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ULTRAS

Violenza negli stadi, cosa impedisce di intervenire

Genny 'a carogna ci ha fatto fare una pessima figura mondiale. Ma non è il primo caso di tifoseria violenta, né il più grave. L'esperienza è ormai pluri-decennale e molti rimedi sono ormai in campo. Serve attivarli. E capire chi impedisce di farlo.

Editoriali 06_05_2014
Genny 'a carogna

I rimedi non sono né facili né brevi. Proprio perché la questione in sé non è né di facile né di breve soluzione, è il caso di individuare la scena e i soggetti principali, per capire se e in che modo migliorare il quadro.

Si inizia da zero? Intanto, nonostante la brutta figura planetaria fatta sabato scorso, sarebbe ingiusto pensare che siamo all’anno zero. Ci sono stati tempi peggiori, e passi in avanti significativi sono stati percorsi da quando – fine anni 1990, stadio di S. Siro – un motorino veniva lanciato da un settore sui tifosi del settore sottostante, o da quando – qualche anno prima, stadio Olimpico – un razzo partiva da una curva e centrava, uccidendolo, uno spettatore che si trovava nella curva contrapposta. Dal 2001 a oggi, con molta difficoltà, superando le forti e costanti resistenze della lobby delle curve, trasversalmente presente in Parlamento, sono stati introdotti strumenti di contrasto che, pur fatti funzionare in modo soft, hanno prodotto qualche risultato: dall’arresto in flagranza differita al “daspo”-divieto di partecipazione ad attività sportive, senza dimenticare la presenza negli stadi degli steward al posto dei poliziotti. Che cosa manca e quali strade percorrere per fare di più e meglio? manca che ognuno reciti fino in fondo la propria parte, utilizzando i mezzi a disposizione; che si perfezionino tali strumenti solo dopo averne individuato le lacune derivanti dalla loro completa applicazione; che vi sia un governo costante del fenomeno, non determinato di volta in volta dalla suggestione del caso eclatante. Proviamo a entrare nel dettaglio.

La magistratura. L’arresto in flagranza differita ha una logica: quella, quando si individuano comportamenti illeciti in uno stadio e non è opportuno intervenire per non compromettere la gestione dell’ordine pubblico, di identificare gli autori dei reati con l’esame dei fotogrammi e di arrestarli a distanza di qualche ora, senza attendere il provvedimento del giudice. Il limite di questa misura è che in troppi casi i giudici o non convalidano gli arresti o, dopo averli convalidati, rimettono in libertà soggetti che comunque sono stati riconosciuti responsabili delle violenze. Non si pone in discussione l’autonoma valutazione del giudicante; viene qualche dubbio che ci sia una sottovalutazione del fenomeno, e che la facile rimessione in libertà costituisca il contrappeso di norme che si valutano come troppo rigorose. Sul Corriere di ieri Beppe Severgnini auspicava che verso gli ultras violenti ci fosse lo stesso metro che si adopera verso chi ruba nei supermercati; forse non ha una idea precisa delle sanzioni che vengono irrogate ai responsabili dei furti: mentre in Romania il colpevole di un furto aggravato è condannato a non meno di tre anni di carcere, da noi la media è di tre mesi, con tutti i possibili benefici. Se vi è tanta sottovalutazione verso reati considerati – spesso per ragioni ideologiche – di minore peso, la deterrenza resta un termine vuoto. Stessi problemi incontrano in sede giudiziaria i “daspo” e l’entità delle sanzioni ordinariamente inflitte per delitti commessi in occasione delle partite: si può pure allungare il daspo a vita, ma se il giudice non è propenso ad applicarlo, o se fa prescrivere il processo per il reato commesso in occasione dell’evento sportivo, o se irroga sanzioni super scontate, non è il caso di aprire un confronto civile con chi in Italia rappresenta la magistratura, quanto meno per dibattere la questione, e sperare che qualche orientamento si modifichi?

I media. Devono decidere da che parte stare. Non ci si può stracciare le vesti dopo Napoli-Fiorentina e gridare alle norme liberticide quando viene approvata la flagranza differita; né si può condannare la sparatoria fra ultras e fare campagne di stampa contro la tessera del tifoso; né si può proseguire nella delegittimazione delle forze di polizia, da troppe testate ordinariamente descritte come bande di manganellatori, mettendo tutto insieme e anticipando giudizi ancora da celebrare, e poi pretendere che gli uomini in divisa siano più rispettati delle “carogne” che inneggiano agli assassini dei poliziotti.

Le società sportive. Qualcuno può spiegare come mai negli stadi, fra tornelli e controlli all’ingresso, è vietato portare perfino una bottiglietta di acqua minerale, e invece continuano a entrare fumogeni e altri oggetti pericolosi? È che questi ultimi non entrano dai cancelli. È che non sempre le maglie delle società sono strette. È che, quando qualche dirigente di società – vale per tutti il caso di Claudio Lotito – mostra di volersi sottrarre al ricatto della curva, è costretto a girare sotto scorta. A proposito delle società; ci si è scandalizzati, e giustamente, del ruolo avuto l’alta sera da Genny ‘a carogna. Ma quante sono le società che non conoscano una linea di confine chiara fra il calcio e la criminalità mafiosa? Gli esempi sono tanti, ed è evidente che, persistendo i rapporti con certi ambienti, un soggetto di area camorrista ben può dettare legge a una curva e dare lui il fischio di inizio.

Il Parlamento. La mia personale esperienza, riferita agli anni nei quali si è riusciti a introdurre progressivamente qualche norma contro la violenza negli stadi, è che alla Camera e al Senato si entra baldanzosi e con le intenzioni più audaci e si esce portando a casa un terzo della proposta iniziale. Chi siede nell’emiciclo non sempre è consapevole che quello scranno è diverso dalla seggiola della curva di un impianto sportivo. Qualche rettifica normativa non guasterebbe: se non il daspo a vita, è ragionevole elevare sensibilmente il minimo dell’interdizione dallo stadio e impedire che, in corso d’opera, l’interdizione stessa sia revocata. Immaginare una specializzazione della magistratura per questo tipo di reati, con locali ad hoc, anche negli impianti sportivi, per celebrare le direttissime, darebbe l’idea dell’immediatezza della risposta: in Inghilterra funziona così, senza che media o politici protestino. Estendere fra le clausole della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, per lo meno per i casi più gravi o per quella disposta per mafiosità, anche il divieto di andare allo stadio, terrebbe lontano da questo camorristi e mafiosi. Deputati e senatori hanno voglia di approvare norme di questo tipo, invece che produrre vibranti quanto inutili interrogazioni dopo ogni evento come quello di sabato scorso?

Ogni singolo tifoso. C’è un dettaglio sul quale i media che hanno raccontato di Napoli-Fiorentina si sono soffermati solo come notizia di cronaca, senza dedicare particolari commenti: quando Alessandra Amoroso ha intonato l’inno nazionale, è partita una carica di fischi, accompagnata da ingiurie contrapposte fra tifoserie. A fischiare non è stato Genny ‘a carogna o qualche ultras strafatto di droga: sono state migliaia di persone, la gran parte delle quali certamente prive di precedenti penali. Che l’inno della nostra Nazione, incontri o meno i nostri gusti, sia accolto dai fischi di una metà dello stadio, è grave quasi come un paracamorrista che dirige l’ordine pubblico. Per questo non ci sono leggi o azioni di governo che servano. C’è bisogno di senso civile e di un livello minimo di amor di Patria: se non siamo capaci di dimostrarlo, non ce li possono dare né Montecitorio né Palazzo Chigi.