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DAL MEDIOEVO A OGGI

Vuoi imparare a mangiare bene e sano? Vai in monastero

Il segreto di una cucina sana e buona, ma evitando il peccato capitale della gola, si trova già nella Regola di San Benedetto e grande è anche l'opera di S. Ildegarda di Bingen. Nei monasteri europei sono nate centinaia di ricette oggi diventate comuni: verdure, salumi, formaggi, ma anche dolci e birre e liquori. La tradizione culinaria monastica è tuttora molto viva e sono centinaia in Europa e negli Stati Uniti i monasteri che vendono i loro prodotti online. 
- LA RICETTA: TORTA DI PANE RAFFERMO

Cultura 06_09_2020 English Español
Abbazia di Monte Oliveto

I sette peccati capitali sono i sette cancri spirituali che rodono l’anima. Ma uno di essi - la gola - rode anche il corpo. Il nutrimento eccessivo (o sbagliato) abbassa le difese dell’organismo, porta all’obesità ed alle malattie ad essa legate e in ultima istanza alla morte, spesso prematura.
Al giorno d’oggi diverse discipline (la medicina generale in primis, ma anche la psicologia, la dietologia, la cardiologia, la naturopatia ecc.), fanno a gara ad affermare che mangiare troppo fa male.

Lo sapeva bene San Benedetto e lo ha espresso a chiare lettere nella sua Regola: testo di base, soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il cibo, non solo dei benedettini, ma di tutte le persone di buon senso. Da quel Ora et labora è scaturita una filosofia del comportamento e regole di vita che hanno scandito secoli di esistenza di vita monastica: orti, vigneti, frutteti, pollai, brasserie, distillerie, e ovviamente forni per il pane, sono da sempre presenti nei monasteri, nei conventi e nelle abbazie, che hanno spesso aperto le loro porte ai poveri e ai malati, ai marginali e ai viandanti di ogni genere, offrendo loro cibo e un temporaneo riparo.

Proprio per questa loro caratteristica di offrire ospitalità, i monasteri sviluppano, fin dal Medioevo, anche l’arte del “dare da mangiare”. Sono gli antesignani non solo degli ospedali, ma anche degli alberghi e dei ristoranti: dai re ai mendicanti, per tutti il monastero era una sosta obbligata durante un lungo viaggio. Offriva sicurezza dentro le spesse mura, un posto per dormire e un piatto caldo.

Ma il cibo per gli ospiti era molto diverso da quello riservato ai monaci: specie per i viaggiatori di alto rango, nei piatti c’era spesso la carne (a meno che il periodo non fosse di digiuno). I piatti riservati ai monaci erano prevalentemente vegetariani: la carne - e quasi mai quella proveniente da animali ”con quattro gambe” - era usata di rado o data ai religiosi malati.

I piatti avevano come base le verdure coltivate negli orti del monastero e arricchiti da erbe e spezie usate anche a scopo farmaceutico (le famose ”droghe”). Parliamo della prima forma generalizzata di cucina attenta ai benefici dell’alimentazione sull’organismo umano.

Un esempio di medicina monastica che influisce sull’alimentazione ci viene da Santa Ildegarda di Bingen, monaca benedettina, proclamata dottore della Chiesa da Benedetto XVI nel 2012, il 7 ottobre (giorno della Battaglia di Lepanto). Nella sua raccolta di libri Physica o Liber simplicis medicinæ, si esaminano le cause delle malattie e come curarle ed anche cosa si deve fare per mantenere la salute stando attenti a ciò che si mangia.

Questa cura per la salute attraverso il cibo coincide con la tendenza della nostra epoca per una vita più semplice (solo che qui parliamo di un millennio fa).

Le ricette venivano manoscritte in quaderni di appunti che venivano poi tramandati. Oltre alle ricette, i loro autori descrivevano, ispirandosi alla propria esperienza, astuzie e tour de main necessari al perfezionamento del piatto. Il successore a sua volta personalizzava e arricchiva di varianti proprie le ricette, continuando i quaderni: cosi nacquero i primi ricettari.

I piatti erano molto vari, la parte del leone la facevano le zuppe, ne abbiamo recensito più di 400 ricette attraverso i monasteri europei. Troviamo anche ricette di: spezzatini, sformati, piatti a base di solo verdure ed erbe (spesso medicinali), pani farciti, salumeria e formaggi.

