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Le parole del Papa

Verità senza più diritti, così cambia la dottrina, cari pompieri

Molti cattolici dicono che la richiesta di papa Francesco di riconoscere giuridicamente le coppie omosessuali non intacca la dottrina. Molti di essi sono espressione autorevole del mondo pro life e pro family. Sono in prima fila dal Circo Massimo ad oggi, e anche da prima. Dobbiamo quindi aspettarci una prossima mobilitazione di quel mondo a favore dei diritti delle coppie omosessuali, oppure una sua spaccatura. Per questo è importante verificare se l’idea che il Papa non abbia intaccato la dottrina sia sostenibile o meno. A mio avviso non lo è.

Facciamo una piccola esercitazione insieme. Esaminiamo la frase dimenticando che l’abbia detta il papa, vediamola nel suo significato letterale, senza effetti-alone di contorno: “Ciò che dobbiamo creare è una legge sulle unioni civili. In questo modo sono coperti legalmente”.  Certamente qui non si dice che il racconto della creazione dell’uomo e della donna contenuto nel Genesi è sbagliato. Non si afferma che il settimo comandamento è da cancellare dal Decalogo. Non si sostiene che le parole di San Paolo contro la sodomia devono essere eliminate dal Canone. Non si dispone di togliere i paragrafi del Catechismo sull’omosessualità né di abrogare l’Istruzione della Dottrina della Fede del 2003. Non si dice nemmeno che la famiglia non è più da considerarsi fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. La frase in questione non afferma niente di tutto ciò. Ma è consentito, per questo motivo, considerarla estranea alla dottrina cattolica, che quindi non ne verrebbe toccata?

Mi sembra di grande evidenza che non sia possibile farlo. La frase propone che l’autorità politica riconosca giuridicamente la coppia omosessuale e che ne garantisca i diritti, diritti non solo degli individui coinvolti ma della coppia, o degli individui in quanto coppia. Ciò significa che la relazione omosessuale è considerata un bene pubblico da disciplinarsi e tutelarsi da parte dell’autorità politica. Ora, presentare come un bene pubblico la relazione omosessuale è contrario alla dottrina perché implica considerarlo un bene, mentre la dottrina dice che non lo è. Non vedo come si possa negare una simile evidenza. Dicendo che l’omosessualità è un oggettivo disordine, la dottrina considera la relazione omosessuale come non ordinabile ad un fine buono, ossia come un male e non un bene. Il riconoscimento pubblico non rispetta questa dottrina e quindi chi chiede il riconoscimento pubblico chiede una cosa contraria alla dottrina, una cosa che per consentirla bisognerebbe rovesciare la dottrina. Per negare una dottrina non è necessario farlo direttamente ed espressamente, è sufficiente promuovere un’azione che si giustifica solo con la negazione di quella dottrina, e automaticamente quella dottrina viene negata. È un sillogismo: è bene riconoscere giuridicamente le coppie omosessuali, la dottrina cattolica non considera un bene le coppie omosessuali, la dottrina cattolica su questo punto è sbagliata.  

La frase in questione non nega solo la dottrina sull’omosessualità, ma anche la dottrina del diritto e dell’autorità politica. I diritti della coppia omosessuale, o meglio degli individui in quanto membri di una relazione omosessuale, non esistono. Manca infatti il dovere che li fonda e li legittima. Il desiderio individuale non è mai fonte di legittimazione, esso infatti dà vita anche a delle violenze. Quanto all’autorità politica, essa non ha il potere di riconoscere dignità pubblica a relazioni che sono contrarie al bene comune, che è il fine legittimante la stessa autorità politica. Una cosa contraria al diritto naturale può essere tollerata ma non legittimata. Come si vede, la frase demolisce anche altri due aspetti non secondari della dottrina. Si pensi a cosa sarebbe ridotta la Dottrina sociale della Chiesa senza questi due principi.

I sostenitori dell’idea che sto confutando potrebbero dire anche che la frase ammette sì l’unione civile tra persone omosessuali ma non la equipara alla famiglia naturale e non mette in discussione l’unicità e il primato di quest’ultima. Essa, quindi, non intaccherebbe la dottrina anche per questo motivo. Ma per giustificare le unioni civili non è sufficiente non equipararle alla famiglia naturale, bisogna vedere se siano giuste o meno in sé. E siccome non sono giuste rimangono inaccettabili anche se le si tiene distinte dalla famiglia naturale. In fondo anche la legge Cirinnà le ha tenute distinte, facendole discendere all’articolo 2 e non dal 29 o il 30 della Costituzione.

Ammettiamo poi che io mi trovi a dialogare in un contesto pubblico con una persona omosessuale che mi chiede se debba mandare in parrocchia i tre figli suoi e del suo compagno. Questi figli sono o adottati o concepiti per inseminazione artificiale con sacrificio di embrioni umani, e loro, i figli, prodotti come delle cose e commercializzati tramite le banche del seme. I bambini sono anche senza la mamma. Se io nel video non pongo la questione di questa relazione profondamente ingiusta e discuto solo della presenza dei bambini in parrocchia, nego la dottrina. Accetto infatti di considerare normale una situazione di grave ingiustizia in sé e per gli effetti che provoca, normalità che per essere accettata richiede un rovesciamento radicale della dottrina. Anche questo è un modo evidente, anche se indiretto, per negare la dottrina.

Uscendo ora dalla esercitazione: quella frase del papa e il suo colloquio con la coppia di omosessuali hanno chiaramente contraddetto la dottrina e stanno su questo spaccando la Chiesa. Comprendo l’azione dei pompieri. A nessuno fa piacere dire che il Papa sbaglia su questioni di dottrina. Non giustifico però, perché anche la verità ha i suoi diritti. A meno che non sia verità, per esempio, l’accettazione dell’adozione per coppie omosessuali espressa del vescovo Giovanni Ricchiuti (Pax Christi). In questo caso la verità non avrebbe più diritti perché non esisterebbe più. Ma finché esiste ha i suoi diritti, anche per il Papa.

Gender Watch 25_10_2020