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CEI

Welfare a tutti: la ricetta di Galantino per gli immigrati

“Non apprezzo per niente le ricette assolutamente prive di realismo e mancanti di concreta progettualità che i soliti noti non mancano di dispensare", dice monsignor Galantino, segretario generale della Cei. Ma le sue proposte, a loro volta, non sono realistiche e sono frutto di una visione ideologica del fenomeno.

Ecclesia 12_01_2017
Nunzio Galantino

“Non apprezzo per niente le ricette assolutamente prive di realismo e mancanti di concreta progettualità che i soliti noti non mancano di dispensare. Talvolta ignorando o facendo finta di non conoscere dati che, come minimo, li aiuterebbero a non inquinare l’etere di banalità a buon mercato”.

Con queste parole Monsignor Nunzio Galantino ha esordito il 10 gennaio, parlando in occasione della giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Il segretario generale della Cei si è quindi complimentato “con i mezzi di comunicazione bene informati”, che rifuggono dalle semplificazioni evitando di “alimentare scorrettamente strumentali equazioni tra migrazioni e criminalità, tra migrazioni e terrorismo e tra terrorismo e islamismo”. Poi ha formulato alcune proposte, “dei si e dei no responsabili”, pensati “senza la facile saccenteria, che talvolta rasenta l’arroganza dei primi della classe; senza la superficialità gridata da chi parla tanto di migranti ma forse non ha mai parlato con i migranti e senza il cinismo di chi forse non ha mai incrociato lo sguardo smarrito e implorante di una famiglia migrante fatta di uomini, donne e bambini”.

Ci sarebbe subito da obiettare che in Italia non è per niente facile imbattersi in una famiglia migrante perché arrivano quasi solo persone sole, soprattutto giovani maschi africani. 

Ma è  la sostanza del discorso, sono le proposte che importano. I “si” sono cinque: sbloccare la legge che allarga la cittadinanza ai minori che hanno concluso il primo ciclo scolastico; sbloccare la legge che tutela i minori non accompagnati affidandoli a case famiglia e a famiglie affidatarie; identificare i migranti in funzione di un’accoglienza attenta alla diversità delle persone e delle storie; scrivere una nuova pagina del nostro Welfare sociale attuando un’accoglienza diffusa dei migranti forzati, in fuga da situazioni drammatiche; istituire un titolo di soggiorno come protezione umanitaria o come protezione sociale per gli immigrati che studiano, svolgono lavori socialmente utili, hanno un impiego, sono disabili o vittime di traumi gravi, fuggono da disastri ambientali o dal terrorismo. 

Il presupposto di questi “si” è che gli emigranti continueranno ad arrivare e bisogna provvedere al meglio per loro: preparandoci al fatto – è il caso di aggiungere – che, proprio in ragione di un migliore welfare, ne arriveranno ancora di più. Manca, a questo proposito, un’attenzione al danno irreparabile di una generazione di giovani perduti: un problema così sentito dai vescovi dei paesi di provenienza, sia quelli africani sia quelli mediorientali, e che dovrebbe esserlo anche in Italia, pensando alle decine di migliaia di giovani che ogni anno lasciano famiglia e casa per andare a lavorare all’estero. 

Soprattutto una giornata dedicata a emigranti e rifugiati si vorrebbe occasione per ricordare il diritto supremo di ogni persona a vivere in dignità, sicurezza e libertà nella terra in cui è nata: diritto invece appena accennato per dire no alla vendita di armi e chiedere cooperazione allo sviluppo, corridoi umanitari, accordi internazionali per percorsi di rientro, come se tutto dipendesse dai paesi meta degli emigranti e non da quelli di origine. 

In sintonia con Monsignor Galantino, la rivista Mondo e Missione ha pubblicato un “Decalogo di realismo per capire l’ “immigrazione clandestina””, scritto da padre Giorgio Licini, un elenco di “dati di fatto per un dibattito oltre le semplificazioni”, esente da strumentalizzazioni e superficialità. 

Un dato di fatto sarebbe che l’Europa non ha interesse allo sviluppo dell’Africa che le farebbe perdere enormi profitti, molto superiori ai costi dell’immigrazione clandestina: in altre parole, è tutta colpa nostra. In secondo luogo, alle leadership africane non importa se i giovani emigrano: in questo c’è molto di vero, ma l’autore si limita a domandarsi che cosa dice e che cosa fa l’Onu a riguardo. Il terzo dato di fatto è che non bisogna fare accordi con la Libia perché è “una nuova Auschwitz, abbandonare la gente in Libia o in mare è la stessa cosa”. Il quarto dato di fatto è che tra i clandestini ci sono dei criminali “così come c’erano tra i siciliani che emigravano in America e i calabresi che salivano a Torino”, ma non tutti lo sono – il che è del tutto ovvio – ma possono diventarlo “nell’inedia e nella disperazione delle giornate italiane senza sbocco”. Altro dato di fatto secondo padre Licini è che “il terrorismo islamico in Europa non è frutto dell’immigrazione clandestina”: “può solo succedere che qualche immigrato clandestino si metta a disposizione dello Stato Islamico”. Nessun accenno ai jihadisti che viaggiano sui gommoni e al fatto – questo sì un dato di fatto – che l’Isis si è inserito nel traffico di emigranti clandestini e ne ricava lauti utili.  

In Italia gli immigrati clandestini sono almeno mezzo milione, ma per padre Licini un ulteriore dato di fatto è che sono solo alcune decine di migliaia: il problema piuttosto è che “l’italiano della provincia non conosce le lingue straniere, viaggia poco, non è allenato alla multiculturalità… Vivere, studiare e lavorare con gente diversa diventerà sempre più condizione normale e fenomeno irreversibile. Chi educa gli italiani a questo futuro tanto inevitabile quanto arricchente?”. 

Un futuro inevitabile: “si sa che il flusso continuerà per decenni e nessuno potrà fermarlo”, dice padre Licini, perché – questo è il primo punto del suo decalogo – “l’Africa trabocca di giovani, instabilità politica e conflitti etnici acuiscono il fenomeno, ma i motivi principali della partenza sono la noia, la mancanza di lavoro, la ricerca di opportunità”. Verrebbe da domandare se è il caso di accollarsi tanti oneri e problemi per dei ragazzi che si annoiano, ma sarebbe davvero un modo superficiale di guardare al fenomeno.