Vietato vietare la preghiera davanti alle cliniche
La Corte Suprema ha cassato la legge dello Stato del Massachusetts che istituisce, davanti alla cliniche in cui si praticano aborti, la cosiddetta buffer zone, che "protegge" le madri prossime all'interruzione di gravidanza dalle preghiere dei cristiani.
Mentre Giovanna Botteri, corrispondente della Rai dagli Stati Uniti, fa di tutto per depistare l’informazione sul “caso Hobby Lobby” (per lei si tratterebbe di un brutto esempio di sessismo sciovinista con cui i sei maschi della Corte Suprema federale di Washington hanno represso lo spirito de «l’utero è mio e lo gestisco io» incarnato dalle tre giudici donne di quella stessa assise…), da Oltreoceano arriva un’altra importante sentenza emessa dai massimi giudici costituzionali del Paese a difesa di un principio non negoziabile.
La Corte Suprema ha infatti cassato la legge varata nel 2007 dallo Stato del Massachusetts che istituisce davanti alla cliniche in cui si praticano aborti la cosiddetta buffer zone, un vero e proprio “cordone sanitario” di 35 piedi (10 mt. e 668 cm.) che isola le madri prossime all’interruzione volontaria della gravidanza dal resto del mondo, pena l’intervento della polizia. E questo con l’intento evidente di non permettere a nessuno di provare in extremis a convincere quelle madri a desistere. Negli Stati Uniti, infatti, davanti agli abortifici si svolge quotidianamente da decenni la battaglia di preghiera e convincimento dei pro-lifer che cercano ostinatamente di salvare vite umane e che in tantissimi casi ci riescono, ostacolati in tutti i modi dagli “angeli della morte” delle troppe sigle filoabortiste che invece fanno di tutto per ottenere l’esito contrario, sbeffeggiando e ingiuriando i pro-lifer, “scortando” le madri prossime all’aborto e, appunto com’è successo in Massachusetts, ricorrendo persino al legislatore compiacente.
Ma una volta tanto è andata male, e la Corte Suprema, davanti alla quale la pessima legge dell’ultra-liberal Massachusetts era finita, ha detto chiaro e netto che non se ne parla nemmeno, che una norma così è ridicola e assurda, e che si tratta di una violazione lampante anzitutto della libertà religiosa e in secondo luogo della libertà di espressione che la Costituzione federale garantisce inamovibilmente a qualunque cittadino americano. E la Corte Suprema di Washington l’ha fatto con una lucidità e una nettezza che hanno ben pochi precedenti. Lo ha infatti sentenziato all’unanimità, senza nessun parere contrario, senza che alcun giudice di quella suprema magistratura giuridica, maschio o femmina che fosse, avesse alcunché da obiettare (tant’è che sul punto il silenzio delle varie Giovanna Botteri è assordante…).
Davanti alla Corte Suprema il caso della “buffer-zone” ci è arrivato per iniziativa di un arzilla nonna di 77 anni, Eleanor McCullen, che si è sobbarcata il fardello e che ha deciso di vedere se i garanti supremi delle libertà costituzionali americane se la sentivano di vidimare un abuso di questo genere. E così il supremo tribunale americano, pur consentendo ai parlamenti di Stato di legiferare in modo da proteggere (per tutti) gli accessi alle cliniche, ha stabilito incontrovertibilmente che nessuno può proibire l’esercizio della libertà di espressione su suolo pubblico, correttamente distinguendo tra chi protesta (magari in modo eccessivo e contrario alla libertà delle persone) e chi invece propone civilmente e urbanamente un’alternativa alle madri in procinto di abortire. Non è un sofisma, né un cavillo da azzeccagarbugli: è un modo nitido per tutelare sempre e comunque la libertà dei cittadini, prevenendo qualsiasi azzardo o molestia da parte di chicchessia (la bontà di una causa non autorizza nessuno a passare dalla parte del torto), ma al contempo impedendo che questa norma in positivo si ritorca in negativo contro la libertà stessa degli americani, ostacolando le opere di bene compiute nel rispetto di una legge che vale per tutti (compreso chi quel bene non lo riconosce affatto, e magari persino lo combatte). La laicità dello Stato è salva, l’equidistanza tra le fedi (e tra credenti e non-credenti) è più che al sicuro, ma al contempo (anzi, proprio in questo modo) la legge tutela positivamente chi compie il bene.
Come detto, la ratio è la difesa della libertà di opinione e prima ancora la tutela della libertà religiosa (quella che nella Costituzione federale americana fonda tutte le altre libertà civili, compresa la suddetta libertà di opinione): perché negli Stati Uniti impedire di affermare in pubblico il valore sacro della vita umana (come fanno i credenti ma anche diversi non credenti) è da sempre un reato, a maggior ragione impedire di affermarne (come fanno i credenti) il suo fondamento religioso. È straordinario riflettere sul fatto che questa basilare decisione presa all’unanimità dall’organo che negli Stati Uniti tutela le libertà fondamentali dei cittadini, e che per mezzo di esse difende dunque i “princìpi non negoziabili”, sia giunta il 26 giugno, nel pieno di quella crociata di preghiera, il “Fortnight for Freedom”, con cui la Conferenza episcopale cattolica statunitense ha chiamato a raccolta gli americani per celebrare appieno il senso dell’identità americana. E poi c’è chi pensa che la preghiera non porti frutto…