Vizi contrari alla fede - Il testo del video
La fede può essere indebolita o distrutta dai vizi, che si distinguono in tre gruppi. Incredulità generale, eresia e apostasia sono le tre categorie del primo gruppo e consistono nella resistenza alla predicazione della fede o nel disprezzo verso questa predicazione. Un tema importante perché oggi viene considerato virtuoso l’uomo incredulo, che dubita.
Oggi dedichiamo questa puntata ai vizi contrari alla fede. Vista cosa è la Fede, dobbiamo anche comprendere che ci sono dei vizi che in qualche modo vanno a distruggere la Fede, quindi ci allontanano e ci precludono la Salvezza eterna.
San Tommaso nella Secuna secundae della sua Somma Teologica dedica sei questioni ai vizi contro la Fede, dalla qaestio 10 alla quaestio 15. Sono sei questioni che vengono ad aiutare la riflessione teologica proprio per capire quali sono quei vizi, quelle tendenze che si possono radicare stabilmente nell'uomo e che distruggono questo dono preziosissimo della Fede.
San Tommaso struttura queste tematiche in tre grandi gruppi:
1 - La riflessione sulla incredulità, che si distingue in: incredulità generale, eresia e apostasia.
2 - La bestemmia, cioè il non riconoscimento, lo sminuire la bontà di Dio, attraverso atti ed anche la volontà.
3 - La cecità della mente e l'ottusità dei sensi, malattie gravissime che rischiano di condurci al di fuori della via di Dio.
Iniziamo oggi con il primo blocco di questioni (quaestiones 10-11-12) che si occupano appunto di: incredulità generale, eresia e apostasia.
- Che cosa intende san Tommaso in generale per incredulità?
L'incredulità consiste essenzialmente nella resistenza dell'uomo alla predicazione della fede o il disprezzo dell'uomo nei confronti di questa predicazione.
Non è tanto l'incredulità di chi non sa, ma quella di chi non vuole sapere e quindi resiste alla predicazione della Chiesa nel senso più ampio possibile, ovvero non si apre, si chiude, sfugge o addirittura disprezza la comunicazione della fede.
Così come l'atto di fede risiede nell'intelletto ed è spinto dalla volontà, allo stesso modo abbiamo un difetto dell'intelletto quando l'incredulo non aderisce a Dio, prima veritas, e alle verità di fede da Lui rivelate. Ma c’è anche un difetto della volontà, perché come l'atto di fede ha nella volontà il suo motore, così anche l'incredulità.
È vero infatti che l'incredulità è un problema dell'intelletto che non aderisce alle verità di Fede, ma perché non aderisce? Perché la volontà resiste all'annuncio della fede e, sotto questo aspetto, l'incredulità è un peccato gravissimo.
San Tommaso dice che l'incredulità è il più grave dei peccati, in ordine alle virtù morali, mentre l'odio di Dio è il più grave in ordine alla carità.
È importante ribadirlo perché nella nostra epoca l'incredulità dell'uomo che dubita, che non accoglie nulla che non sia provato, sembra essere l'atteggiamento dell'uomo virtuoso; in verità è un difetto dell'intelletto che resta chiuso nell'ordine di realtà naturali, ed è un difetto della volontà che decide di non aprirsi a verità che oltrepassano la sua ragione.
L'atto di fede, pur non essendo un atto puramente naturale, perfeziona la natura dell'uomo, perché la eleva; e chi non compie l'atto di fede di fatto resta menomato nelle sue due facoltà più importanti (intelletto e volontà) che invece sono state create per spiccare il volo.
San Tommaso nell'articolo sesto della quaestio 10, parla di tre specie di incredulità:
- incredulità del pagano, che non si apre alla verità della Rivelazione,
- incredulità del giudeo, colui che aderisce a tutta quella Rivelazione di preparazione che riguarda tutte le verità veterotestamentarie e che compie la ricerca ed il senso religioso propri dell'uomo in quanto tale e di tutti quei semi di verità che possono essere sparsi nelle culture o nelle tradizioni religiose pagane;
- incredulità dell'eretico, che è colui che aderisce anche al compimento della Rivelazione veterotestamentaria, ovvero aderisce a Gesù Cristo, ma in qualche modo selezione alcuni dogmi rispetto ad altri che invece rifiuta.
