Vietare l'adozione gay non basta Ecco perché
Se dal ddl Cirinnà si toglie la stepchild adoption, ma si mantiene tutto il resto, si introduce con altro nome il matrimonio gay. Non sarà necessario allora attendere la Consulta o le Corti europee: qualsiasi giudice italiano sarà legittimato a intervenire per sanare la “discriminazione”.
Prime pagine dei quotidiani. Scontro fra partiti che sorreggono la maggioranza di governo e all’interno di ciascuno di essi. Incertezze e divisioni pure nelle forze politiche di opposizione. Levate di scudi perché i vescovi italiani sottolineano l’ovvio. Uno dei sintomi più evidenti della crisi della politica e delle istituzioni è costituito dal clamore così forte per una questione che interessa una frazione piccolissima di residenti in Italia, e che trova già ampia risposta nell’ordinamento vigente.
Come ha ricordato qualche settimana fa il prof. Giancarlo Blangiardo in un magistrale intervento su Avvenire, i dati dell’ultimo censimento, che si basano non su generiche stime, ma su ciò che ogni cittadino comunica sulla propria condizione, riferiscono di circa 7.500 persone che nella Penisola hanno l’esperienza di una convivenza omosessuale. Immaginiamo che una parte di conviventi non abbia inteso segnalare all’Istat la propria situazione: sarà il doppio? Parliamo di 15.000 abitanti su 60 milioni. Una parte delle quali non è in alcun modo interessato a trasformare l’unione di fatto in “matrimonio”. E con una legislazione che - tranne che per reversibilità, legittima e adozione - tutela i partner di quel tipo di rapporto esattamente come tutela i coniugi: dalla visita in ospedale alla successione nella locazione, dal risarcimento danni al permesso per malattia. Che invece di dedicarsi alle reali emergenze sociali i media e il dibattito politico si concentrino su quel che interessa potenzialmente lo 0,025 % della popolazione, ma nei fatti ancora di meno, e che è già ampiamente tutelato dalla legge, conclama la matrice ideologica dello scontro in atto.
Coglie nel segno monsignor Nunzio Galantino quando segnala lo strabismo di una politica e di «un governo che sta investendo tantissime energie per queste forme di unioni particolari e, di fatto, sta mettendo nell’angolo la famiglia tradizionale che deve essere il pilastro della società». Sono evidenti i motivi vessillari dei promotori del ddl Cirinnà, esistono per i suoi promotori motivi vessillari: molti di loro invocano come precedenti divorzio e aborto, a conferma che puntano a un ulteriore decisivo passo verso la disarticolazione dell’istituto familiare e il disorientamento nella educazione dei figli! Essendo questa la posta in gioco, proviamo a capire quali sono le ultime novità: su questo giornale abbiamo già esaminato il testo apparentemente “nuovo” - in realtà del tutto sovrapponibile al precedente - del ddl sulle unioni civili.
É un testo che mette a disagio tutti, a cominciare dal presidente del Consiglio: il quale sa bene che la maggioranza degli italiani non è contraria al riconoscimento dei diritti individuali dei conviventi dello stesso sesso, ma è invece ostile al matrimonio e all’adozione gay. Il premier ha più fronti aperti: da quello sindacale a quello dello scuola; non è entusiasta di contrastare frontalmente quel popolo delle famiglie che è sceso in piazza a Roma il 20 giugno scorso, né di opporsi così platealmente alla Conferenza episcopale. Da un lato, non può perdere consensi alla sua sinistra né a favore di M5S, che lo incalza sul punto, dall’altro - al di là delle sue personali convinzioni - sa che quel milione di persone può soltanto crescere se si prescinde dalle ragioni che lo hanno portato in piazza. È stretto fra l’esigenza di una approvazione rapida del ddl, che chiuda la partita col minimo danno, e il dissenso che cresce nei suoi confronti partendo da temi così delicati.
