Voto, un flop tra astensionismo e melassa draghiana
La melassa indistinta che sostiene il governo Draghi è forse la prima causa di questa crescente disaffezione dei cittadini verso la politica. Un elettore del Pd che cosa si aspetta di diverso da un elettore di Forza Italia? Con quali motivazioni i due elettori vanno alle urne sapendo che dal giorno dopo le differenze tra i due partiti appariranno sbiadite sul piano nazionale? Commento sul secondo turno, tra astensionismo e crisi del Centrodestra.
Il segnale più rilevante che emerge dalle urne dei ballottaggi di domenica è l’incremento dell’astensione. Hanno votato solo il 42% degli aventi diritto, contro il 55% del primo turno, che era già un dato allarmante. Tutte le forze politiche sono chiamate a riflettere sull’astensionismo, che si può spiegare con varie ragioni, ma che in ogni caso rende le istituzioni sempre meno rappresentative e scava un solco sempre più profondo tra i cittadini e la politica. Anche nelle città nelle quali sono nate aggregazioni civiche molto articolate l’affluenza ai seggi è rimasta scarsa. Una spiegazione semplicistica potrebbe liquidare il tutto con il richiamo del mare, viste le temperature africane che c’erano domenica in gran parte del nostro Paese. Ma sarebbe un errore fermarsi in superficie e non approfondire le criticità che il secondo turno delle amministrative consegna alla riflessione degli addetti ai lavori.
La melassa indistinta che sostiene il governo Draghi è forse la prima causa di questa crescente disaffezione dei cittadini verso la politica. Le grandi coalizioni finiscono per annacquare le identità dei partiti e per farli apparire tutti uguali, visto che sono costretti a votare più o meno allo stesso modo in Parlamento sui provvedimenti fondamentali che riguardano la politica estera ma anche l’economia e gli altri settori della vita pubblica. Un elettore del Pd che cosa si aspetta di diverso da un elettore di Forza Italia? Con quali motivazioni i due elettori vanno alle urne sapendo che dal giorno dopo le differenze tra i due partiti appariranno sbiadite sul piano nazionale? E’ vero che nelle elezioni comunali i due partiti erano contrapposti, ma se poi a Roma tutti i giochi di potere vedono parimenti coinvolte forze politiche di segno opposto la passione per la politica si affievolisce in ampie fette di popolazione che non percepiscono più la differenza tra un’area e l’altra. Quindi, più durano le grandi coalizioni meno la gente si sente motivata ad andare a votare.
La seconda ragione che può aiutare a spiegare l’allarmante astensionismo è il crescente disagio di tanti cittadini che hanno perso la speranza nella ripartenza e assistono attoniti a un susseguirsi di emergenze. Dopo quella sanitaria ecco affacciarsi prepotentemente quella ambientale, aggravata dalla siccità, dall’impennata dei prezzi delle materie prime e dei beni di prima necessità. Andare alle urne per esprimere una preferenza per un partito piuttosto che per un altro non è certamente tra le priorità di famiglie e imprese che vedono addensarsi all’orizzonte nuove nubi in termini di povertà e peggioramento della qualità della vita.
C’è infine una terza causa dell’astensionismo ed è l’alto tasso di litigiosità nelle coalizioni e perfino nei singoli partiti che le compongono. La scissione di Di Maio ha spento gli entusiasmi negli ambienti pentastellati e pare che moltissimi grillini, peraltro privi di un proprio candidato da votare ai ballottaggi, abbiano disertato le urne. Nel centrodestra, invece, le crescenti rivalità tra Lega e Fratelli d’Italia sono un freno al rilancio della coalizione, che continua a brillare nei sondaggi ma poi nei fatti non sfonda.
E’ vero che i ballottaggi non premiamo quasi mai il centrodestra e che quando l’affluenza è bassa vuol dire che a votare sono andati soprattutto gli elettori di sinistra. Però il risultato di domenica è davvero un campanello d’allarme per la coalizione di centrodestra. In molte città nelle quali era in vantaggio al primo turno si è fatta rimontare e superare. In altre come Verona, dove avrebbe prevalso se solo si fosse presentata unita, ha preferito disgregarsi e favorire l’ascesa alla poltrona di sindaco di un esponente del centrosinistra.
Sono errori madornali che confermano la mancanza di una leadership. Con un Berlusconi nel pieno del suo vigore queste defaillance alle amministrative non si sarebbero registrate e il centrodestra avrebbe appianato al suo interno le divergenze senza sbandierarle ai quattro venti, e senza prestare il fianco alle strumentalizzazioni da parte degli avversari.
Ma l’elettore del centrodestra - e qui si torna alle anomalie del “draghismo”- non sa più se esiste un vero centrodestra, visto che Fratelli d’italia, primo partito a livello nazionale secondo tutte le rilevazioni degli istituti demoscopici, osteggia un governo che invece viene appoggiato convintamente da Lega, Forza Italia e centristi. Inoltre, sempre quell’elettore non intravvede né una leadership chiara né un progetto politico definito. Berlusconi e Salvini in questo momento sembrano più vicini a Draghi che non alla Meloni e questo genera confusione, tanto più in vista delle prossime politiche, che al massimo tra 10 mesi dovranno decretare chi sarà chiamato a governare l’Italia nei prossimi cinque anni. Un centrodestra così litigioso e ondivago potrebbe buttare al vento una vittoria che l’harakiri del Movimento Cinque Stelle e il conseguente indebolimento del centrosinistra gli servono su un piatto d’argento.