San Tommaso spiega che, se si considerano i dogmi in se stessi, chiaramente l'incredulità del pagano è più grave delle altre due incredulità, perché dal punto di vista dei dogmi, delle verità di fede a cui il nostro intelletto aderisce, il pagano aderisce a meno verità di fede; il giudeo più del pagano, ma meno del cristiano; l'eretico, meno del cristiano ma più del giudeo e del pagano.
Se invece ci spostiamo sul versante della virtù della fede, le cose cambiano e si rovesciano; ovvero san Tommaso spiega che, se consideriamo non le singole verità che si credono, ma la virtù della fede, troviamo che il peccato dell'eretico è più grave del peccato del pagano, perché l'eretico, pur ripudiando una sola verità di fede, lui di fatto questa fede l'ha abbracciata; e quindi ripudiando un articolo della fede, ripudia quel Dio che in realtà ha conosciuto ed a cui ha aderito, preferendo invece le proprie idee. Da questo punto di vista, ovvero della virtù della fede, il pagano ha meno gravità nella sua incredulità. Questo ci fa comprendere che entrambe gli aspetti, intelletto e virtù, devono essere tenuti in considerazione per evitare di cadere nell'incredulità su un versante o su un altro.
- Che cosa ha di distintivo l'eresia rispetto all'incredulità?
L'eresia è quell'incredulità propria di coloro che aderiscono e che professano la loro fede in Cristo, ma poi ne corrompono i dogmi e con la loro volontà scelgono di aderire ad un aspetto piuttosto che ad un altro, in virtù di quanto essi stessi ritengono sia vero.
San Tommaso spiega.
"Uno, pur volendo aderire a Cristo, sbaglia nella scelta dei mezzi perché non sceglie le verità che sono state realmente insegnate da Cristo, ma cose a lui suggerite dalla propria intelligenza" (articolo 1, quaestio 11).
Rispondendo ad una delle obiezioni che si possono fare a questa tesi, san Tommaso mostra che l'eresia deve essere valutata secondo due aspetti: il fine prossimo ed il fine remoto.
Uno può commettere adulterio per rubare; dunque, commettere adulterio (quindi la specie di quel vizio) riguarda il fine immediato, il fine prossimo, mentre invece siccome io l'adulterio lo compio per rubare, il fine remoto è il furto; quindi l'adulterio nasce dal furto, il fine prossimo è motivato dal fine più remoto.
Anche nell'eresia, dice san Tommaso, abbiamo questo e spiega:
"Nel caso nostro, il fine prossimo dell'eresia è l'attaccamento alle proprie false idee".
L'attaccamento alle proprie idee che poi si rivelano false, preferire una propria idea rispetto alla Verità insegnata da Cristo. Essa però, ovvero questo mio aderire alla mia idea, che appunto la specie del peccato di eresia (la specie di un peccato viene identificata dal fine prossimo), può essere mossa da un fine remoto. Quale può essere questo fine remoto? San Tommaso fa l'esempio di un’eresia commessa per ottenere un posto importante nella società, un potere, degli onori, oppure per non essere esclusi da un contesto sociale o familiare etc..
Questi fini remoti sono molto importanti da tenere a bada e si radicano nei vizi capitali; la lotta contro i vizi capitali perciò elimina o riduce il fine remoto del peccato di eresia. Il peccato di eresia in se stesso consiste però nell'attaccamento ad una propria idea in contrasto con la verità rivelata.
- L'eresia ha per oggetto proprio le verità di fede? La risposta è affermativa.
San Tommaso riporta una delle obiezioni esposte nell'articolo secondo:
Obiezione. "Anche ai santi dottori capita di dissentire in cose di fede, come avvenne a san Girolamo e a sant'Agostino a proposito della cessazione delle osservanze legali [prese dal giudaismo, ndr] e tuttavia ciò non implica un peccato di eresia, perciò l'eresia non ha per oggetto propriamente le verità della fede".
Risposta di san Tommaso. "Se uno difende senza animosità e senza ostinazione la propria opinione, seppur falsa e perversa, e cerca con la dovuta sollecitudine la verità, pronto a seguirla quando la trova, non può essere annoverato tra gli eretici poichè non ha la determinazione di contraddire l'insegnamento della Chiesa. E in questo senso, alcuni santi dottori furono in disaccordo o su questioni che per la fede sono indifferenti, oppure su cose riguardanti la fede, ma che la Chiesa non aveva ancora determinato".
