Vivere il presente, necessario per vegliare il futuro
Molta della sofferenza che ci infliggiamo è legata al fatto che non vogliamo vivere il momento presente. Preferiamo tormentarci nel passato oppure avere timore per il futuro, ma sfuggiamo in questo modo l’unico momento vero che ci è dato vivere, legato al nostro oggi, al qui ed ora.
Recentemente ho vissuto un momento delicato legato a delle ragioni di salute. Per meglio dire, questo momento era legato all’attesa per i risultati dell’esame istologico dopo una piccola operazione. La grande ansia che ho provato fino a che non ho potuto avere in mano la biopsia (negativa) mi ha fatto riflettere su un qualcosa che ha valenza metafisica: molta della sofferenza che ci infliggiamo è legata al fatto che non vogliamo vivere il momento presente. Preferiamo tormentarci nel passato oppure avere timore per il futuro, ma sfuggiamo in questo modo l’unico momento vero che ci è dato vivere, legato al nostro oggi, al qui ed ora. Ieri non esiste più, è passato e non torna; domani, chi lo può prevedere veramente? Certo dobbiamo fare tesoro del passato ed essere previdenti per il futuro, per quello che è possibile: ma angosciarci per essi?
Il libro del Qoelet (3, 1-9) ci mette in una giusta prospettiva: “Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo. C'è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?”.
È inutile affannarsi pensando di avere un controllo su tutto quello che ci accade, esiste un tempo per tutto, un tempo che si dipana secondo il disegno della nostra vita così come lo vuole Dio. Del resto anche Gesù ci invita a non affannarci: “Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un'ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena” (Mt 6, 25-34).
Se riuscissimo a vivere questo passaggio, solo questo passaggio, con grande trasporto interiore, la nostra vita sarebbe completamente diversa. Ma non ci riusciamo, siamo onesti con noi stessi, preferiamo vivere attanagliati nell’angoscia che ci prende quando schiacciati dal pensiero del passato e del futuro, che non esistono più o non esistono ancora. Nel Capitolo XI delle sue Confessioni, Sant’Agostino lo aveva certamente ben intuito e impostato come problema filosofico: “Un fatto è ora limpido e chiaro: né futuro né passato esistono. È inesatto dire che i tempi sono tre: passato, presente e futuro. Forse sarebbe esatto dire che i tempi sono tre: presente del passato, presente del presente, presente del futuro. Queste tre specie di tempi esistono in qualche modo nell'animo e non le vedo altrove: il presente del passato è la memoria, il presente del presente la visione, il presente del futuro l'attesa. Mi si permettano queste espressioni, e allora vedo e ammetto tre tempi, e tre tempi ci sono. Si dica ancora che i tempi sono tre: passato, presente e futuro, secondo l'espressione abusiva entrata nell'uso; si dica pure così: vedete, non vi bado, non contrasto né biasimo nessuno, purché si comprenda ciò che si dice: che il futuro ora non è, né il passato. Di rado noi ci esprimiamo esattamente; per lo più ci esprimiamo inesattamente, ma si riconosce cosa vogliamo dire”.
Ci esprimiamo inesattamente, proprio perché ci schiacciamo fra passato e futuro, che non sono in nostro potere. L’unico potere, se così possiamo impropriamente dire, lo abbiamo sull’oggi. Del resto tutto questo era già stato intuito da Seneca, che chiedeva di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo: “Permettimi a questo punto di citare un tuo verso; bada, però: non lo hai scritto solo per gli altri, ma anche per te. È vergognoso dire una cosa e pensarne un’altra: ma scrivere una cosa e pensarne un’altra lo è ancòra di più. Ricordo che una volta hai trattato questo argomento: noi non precipitiamo all’improvviso nella morte, ma ci avviciniamo a poco a poco. Moriamo ogni giorno: ogni giorno ci viene tolta una parte della vita e anche quando ancora cresciamo, la vita decresce. Abbiamo perduto l’infanzia, poi la fanciullezza, poi la giovinezza. Tutto il tempo trascorso fino a ieri è ormai perduto; anche questo giorno che stiamo vivendo lo dividiamo con la morte. Come la clessidra non la vuota l’ultima goccia d’acqua, ma tutta quella defluita prima, così l’ora estrema, che mette fine alla nostra vita, non provoca da sola la morte, ma da sola la compie; noi vi giungiamo in quel momento, da tempo, però, vi siamo diretti”. Ciò che così tanto temiamo non è davanti a noi, ma intorno a noi.
