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INTERVISTA A LUIGI GENINAZZI

Wajda, il cantore della libertà polacca

E' morto a Varsavia, a 90 anni di età, il grande regista polacco Andrzej Wajda. Rappresenta più di ogni altro la stagione di Solidarnosc. E il suo film Katyn, sullo sterminio degli ufficiali polacchi da parte dei sovietici, trascurato in Italia, è diventato un caso. La Nuova BQ ne parla con il giornalista Luigi Geninazzi, che lo ha conosciuto assieme agli altri protagonisti di quella formidabile stagione rivoluzionaria polacca.

Cultura 11_10_2016
L'Uomo di Ferro

Varsavia, è morto a 90 anni di età il regista polacco Andrzej Wajda. Oscar alla Carriera nel 2000, fu consacrato dal cinema internazionale vent’anni prima, con la Palma d’Oro vinta a Cannes nel 1981 per L’Uomo di Ferro, film simbolo della ribellione di Solidarnosc, in cui appare anche Lech Walesa. Wajda è inscindibile dalla storia contemporanea polacca. Ha mostrato con le sue immagini la rinascita della nazione, prima dall’occupazione nazista e poi dal regime comunista. Lui stesso ha incarnato un pezzo di storia. Nel 1940 i sovietici hanno fucilato suo padre, assieme ad altri 20mila ufficiali polacchi nella foresta di Katyn, per ordine di Stalin, per decapitare la giovane classe dirigente della Polonia. A quel massacro, il regista ha dedicato il film Katyn, del 2007. Negli anni dell’occupazione nazista, ha combattuto come resistente nei ranghi dell’Armia Krajowa, l’esercito dei partigiani bianchi, anti-nazisti così come anti-comunisti, perseguitati dai tedeschi durante l’occupazione e poi dai sovietici dopo la “liberazione”. Ebbe comunque modo di rimanere un uomo libero, di studiare pittura e poi di dedicarsi al cinema, divenendo uno dei più grandi autori polacchi contemporanei. Ne abbiamo parlato con il giornalista Luigi Geninazzi (autore de L’Atlantide Rossa), che lo ha conosciuto personalmente negli anni in cui la Polonia era sottoposta alla dura repressione della legge marziale.

Luigi Geninazzi, in che circostanza ha conosciuto Wajda?

Era a Danzica, fra gli operai, stava girando il suo documentario su Solidarnosc. Tutti i personaggi che poi sono diventati molto importanti nella storia polacca, come Walesa, Mazowiecki, Michnik, li ho incontrati lì in quei cantieri. La prima volta che gli ho parlato a lungo, è stato a casa sua, nel 1982, quando la legge marziale era già stata proclamata da un anno. Parlava molto bene il francese e non abbiamo avuto bisogno di interpreti. Meglio così, perché allora, come giornalisti, eravamo molto controllati. Ho scoperto la sua umanità e semplicità, viveva in una casa povera, mi ha accolto benissimo e poi siamo rimasti in contatto. Era una persona straordinariamente semplice. Me lo ricordo felice come un bambino, quando lui, 87enne, era alla Mostra del Cinema di Venezia del 2013, sul tappeto rosso assieme alle star del cinema. Ma come i “grandi vecchi” aveva le sue spigolosità. Talvolta reagiva in modo molto duro e brusco. Per esempio nel 2007, quando girò Katyn, c’erano i gemelli Kaczynski al potere, Lech presidente e Jaroslaw premier, si era in piena campagna elettorale per le elezioni anticipate. Due giorni prima del voto, il premier e il presidente avevano fatto un gran battage pubblicitario per mandare la gente a vedere Katyn, per riscoprire le radici della resistenza anti-sovietica. E Wajda si indignò profondamente, si sentì strumentalizzato dalla campagna elettorale, si offese perché un partito politico stava sfruttando una tragedia nazionale che lo aveva privato del padre.

Come ha inciso Wajda sulla storia politica polacca?

E’ diventato ben presto amico di Lech Walesa e ha posto il suo grande genio artistico al servizio della sua causa, con grande passione. Mi ricordo la sua amarezza quando è stata proclamata la legge marziale (nel 1981, ndr) quando tutto sembrava finito. ‘Non può finire così’ mi diceva già allora, perché credeva veramente nel successo di Solidarnosc. E questo spiega perché abbia realizzato a tutti i costi, nel 2012, L’uomo della speranza su Lech Walesa, per difenderlo dalle calunnie che già allora circolavano e che sono riemerse quest’anno. E’ stato il suo ultimo omaggio alla causa di Solidarnosc. Lo ha realizzato perché, diceva, i polacchi già iniziano a dimenticare la loro storia.

