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COSTITUZIONE/IL DOCUMENTO DEI VESCOVI

Vita e famiglia, ma senza Dio. L'occasione persa da Cuba

A Cuba è in atto una consultazione popolare su un progetto di riforma costituzionale in vista della redazione di una nuova Carta che sarà sottoposta poi a referendum popolare. Anche i vescovi cattolici sono intervenuti con un documento. Su vita e famiglia ci sono definizioni apprezzabili, ma manca ogni riferimento a Dio. Un'occasione sprecata. 

Editoriali 09_11_2018

A Cuba è in atto una consultazione popolare su un progetto di riforma costituzionale in vista della redazione di una nuova Carta che sarà sottoposta poi a referendum popolare. Anche i vescovi cattolici sono intervenuti con un documento (vedi qui) reso noto qualche giorno fa. Esso ci dà uno spaccato molto interessante di come i vescovi intendano oggi il proprio compito di insegnare la Dottrina della Chiesa.

Il documento dell’episcopato cubano contiene molti aspetti apprezzabili. Uno di questi riguarda il diritto alla vita. Il documento preparatorio della riforma costituzionale non lo contempla mentre i vescovi chiedono che la futura Carta lo preveda (assieme all’esclusione della pena di morte). Un altro aspetto apprezzabile è la richiesta di eliminare dalla Costituzione qualsiasi riferimento all’ideologia del gender: “Il sesso viene dato dalla natura e non è una costruzione culturale”. Questa ideologia – aggiungono i vescovi di Cuba – non è propria della cultura cubana e viene imposta dall’esterno, riprendendo così il concetto di “colonizzazione ideologica” espresso da papa Francesco.

Un terzo aspetto apprezzabile è dato dai riferimenti alla famiglia e al matrimonio, con la chiusura al “matrimonio omosessuale”: «I vescovi considerano infondato e sbagliato che il progetto costituzionale contenga (art. 68) una definizione di matrimonio come “l’unione di due persone al fine di fare vita comune”. Nell’esprimere questo giudizio non vogliamo disconoscere e in alcun modo disprezzare la dignità di ogni persona dato che si deve rispettare la condizione e la partecipazione sociale di ognuna. L’insegnamento della Chiesa è sempre stato chiara: l’amore reciproco e complementare tra l’uomo e la donna fonda la vocazione al matrimonio e alla famiglia, stabilendo una unità che non può venire equiparata a nessun’alta. Distinzione non significa discriminazione».

Qualcuno noterà che anche in questi aspetti apprezzabili ci sono delle lacune importanti. Tra le finalità del matrimonio, per esempio, non si cita l’apertura alla vita, senza della quale non ci può essere nemmeno l’unità dei coniugi. La differenza tra il bene (il matrimonio) e il male (l’omosessualità) non può essere solo una “distinzione”. Comunque alcune cose rimangono apprezzabili.

Nel documento, però, ci sono anche delle importanti mancanze che finiscono per alterare il corretto insegnamento su fondamentali questioni politiche. La prima è la retorica della partecipazione, considerata come l’essenza della democrazia, ma senza mai dire che esistono principi e valori che non possono essere oggetto di decisione popolare. Si dice che “il referendum popolare sarà l’ultima parola del nostro popolo sulla Costituzione” e così ci si appella alla sovranità popolare senza dire che non tutto può essere sottoposto alla volontà popolare che, quindi, non è sovrana. Ci sono precise condizioni perché la democrazia sia accettabile dalla Dottrina sociale della Chiesa, molte delle quali elencate nella Centesimus annus e nella Evangelium vitae di Giovanni Paolo II, cui i vescovi cubani nemmeno accennano. Essi mettono in guardia il potere a tenere in debito conto l’espressione della volontà popolare. La cosa è apprezzabile in un regime che finora non ne ha tenuto conto, ma ciò non significa che la volontà popolare sia giusta in sé e che, come tale, l’autorità sempre la debba ascoltare.

I vescovi, inoltre, escludono ogni riferimento a Dio, cosa che sta divenendo una costante nei documenti episcopali in occasione di elezioni politiche, ma che in questo caso stona ancora di più, trattandosi di un progetto di Costituzione, una questione politica fondamentale per l’architettura della comunità politica. Se il riferimento a Dio non viene fatto in un quadro costituzionale verrà certamente meno anche in altri di minor significato politico. Se, però, l’autorità non si fonda ultimamente su Dio, su cos’altro potrà fondarsi per evitare di essere strumentalizzata secondo interessi di parte? Ricordare le centralità di Dio come fondamento dell’autorità politica non sarebbe compito dei vescovi?

Fondare una Costituzione sulla “persona” non è sufficiente. Scrivono i vescovi cubani: “... la persona umana è, per la sua intrinseca libertà e dignità, il soggetto e il centro di tutti i diritti e doveri garantiti da una Costituzione, che sempre deve essere a beneficio della persona per sostenere così la convivenza di tutti”. Ma la persona ha una grandezza derivata e non originaria: derivata da Dio, senza il quale viene meno e non è in grado di fondare nulla. Fare della persona il principio e il fondamento della salvezza, anche solo terrena e secolare (il cosiddetto “personalismo”) significa condannare la società al sicuro fallimento.

Dobbiamo di nuovo segnalare che gli aspetti lacunosi sul piano della dottrina di molti documenti episcopali contribuiscono a indebolirne l’autorità. Eppure quella cubana era una bella occasione.