Questo spiega il suo andare a zig-zag, servendosi dei ballon d’essai lanciati dalla Boschi: quando costei annuncia che la discussione del ddl riprenderà a gennaio, Renzi valuta la consistenza delle immediate reazioni negative del mondo Lgbt e di chi lo rappresenta dentro e fuori la maggioranza; quando la ministra, a distanza di poche ore, ipotizza la trattazione anche a novembre, Renzi verifica quanto sono decise le reazioni dell’altro fronte. Tutto ciò fa capire che non ha ancora scelto i tempi, e probabilmente neanche l’assetto definitivo del ddl: sta comparando i pro e i contro, con un occhio attento agli umori degli italiani, e quindi a quel che dicono in proposito i sondaggi.
Analoga incertezza sembra avere il leader di Ncd: lui in particolare, mentre la pattuglia dei suoi esponenti che hanno seguito finora il ddl Cirinnà al Senato mostra di voler continuare con decisione la battaglia politica nel merito. Per settimane Alfano ha ribadito due punti: il primo è che la sorte del governo non dipende dalla sorte del ddl; il secondo è che sarebbe stato essenziale stralciare dal ddl l’articolo 5, riguardante la c.d. stepchild adoption. Il primo punto è stato letto dal presidente Renzi come una sorta di via libera in materia: ti voterò contro, ma la maggioranza non ne risentirà; il secondo punto - come abbiamo ripetuto più volte - conduce alla completa disfatta nella sostanza. La Corte costituzionale italiana e le due Corti europee hanno scritto che - salvi i diritti essenziali - ciascuno Stato ha piena autonomia nel normare i conviventi e i coniugi in modo distinto o eguale; se però un ordinamento di fatto parifica la disciplina delle convivenze a quelle delle coppie sposate, diventa discriminatorio escludere per le prime ciò che si prevede per le seconde.
Se dal ddl Cirinnà si toglie la stepchild adoption, ma si mantiene tutto il resto, e cioè il rito di avvio dell’unione - davanti all’ufficiale dello stato civile e alla presenza di due testimoni -, il richiamo agli articoli del codice civile che disciplinano il matrimonio, la pensione di reversibilità e la partecipazione alla quota di legittima per la successione, e infine si autorizza ogni Comune a trascrivere in Italia i matrimoni same sex contratti all’estero, si introduce con altro nome il matrimonio gay. Non sarà necessario allora attendere la Consulta o le Corti europee: qualsiasi giudice italiano sarà legittimato a intervenire per sanare la “discriminazione” e ritenere legittima per i civil-uniti non già la stepchil adoption bensì l’adozione tout court.
Nell’intervista al Corriere della sera di ieri, il ministro dell’Interno mostra consapevolezza del rischio, tant’è che pone un freno non solo alla stepchild adoption, bensì pure all’equiparazione fra unioni e matrimonio. La novità è di peso: per la prima volta Alfano si esprime in questi termini, più propri e completi. Si tratta di capire se e quali conseguenze avranno queste dichiarazioni: se le parole hanno un senso, il seguito dovrebbe essere la richiesta al partner di maggioranza non solo di stralciare la simil-adozione, ma anche quella di eliminare il simil-matrimonio. Attendiamo che ciò venga formalizzato da Ncd; soprattutto, attendiamo di capire se il cambio di rotta su questo aspetto si tradurrà in una rettifica sulla tenuta della maggioranza: fare un discorso più serio sul merito, ma continuare a dire che il tema è di natura parlamentare, per cui di fatto si accetta il risultato dell’aula, quale che sia e senza effetti sul governo, avrebbe il senso di una presa in giro non di poco conto. E se ciascuna delle famiglie che il 20 giugno ha affrontato a proprie spese il viaggio a Roma e i disagi di presidiare piazza S. Giovanni con i propri bambini, nonostante ogni tipo di difficoltà, è perché non accetta di essere presa in giro. É pronta a ribadirlo e attende al varco.