Anche la preparazione dei dolci ha una lunga tradizione nelle comunità monastiche, sopratutto in coincidenza con le grandi feste natalizie e pasquali. Una nota interessante va fatta per quanto riguarda le suore di clausura, che oltre alla preghiera e alla meditazione, si dedicavano all’arte del cucito e alla preparazione dei dolci.

In Italia c’erano: il panpepato, i sospiri delle monache, i buccellati, i mostaccioli, la Frutta di Martorana siciliana (simile al marzapane), li minnì di Sant’Agata, gli spumini e i dolcetti di mandorle tritate, le monachine napoletane, le sfogliatelle di Santa Rosa, il trionfo di gola (citato nel Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, foto qui sopra).

In Francia sono famosi i biscotti di San Martino (dedicati a Martin de Tours), le “nonnettes”, i speculos de l’Annonciade e tanti altri.

La Germania deliziava i palati con i Lebkuchen (parola che deriva dal latino Libum, torta): sono dei dolcetti morbidi di pan pepato, molto ricchi di spezie, spesso ricoperti da una glassa con zucchero a velo o da cioccolato fondente.

Molte di queste ricette sono entrate nell’uso corrente delle famiglie e dei ristoranti. Ci sono perfino dei grandi chef “stellati”, come Marc Meneau in Francia o Silverio Cineri in Italia che propongono nei loro menù piatti ispirati dalla cucina monastica. Per non parlare dei libri su questo soggetto, che risultano esauriti poco tempo dopo la pubblicazione.

Da un decennio circa, molti monasteri vendono “on line” alimenti e bevande di produzione propria. Molti di questi si sono fatti conoscere da un pubblico largo, non necessariamente credente, ma che lo può diventare.

L'Abbazia di Gethsemani nel Kentucky (la più antica abbazia negli USA), è conosciuta in tutto il mondo per la sua torta di frutta ricca e scura inzuppata nel bourbon (foto a fianco). I monaci producono 70.000 libbre di torte alla frutta all'anno e le spediscono a clienti fedeli in tutto il paese e all'estero. E la ricetta è, ovviamente, segreta.

A Norcia i monaci producono un’eccellente birra artigianale, la Nursia (foto a fianco), che vale la pena di comprare, per aiutarli a ricostruire il monastero, distrutto dal terremoto. Nelle Alpi francesi c’è il Monastero de la Grande Chartreuse che produce fin dal XII secolo il liquore che ne porta il nome: Chartreuse. Sempre in Francia, di fronte a Cannes c’è il gruppo di isole di Lérins, alle quali si accede solo in barca, diventate famose nel mondo per l’abbazia che si trova su una di esse (Île Saint-Honorat, foto qui sotto), che pratica l’ospitalità e la vendita in internet di vini straordinari.
E si potrebbe continuare…

Nei monasteri si prega e si lavora. Cioccolatini, biscotti, miele, vini, liquori, marmellate, pasta, tisane, torte, birra, cereali, formaggi, sono solo alcuni dei prodotti tipici; ma troviamo anche saponi, profumi per ambienti, cartoleria e candele di cera d’api, trapunte, sandali e cuscini decorativi.

Il mercato dei prodotti realizzati all'interno dei monasteri è in crescita. Su 340 abbazie francesi, 230 hanno iniziato a commerciare i propri prodotti, in Italia sono 190, in Germania 155, negli Stati Uniti più di 800.
I prodotti alimentari confezionati nei monasteri vengono oggi riscoperti e apprezzati, non solo perché sono alleati della salute, ma anche perché valorizzano i luoghi dove vengono prodotti.
Molti consumatori acquistano questi prodotti non solo per aiutare i monasteri, ma anche perché sono prodotti di qualità, fatti con amore. Per questo si sta sviluppando un “turismo monastico”, con tutto il corollario gastronomico che ciò comporta.

E per coloro che si domandano se il commercio è compatibile con l’attività religiosa, la risposta è che i monaci e le monache commerciano, ma non accumulano soldi, perché servono per pagare la ristrutturazione e il mantenimento degli edifici, i pasti e le spese.
Sono uomini e donne di Dio che continuano a pregare e a vivere in modo molto frugale.