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VATICANO

Vertice abusi, perché non può avere soddisfatto le vittime

Come previsto, il vertice sugli abusi sessuali concluso ieri in Vaticano ha seguito un copione già scritto, dove le parole d'ordine - clericalismo, sinodalità, trasparenza - sono servite a nascondere più che a rivelare, a dare l'idea di un cambiamento radicale quando invece si sta facendo resistenza al cambiamento avviato già da Giovanni Paolo II.
- IL PAPA: ABUSI SUI MINORI COME SACRIFICI UMANI, di Nico Spuntoni

Ecclesia 25_02_2019

Ascoltare le vittime, ha tante volte ripetuto papa Francesco, non solo in questi giorni. E il Vertice vaticano sulla protezione dei minori, chiuso ieri, è iniziato proprio con la testimonianza di alcune vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti. Ascoltare le vittime: giusto, perché quando si parla di abusi sessuali – soprattutto su minori, ma anche su adulti - troppo spesso se ne parla in modo astratto, come di un problema sì, ma che in fondo non ci tocca da vicino e soprattutto è una grana da risolvere. Dopo questi giorni, avendo ascoltato diverse testimonianze, è auspicabile che i presidenti delle Conferenze episcopali tornino nei loro paesi con una consapevolezza diversa sia delle conseguenze degli abusi sia della gravità degli atti commessi da sacerdoti e vescovi. E da qui almeno potrebbe nascere qualcosa di buono se questa maggiore consapevolezza si tradurrà in azioni concrete.

Ma detto questo, e mettendoci dalla parte delle vittime, potremmo essere soddisfatti da quanto è stato detto e fatto in questi giorni di incontri? Ne dubitiamo fortemente. Abbiamo sentito tante parole, soprattutto tante parole d’ordine: clericalismo, sinodalità, collegialità, trasparenza. Abbiamo già argomentato sulla erroneità o parzialità di questi concetti. Ma soprattutto l’impressione forte è che siano state parole che più che rivelare e spiegare siano servite a nascondere, a gettare fumo, a dare l’idea di un cambiamento radicale mentre invece si fa resistenza a quel cambiamento avviato da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Una sorta di gioco di prestigio, insomma, dare l’impressione che accada qualcosa mentre in realtà sta succedendo tutt’altro.

Si parla di azioni concrete, di trasparenza: ma la prima cosa che ci si aspetterebbe allora è fare chiarezza sulla vicenda dell’ex cardinale Theodore McCarrick, il cui caso è anche all’origine di questo summit. Invece si sta facendo di tutto per evitare che si faccia luce su quella rete di complicità che ne ha permesso la lunga attività di abusi e nello stesso tempo una grande carriera ecclesiastica. Non solo, i vescovi e cardinali che sono tali grazie all’amicizia con McCarrick vengono addirittura promossi. Cosa dovrebbero pensare le vittime di McCarrick – che sono tante – vedendo che il cardinale Cupich organizza il vertice sugli abusi sessuali; che il cardinale Wuerl viene omaggiato di un messaggio dal Papa che ne esalta le qualità personali e quasi lo descrive come un martire; che il cardinale Farrell – che con McCarrick ha convissuto diversi anni – è stato appena nominato Camerlengo di Santa Romana Chiesa? E che cosa dovrebbero dedurre dal fatto che alla Conferenza episcopale americana non è dato di svolgere un’indagine approfondita su tutta la vicenda, compreso l’accertamento delle complicità nella Curia Romana?

Si parla di clericalismo, di abuso di potere, come origine del problema. Ma è puro buon senso constatare che l’abuso di potere è una conseguenza di un disordine precedente, e si può esprimere in diversi modi. Anche il mobbing è abuso di potere, anche il “nonnismo” lo è, e anche l’uso della violenza sulle persone più deboli. Se si esprime con la violenza sessuale è la causa di questa che va ricercata; e se l’80% degli abusi sono atti omosessuali non si può eludere il problema affermando – come ha fatto monsignor Scicluna, uno dei protagonisti del summit – che l’orientamento sessuale non predispone al peccato. Nessuno vuole affermare che le persone con tendenze omosessuali siano tutte potenziali abusatori, ma allo stesso tempo se la stragrande maggioranza delle violenze sono commesse da persone che hanno queste tendenze un motivo ci sarà. Nasconderlo, fare finta di niente non è di grande consolazione per le vittime di questi predatori.

Nella lettera aperta pubblicata alla vigilia del summit, i cardinali Raymond Burke e Walter Brandmüller spiegavano che gli abusi sui minori e «l’agenda omosessuale» sono parte di «una crisi ben più vasta»: «Le radici di questo fenomeno evidentemente stanno in quell’atmosfera di materialismo, di relativismo e di edonismo, in cui l’esistenza di una legge morale assoluta, cioè senza eccezioni, è messa apertamente in discussione». In altre parole la grave colpa dei preti sta «nell’essersi allontanati dalla verità del Vangelo. La negazione, anche pubblica, nelle parole e nei fatti, della legge divina e naturale, sta alla radice del male che corrompe certi ambienti della Chiesa». In qualche modo le relazioni e gli interventi di questi giorni hanno confermato questo giudizio. Si è parlato dell’argomento senza mai fare riferimento al Vangelo o al sesto comandamento, nessun riferimento a Padri e Dottori della Chiesa, neanche si è guardato a modelli di santi della castità.
Possono delle vittime sentirsi rassicurate dal fatto che dei pastori che dovrebbero indicare la strada del Paradiso, affrontano questi problemi come farebbe un amministratore delegato di un’azienda?

E poi la sinodalità, le giuste procedure per far sì che le denunce delle vittime vengano rapidamente accertate. Ma di questo si è parlato come se finora non ci fosse stato nulla. Non è vero, le procedure già ci sono. Certo, possono essere migliorate, possono essere rese più rigide, ma i casi più clamorosi sono quelli dove le procedure sono state seguite e poi, arrivate a un certo punto, si sono interrotte perché certi “amici” hanno fatto in modo di far sparire i dossier: non solo il caso McCarrick, ma anche padre Marcel Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, il cardinale britannico Cormac Murphy O’Connor. E il vescovo argentino Gustavo Zanchetta, un caso di estrema attualità: sono emerse in questi giorni le prove che ci dicono che la Santa Sede ha mentito non più di un mese e mezzo fa. E come si fa a dare credito a chi da una parte parla di trasparenza e dall’altra cerca di coprirsi?

Non solo, ma in Vaticano c’è già un ufficio che lavora per esaminare tutte le denunce che arrivano a Roma: è una sezione della Congregazione per la Dottrina della Fede, che aveva 10 funzionari; sarebbero dovuti aumentare di almeno tre unità per fare fronte in modo scrupoloso a tutti i casi da affrontare; c’era la promessa, ma invece nel 2017 ne sono stati mandati via tre, senza fornire spiegazioni, e quella sezione si trova tuttora con una diminuzione di personale.
Poi non si può biasimare le vittime se perdono la fiducia nella volontà di mettere a posto le cose.

Invece di creare nuove commissioni, che sono soltanto fumo negli occhi e poi sono causa di ulteriori discussioni e spaccature, basterebbe rafforzare le strutture che già esistono per accelerare i processi e accertare con scrupolo i fatti contestati a preti e vescovi.