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CONTINENTE NERO

Violenza sui minori: un passo avanti. E due indietro

La violenza sui minori è molto diffusa anche in tempo di pace, specie nei paesi in cui è istituzionalizzata. Matrimoni forzati di minorenni e mutilazioni genitali femminili sono duri da combattere. Tre casi lo dimostrano: per una buona notizia di liberazione (in Italia) ce ne sono due cattive, in Tanzania e Sierra Leone.

Esteri 05_10_2016
Sposa bambina in Africa nera

Le guerre non risparmiano i bambini, non lo hanno mai fatto. Uccisi, violati, resi orfani, rapiti, arruolati a forza, stremati da fame e stenti, privati di cure e istruzione, persino marchiati a fuoco e mutilati, come accadde in Sierra Leone tra il 1991 e il 2002 durante la guerra civile: i bambini sono vittime di guerra in tanti terribili modi. Ma molti bambini, centinaia di milioni di bambini non sono al sicuro nemmeno in tempo di pace.

Sappiamo quante diverse forme di violenza possono minacciare e compromettere la loro vita. Le peggiori, le più difficili da contrastare sono quelle consentite e prescritte. Dove ad esempio i matrimoni infantili sono ammessi dalla legge e generalmente approvati, le bambine non hanno scampo. Né hanno scampo quelle nate in società in cui le mutilazioni genitali femminili sono prescritte: quando arriva il loro tempo, gli interventi devono essere eseguiti o patiranno l’ostracismo sociale, loro e le loro famiglie. Per salvarle occorrono leggi che proibiscano le istituzioni lesive dei loro diritti e le sanzionino, nell’attesa che un numero preponderante di persone ne capisca l’ingiustizia e smetta di praticarle, il che richiede tempo perché quasi sempre si tratta di tradizioni solide, radicate: al punto da sopravvivere anche in contesti sociali ed economici del tutto estranei ad esse.

Il 23 settembre la Corte di Cassazione ha disposto un nuovo processo per il padre di una adolescente di 15 anni, immigrata in Italia dal Bangladesh con la propria famiglia, costretta dai genitori a sposare un connazionale che l’ha sottoposta a maltrattamenti e violenze sessuali finché nel 2012 la giovane sposa, dopo aver chiesto più volte inutilmente aiuto al padre, si è rivolta ai suoi insegnanti. Per complicità negli abusi inflitti alla figlia, l’uomo era stato condannato a una pena lieve – 22 mesi di carcere – motivata dal contesto culturale di origine: per tradizione in Bangladesh i matrimoni delle figlie si combinano e i mariti hanno indiscusso potere sulle mogli. 

La lotta alle istituzioni che violano i diritti dei bambini registra tuttavia successi incoraggianti. Ma i passi avanti spesso si rivelano labili, illusori: le cose non cambiano sostanzialmente anche dopo l’adozione di una legge o la ratifica di un protocollo internazionale. 

Il Tanzania lo scorso luglio ha varato una legge che vieta il matrimonio dei minori di 18 anni. La notizia è stata accolta con entusiasmo poiché ogni anno milioni di bambine e adolescenti in Africa sono costrette a sposarsi perché incinte o sotto la pressione di genitori ansiosi di intascare il prezzo della sposa. In Tanzania il 37% delle donne si sposano prima di diventare maggiorenni, una delle percentuali più alte del mondo. Nell’annunciare la nuova legge il presidente John Magufuli aveva avvisato che le pene per i trasgressori sarebbero state molto severe: 20 anni di carcere per il marito e per i genitori di ragazze sposate minorenni. Neanche un mese dopo, però, è arrivata la doccia fredda: il governo ha deciso di ricorrere contro la legge. 

Un’altra brutta notizia arriva dalla Sierra Leone dove Elsie Kondoromoh, una donna arrestata per aver eseguito un intervento di  mutilazione genitale femminile, è stata rilasciata dalla polizia dopo che centinaia di sue “colleghe” armate di bastoni avevano inscenato una manifestazione di protesta attorno al carcere in cui era detenuta e presso l’ospedale dove Khadija, la giovane di 28 anni da lei mutilata, è ricoverata. Khadija sostiene di essere stata sequestrata da Elsie e da alcune altre donne e mutilata a forza. Elsie replica che è stata Khadija a volere l’intervento, vergognosa del suo stato e stanca di essere presa in giro dalle altre donne tutte già operate. Per tradizione infatti le mutilazioni genitali devono essere eseguite durante l’infanzia o l’adolescenza. Nessun uomo d’onore chiede in moglie una donna che non è stata “tagliata”, nessuna famiglia è disposta ad accoglierla e a pagare per lei il prezzo della sposa.   

Elsie Kondoromoh ricopre una delle più alte cariche nella Soweis, la potente, temuta società segreta delle donne che eseguono le mutilazioni, presente in ogni villaggio e in ogni città del paese. Nel 2013, mentre imperversava l’epidemia di Ebola che in Sierra Leone ha ucciso quasi 4.000 persone, il governo ha proibito le mutilazioni genitali femminili che però continuano a essere praticate. Negli ultimi mesi, anzi, risulta che gli interventi si sono moltiplicati.  

In Egitto le mutilazioni genitali femminili sono state vietate molto prima, nel 2008, ma anche lì l’istituzione sopravvive: l’87% delle donne di età tra 15 e 49 anni sono escisse o infibulate. A maggio, dopo che una bambina è morta in seguito a un intervento, l’ONU ha chiesto al governo egiziano di intervenire con più severità e, a fine agosto, il parlamento ha deciso di inasprire le sanzioni. Adesso è previsto il carcere da cinque a sette anni per chi esegue le operazioni, mentre prima era da tre mesi a due anni, e fino a 15 anni nel caso di decesso o di lesioni gravi. Ma non tutti hanno votato a favore. Un parlamentare, Ilhami Agina, spiega perché basandosi su “solide evidenze scientifiche”. È indispensabile ridurre il desiderio sessuale nelle donne tramite le mutilazioni genitali prescritte dalla tradizione – dice – perché è dimostrato che metà degli uomini egiziani sono impotenti, prova ne sia che l’Egitto è uno dei maggiori paesi importatori di stimolatori sessuali.