Con un padre fucilato dall’Armata Rossa e lui stesso membro dell’Armia Krajowa, come ha fatto a sopravvivere e lavorare per mezzo secolo sotto il regime comunista?

E’ sempre stato mal tollerato, ma a differenza degli altri paesi del blocco sovietico, in Polonia c’erano più margini di libertà, per la presenza della Chiesa cattolica e per tanti altri fattori sociali. Ha potuto frequentare la scuola di cinema di Lodz, non risulta che sia mai sceso a compromessi col regime. Come tanti polacchi ha scelto di rimanere in patria sotto l’occhiuta sorveglianza dei servizi segreti. Quando è diventato celebre, le autorità non hanno mai osato incarcerarlo o deportarlo, per la sua fama internazionale. Ma Wajda non ha mai nascosto il suo pensiero e i suoi film lo dimostrano, così come lo dimostra lo straordinario documentario Operai 80 sullo sciopero che diede inizio all’esperienza di Solidarnosc.

Katyn, del 2007, è stato tradotto anche in italiano, ma probabilmente pochi lo hanno visto, a causa di una distribuzione veramente limitata. E lei è stato il primo a denunciare questa trascuratezza …

E’ stata una vicenda strana. E’ un film che rievoca in modo toccante quella tragedia e tutto quello che ha significato per la storia polacca, narra dell’incredibile coincidenza di linguaggio fra la propaganda nazista e quella sovietica che sul massacro di Katyn dicevano le stesse cose accusandosi l’un l’altro. Per mezzo secolo si diede la colpa ai nazisti, perché i sovietici erano i “liberatori”. Nel resto d’Europa, invece, si ignorava. La rivelazione definitiva che furono i sovietici a sterminare gli ufficiali polacchi venne vissuta con grande rabbia da tutti i polacchi. Il film di Wajda è servito a rinverdire la memoria a tutti, in Germania e in Francia ha riscosso un grande successo. In Italia, al contrario, è stato trattato come un film d’essai, una curiosità per pochi cinefili, distribuito inizialmente in una sola sala a Milano e una a Roma, per una o due sere. Poi qualcosa si è mosso, il dibattito è diventato molto vivace sin da subito e la distribuzione si è leggermente estesa. Non l’hanno visto in tanti, ma almeno se ne è parlato molto. E già questo è un grande risultato.

Per dolo o per colpa la distribuzione è stata così ridotta?

Ho conosciuto il distributore, un piccolo distributore, assolutamente in buona fede ma con mezzi molto limitati. C’è da chiedersi come mai, piuttosto, grandi case distributrici come la Medusa non lo abbiano comprato (anche se Silvio Berlusconi aveva consigliato di vederlo, ndr). Non si è ancora capito di chi sia stata la colpa. Non c’erano molte copie, solo sette o otto e non erano richieste dalle sale. Nessuno si aspettava che sfondasse al botteghino, ma un film così meritava maggior attenzione. Ripeto: non credo a un piano di sabotaggio, anche perché in Italia il film è arrivato nel 2009, quando ormai le centrali comuniste non erano più attive da un pezzo. Credo piuttosto a una mancanza di sensibilità. Penso che la colpa sia da attribuirsi a una mentalità intellettuale di sinistra, poco interessata a questa storia. Non ostile, ma semplicemente disinteressata. Se fosse stato un film sul golpe di Pinochet e sul ruolo della Cia in Cile, avrebbe ottenuto ben altra attenzione. Ma un massacro commesso da Stalin… per l’intellighenzia cinematografica italiana è roba da museo, o da cinema d’essai.

Katyn è un crimine più conosciuto dopo il film di Wajda?

Sicuramente lo è di più all’estero. E anche in Italia, proprio grazie al dibattito che è sorto attorno all’assurda vicenda della sua distribuzione. Katyn è sulla bocca di tutti, comunque, anche per la tragedia del 2010, quando precipitò a Smolensk l’aereo che trasportava il presidente Kaczynski e altri novanta membri dell’élite politica e militare polacca a celebrare il 60mo anniversario dell’eccidio.

L’ultimo film di Wajda, che uscirà postumo, è la biografia del pittore Wladyslaw Strzeminski, perseguitato dal regime comunista. Che messaggio lancia il regista?

Quest’ultima opera, che Wajda avrebbe dovuto presentare personalmente alla Festa del cinema di Roma nei prossimi giorni, è la degna conclusione del suo cammino artistico, politico e umano. Si conferma il suo amore per la patria, ma un amore concreto, rivolto alla persona, alle sue tragedie, vissute con un forte legame affettivo. E’ il segno dell’umanità dei grandi artisti e il segno della grandezza della nazione polacca, per quello che ha saputo esprimere nella sofferenza.