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NON NEGOZIABILI

VIDEO - Su vita e famiglia zero compromessi, ma Cei e politici cattolici non vogliono capire

Sono passati solo nove mesi dall’approvazione della Legge Cirinnà e, in barba a tutti i "paletti", la totale equiparazione tra Unioni Civili e Matrimonio è già avvenuta. Lo dimostrano le sentenze degli ultimi giorni: utero in affitto e adozione tout court per le coppie gay. C’è da stupirsi? Niente affatto. E’ accaduto esattamente lo stesso per aborto, divorzio e fecondazione assistita. La morale è semplice: sui principi non negoziabili non si può accettare alcun compromesso politico. Eppure la Cei e i parlamentari cattolici non vogliono capirlo e sul "fine vita" stanno ripetendo lo stesso errore.

 

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Articoli tematici 11_03_2017
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Sono passati solo nove mesi dall’approvazione della Legge Cirinnà e, in barba a tutti i paletti e i distinguo, la totale equiparazione tra Unioni Civili e Matrimonio è già avvenuta. Lo dimostrano le sentenze degli ultimi giorni secondo le quali, non solo la cosiddetta stepchild adoption è prassi ultra-consolidata, ma si è arrivati anche a legittimare l’utero in affitto e a riconoscere l’adozione tuot court alle coppie omosessuali. C’è da stupirsi? Niente affatto. E’ esattamente lo stesso copione che è già andato in scena per le leggi su aborto, divorzio e fecondazione assistita. Ora è d’obbligo domandarsi: cosa ci insegnano queste vicende? Una cosa molto semplice: sulle questioni riguardanti la vita, la famiglia, la libertà di educazione… insomma, sui principi non negoziabili non si possono accettare compromessi politici. Qualsiasi compromesso, quand’anche minimo, apre una strada che porta dritta alla distruzione di questi stessi principi. La lezione è chiara, ma evidentemente non è stata ancora capita. Adesso ci troviamo a discutere la legge sul “fine vita” (ovvero le Dat= dichiarazioni anticipate di trattamento) e cosa accade? Si ripete lo stesso schema: parlamentari cattolici e gerarchie della Chiesa italiana sono a favore della legge. E così finisce che anche i cattolici, ovviamente in buona fede, danno il loro contributo a quella che Giovanni Paolo II chiamava la “cultura della morte”.