1 - L'eresia non è semplicemente una opinione falsa. C'è una grande differenza tra eresia ed errore, in quanto l'errore è un difetto dell'intelligenza che cerca, ma, se l'intelligenza rimane aperta al vero, non c'è quell'elemento che rende l'eresia tale, ovvero la pervicacia, l'ostinazione di cui parla san Tommaso.
2 - La Chiesa ha sviluppato la comprensione della fede nei secoli. Nella storia della Chiesa ci sono state questioni ancora discusse, questioni che apparivano ancora dubbie, ma nel momento in cui la Chiesa intende vincolare, a quel punto non ci si può contrapporre con ostinazione ad una verità che la Chiesa già definisce come verità di fede.
Continua san Tommaso:
"Sarebbe invece eretico chi si opponesse ostinatamente ad una simile definizione quando tali cose fossero state determinate dall'autorità della Chiesa universale".
Nella quaestio 12 invece san Tommaso affronta il tema dell'apostasia.
- Che cos'è l'apostasia?
È l'abbandono della Fede in generale. Non è quindi la contrapposizione su uno o più articoli di fede, ma è l'abbandono della Fede in generale. Questo può avvenire in duplice modo:
a- Un abbandono dell'adesione del cuore
b- L'abbandono della professione di fede pubblica con la parola e con i fatti.
Ciò significa che la fede può essere abbandonata in toto, non solo interiormente ma anche mediante quegli atti esterni che non corrispondono più alla fede vera e propria.
San Tommaso, per spiegare questo, rinvia alla quaestio 3, articolo 1 e 2, in cui trattava l'importanza dell'atto esterno della fede.
" Come è un atto proprio della Fede il concepire interiormente la verità da credere, così lo è pure il confessarlo esternamente, perché animati da quello stesso spirito di fede, noi crediamo e perciò parliamo".
Non si possono scindere i due aspetti: non basta l'atto interno della Fede, occorre anche l'atto esterno della fede con la parola e con i fatti che seguono evidentemente questa professione di fede. Pensate alla grande tentazione dei primi secolo dell'offerta del famoso granello di incenso alla divinità. Ecco uno poteva dire: io offro il granello di incenso, ma interiormente non aderisco. Invece no, l'offrire il granello, ovvero dare la sensazione esterna di un atto di culto, equivale ad apostatare la fede anche se uno interiormente fa mille riserve.
Nell'articolo secondo san Tommaso specifica come la confessione della Fede sia necessaria alla Salvezza. E precisa che non significa che sempre dobbiamo professare la nostra fede in ogni luogo, ma dice:
"E' necessario farlo in luoghi e tempi determinati, cioè quando l'omissione di tale professione di Fede, comprometterebbe l'onore dovuto a Dio o anche all'utilità del prossimo".
Infine san Tommaso conclude rispondendo a coloro che obiettano che la professione di fede non è necessaria alla Salvezza:
"Il fine della Fede è sempre subordinato al fine della carità, ovvero all'onore di Dio e al bene del prossimo. Perciò quando l'onore di Dio e il bene del prossimo lo richiedono, l'uomo non deve accontentarsi di aderire personalmente alla Verità divina con la sua fede, ma deve confessarla esternamente. In caso di necessità, quando la fede è in pericolo, chiunque è tenuto a manifestarla agli altri sia per istruire e confermare i fedeli, sia per frenare l'impertinenza degli increduli, negli altri tempi invece non spetta a tutti i fedeli insegnare le verità della fede".
Nei tempi ordinari l'istruzione della Fede è compito soprattutto dei pastori della Chiesa, con i mezzi ordinari; ma quando la fede è in pericolo, tutti sono tenuti a questa professione di fede pubblica e anche a frenare - dice san Tommaso - "l'impertinenza degli eretici".
"Se invece - continua san Tommaso - dall'aperta confessione della fede nascesse del turbamento per gli increduli, senza alcuna utilità per i fedeli, tale confessione pubblica non sarebbe encomiabile. (...) Se è necessario, perché la fede è in pericolo, si deve confessare pubblicamente, disprezzando il turbamento degli infedeli".
Come nel Vangelo si racconta dei discepoli che vanno dal Signore a dire che i farisei sono rimasti scandalizzati dalle Sue parole e Gesù risponde: "Lasciateli, sono ciechi e guide di ciechi".
Abbiamo fatto una carrellata su quali siano i vizi che colpiscono la fede fino a poterla uccidere e così impedire di essere graditi a Dio e minare le basi della nostra salvezza personale e della salvezza della collettività.