Vivaldi e Rossini nella hit del Papa
Musicista fine ed appassionato, Benedetto XVI ha sottolineato la fede genuina e semplice di due grandi maestri italiani.
Tutti sappiamo che una delle grandi passioni di Benedetto XVI è la musica, un tema su cui il cardinale Ratzinger si era più volte segnalato come critico raffinato e di grande competenza. Asceso al soglio di Pietro, Benedetto XVI non ha dimenticato questo suo interesse e - quando può - ne fa oggetto d'insegnamento per i fedeli. Il tema che gli sta a cuore è che non è proprio vero che la grande musica è cristiana fino al Seicento, dopo di che Chiesa e musica si separano. Molti grandi musicisti dell'epoca moderna erano cristiani, anche se talora con qualche caduta nella vita privata, e hanno continuato a comporre importante musica sacra, di cui però per evidenti ragioni si parla molto poco quando si ricordano questi maestri.
Il Papa non solo apprezza i concerti tenuti in suo onore, ma spesso sceglie personalmente i brani da eseguire. La settimana scorsa, il 5 maggio, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha offerto un concerto a Benedetto XVI per il sesto anniversario dell'inizio del suo pontificato. Il concerto è stato affidato all’Orchestra e al Coro del Teatro dell’Opera di Roma, diretti rispettivamente dal maestro Jesús López Cobos e dal maestro Roberto Gabbiani. Le opere eseguite sono state il Credo RV 591 di Antonio Vivaldi (1678-1741) e lo Stabat Mater di Gioacchino Rossini (1792-1868). Il Pontefice non si è limitato a un ringraziamento di circostanza, ma ha offerto una vera e propria lezione sulla musica sacra di Vivaldi e Rossini.
A proposito di don Antonio Vivaldi - era infatti un sacerdote, anche se dispensato dall'obbligo di dire Messa per la grave forma di asma di cui soffriva, che agli inizi del ministero lo aveva costretto spesso a interrompere le celebrazioni - il Papa ha osservato che si tratta come tutti sanno di un «grande rappresentante del Settecento veneziano», ma che «purtroppo di lui si conosce poco la musica sacra, che racchiude tesori preziosi: ne abbiamo avuto un esempio nel brano di stasera, composto probabilmente nel 1715».
A proposito del Credo RV 591 di Vivaldi - dopo avere rivelato l'importanza nella Messa del Credo, il quale ci ricorda sempre che non crediamo in «qualcosa» ma in «Qualcuno, il Dio che si è rivelato in Gesù» - il Pontefice ha proposto tre notazioni di carattere più tecnico. Ha notato, in primo luogo, «un fatto anomalo nella produzione vocale vivaldiana: l’assenza dei solisti, c’è solo il coro». Non si tratta di un mero artificio. infatti, «in questo modo, Vivaldi vuole esprimere il "noi" della fede. Il "Credo" è il "noi" della Chiesa che canta, nello spazio e nel tempo, come comunità di credenti, la sua fede; il "mio" affermare "credo" è inserito nel "noi" della comunità».
Il secondo commento del Papa riguarda «i due splendidi quadri centrali: "Et incarnatus est" e "Crucifixus". Vivaldi si sofferma, come era prassi, sul momento in cui il Dio che sembrava lontano si fa vicino, si incarna e dona se stesso sulla Croce. Qui il ripetersi delle parole, le modulazioni continue rendono il senso profondo dello stupore di fronte a questo Mistero e ci invitano alla meditazione, alla preghiera».
La terza osservazione di Benedetto XVI ricorda il collegamento fra la musica di Vivaldi e la sua vita. Il musicista veneziano fu calunniato per la sua vita morale - e le calunnie gli causarono problemi anche con qualche vescovo -, ma non ci sono prove che si trattasse di qualche cosa di diverso dalle dicerie così comuni nel mondo conflittuale e pettegolo dei musicisti del Settecento. Il Papa ricorda che «Carlo Goldoni [1707-1793], grande esponente del teatro veneziano, nel suo primo incontro con Vivaldi notava: "Lo trovai circondato di musica e con il Breviario in mano". Vivaldi era sacerdote e la sua musica nasce dalla sua fede».
A prima vista Rossini, educato in una famiglia giacobina e anticlericale, è un musicista molto diverso da Vivaldi. E tuttavia, ha osservato il Papa, «lo "Stabat Mater" di Gioacchino Rossini, è una grande meditazione sul mistero della morte di Gesù e sul dolore profondo di Maria».
Per capire come Rossini fosse arrivato alla musica sacra occorre riflettere sulla sua vita. «Rossini - ha ricordato Benedetto XVI - aveva concluso la fase operistica della sua carriera a soli 37 anni, nel 1829, con il "Guillaume Tell". Da questo momento non scrisse più pezzi di vaste proporzioni, con due sole eccezioni, entrambe di musica sacra: lo "Stabat Mater" e la "Petite Messe Solennelle"». Gli storici della musica hanno diversamente interpretato questo precoce semi-ritiro di Rossini: stanchezza, protesta contro le nuove tendenze musicali in voga, perfino cedimento a una connaturata pigrizia. Ma non manca l'ipotesi di un desiderio di riflettere sulla vita e sulla morte, mettendo in discussione le idee che gli venivano dall'educazione anticlericale.
A giudicare dalle sue opere sacre, ha detto il Papa, «quella di Rossini è una religiosità che esprime una ricca gamma di sentimenti di fronte ai misteri di Cristo, con una forte tensione emotiva. Dal grande affresco iniziale dello "Stabat Mater" dolente e affettuoso, ai brani in cui emerge la cantabilità rossiniana e italiana, ma sempre carica di tensione drammatica, fino alla doppia fuga finale con il poderoso "Amen", che esprime la fermezza della fede, e l’"In sempiterna saecula", che sembra voler dare il senso dell’eternità».
«Ma penso - ha aggiunto il Papa - che due vere perle di quest’opera siano i due brani "a cappella" [cioè eseguiti dalle sole voci, senza strumenti musicali], l'"Eja mater fons amoris" e il "Quando corpus morietur". Qui il Maestro torna alla lezione della grande polifonia, con un’intensità emotiva che diventa preghiera accorata: "Quando il mio corpo morirà, fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso"».
Negli ultimi anni di una vita complicata, il musicista sembra avere riconquistato i fondamenti della fede. Conclude il Papa: «Rossini a 71 anni, dopo aver composto la "Petite Messe Solennelle" scrive: "Buon Dio, eccola terminata questa povera Messa… Sai bene che sono nato per l’opera buffa! Poca scienza, un po’ di cuore, tutto qui. Sii dunque benedetto e concedimi il paradiso"». Sono parole da cui traspare, secondo Benedetto XVI, «una fede semplice» e tuttavia «genuina».
Questa lezione del Pontefice non è rivolta solo agli appassionati di musica. Vuole mostrare le radici cristiane della grande cultura italiana anche nelle epoche, pure dominate da tendenze ostili alla Chiesa, dell'Illuminismo e del Risorgimento. Parlando di fronte al presidente Napolitano, il Papa ha celebrato in Vivaldi e Rossini «due sommi musicisti di cui l’Italia, che celebra i 150 anni dell’unificazione politica, deve essere fiera». Due musicisti di cui opere molto significative riaffermano la centralità della fede cattolica nella storia e nella cultura del nostro Paese.