito sullo status autonomo di Hong Kong.
Il tipo di multilateralismo desiderato da Xi è nel potenziamento delle organizzazioni e delle agenzie internazionali. La prima che cita, non a caso è l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Non a caso, non solo perché siamo ancora in periodo di pandemia, ma perché ormai è chiaro il legame strettissimo fra i vertici dell’Oms, a partire dal direttore Ghebreyesus e gli interessi della Cina, motivo per cui l’amministrazione Trump, subiti i danni di questo legame, aveva tagliato i fondi. Xi Jinping, che è alla testa del Paese più inquinato del mondo e che tuttora detiene il record mondiale delle emissioni di gas serra, invoca gli Accordi di Parigi per “promuovere uno sviluppo verde”. Però in Cina, al netto del periodo di stop dovuto alla pandemia, le emissioni sono in crescita. E per il futuro saranno attivate centrali termiche, a carbone, con una potenza pari a tutte quelle dell’Ue.