Ecco perché questo sano principio era ben conosciuto e praticato in ambito ecclesiastico. Nelle sacrestie si leggeva: “Sacerdote di Gesù Cristo, celebra questa Santa Messa, come se fosse la tua prima Messa, l'ultima Messa e l'unica Messa”. I grandi santi lo avevano anche intuito, come Santa Teresa di Lisieux in una sua bellissima poesia: “La mia vita, o Signore, è un istante che passa, un momento che fugge e se ne va. Tu lo sai, mio Dio, che per amarti sulla terra, non ho altro che l’oggi. Che importa, Signore, se l’avvenire è oscuro. No, io non posso pregarti per il domani. Mantieni puro il mio cuore, coprimi con la tua ombra, e non sia che per l’oggi. Io non ho, Signore, che quest’oggi mio fuggitivo per darti un frutto d’amore, un grappolo di cui ogni chicco sia un’anima. Donami tu, Gesù, il fuoco di un apostolo, e sia per oggi”.
Anche una certa spiritualità contemporanea ha recuperato questo importante concetto, come per esempio si vede in questo passaggio reperito in www.cittanuova.it e scritto dalla fondatrice del movimenti dei Focolari, Chiara Lubich: “Vuoi imparare ad amare? Ad amare Dio, ad amare i fratelli per lui? Non attendere un istante, non pensarci troppo, non fermarti a desiderare di amare, ma ama subito nel momento presente. Ed amare significa fare subito, ora, adesso, in questo minuto, la volontà di Dio, non la tua. La vita non è fatta che di attimi presenti e valgono quelli per chi vuole operare qualcosa. Il passato è già passato e mettiamolo nella misericordia di Dio, il futuro ancora non c’è. Ci sarà quando diverrà “presente”. È il presente che conta, il momento che fugge, che per me, per te, per noi, deve essere colto al volo e vissuto bene, fino in fondo, facendo in quello ciò che Dio vuole da noi: studiare, camminare, dormire, mangiare, soffrire, godere, giocare… Impara ad ascoltare nel profondo della tua anima la voce di Dio, la voce della coscienza: essa ti dirà ciò che Dio vuole da te in ogni momento. Te la prendi col tuo prossimo? «Attenzione – ti dice la coscienza –, devi amare tutti, persino i nemici…». Hai voglia di saltare nell’ora dello studio? «Attenzione – ti dice la coscienza –, giocherai con più gioia dopo, se ora farai perfettamente il tuo dovere». E così via… Viviamo bene ciò che Dio vuole nel momento presente; e come un punto accanto a un punto fa la retta, momento accanto a momento fa la vita. Ci sono due modi per noi di vivere ogni attimo: o fare in esso la nostra volontà, o fare quella di Dio. Se siamo “generazione nuova”, dobbiamo fare ogni attimo la volontà di Dio, che fa di noi “giovani nuovi” ed impedisce che viva in noi “il vecchio uomo”, come chiama san Paolo colui che fa solo la sua volontà. Alleniamoci dunque ogni momento”.
Come è difficile applicare tutto questo, ma non di meno è strettamente necessario. La pena nostra è questa continua ascesa al nostro oggi, un ascesa che va rinnovata con la fatica e con il peso di ogni giorno che Dio ci concede su questa terra.