Veri e falsi infiniti
Il lockdown per il Coronavirus ha chiuso oltre alle chiese anche quei luoghi - bar, palestre, centri commerciali - che per le generazioni dopo il '60 sono diventate simboli dei "falsi infiniti", piccoli piaceri in cui ci si illude di trovare duratura soddisfazione. Un'occasione per alzare lo sguardo verso il "vero infinito", ciò di cui i piccoli piaceri quotidiani sono segno.
Il drammaturgo Arthur Miller, mentre scriveva, teneva un biglietto in bella vista di fronte a lui con su scritto una parola: rimandare. Era un promemoria per se stesso per evitare di rivelare indizi decisivi fino all'ultimo momento, in modo da mantenere le congetture e il coinvolgimento del pubblico fino all’ultimo atto. In un certo senso, questo metodo coglie anche un aspetto chiave della sensibilità religiosa. La persona "religiosa" tende più di altri a rimandare la soddisfazione e a rinunciare al piacere o alla ricompensa immediati in previsione di un premio finale sul lato più lontano dell'orizzonte. La persona religiosa sa che ogni cosa materiale alla fine delude.
Joseph Ratzinger, molti anni fa, ci ha messo in guardia dai "falsi infiniti" che potrebbero indurci in errore sulla natura dell'esistenza. Gli "infiniti" di qualche tipo - soddisfazioni false o reali - sono essenziali. Altrimenti, gli esseri umani si bloccherebbero immediatamente, come se le loro batterie si fossero improvvisamente esaurite.
Il desiderio di infinito e di eterno, per l'abbraccio del Creatore che ci genera, è in definitiva ciò che ci consente di trascendere il limite dei falsi infiniti, che ci portano fuori strada e ci lasciano sempre svuotati.
L'uomo, deviato dall'orizzonte ultimo, diventa stanco e scettico. Il materialismo si interpone tra lui e la vera meta del suo desiderio. Per un certo periodo questa intrusione procede inosservata; ma nel corso della sua vita, un uomo scopre che il suo desiderio per le cose terrene perde la sua attrattiva con rapidità crescente, scopre che i falsi infiniti diventano illusori. Quando ciò accade, un uomo guarderà di nuovo in alto verso l'orizzonte, o in basso verso il fondo di un bicchiere o una boccetta di pillole alla ricerca di residui di speranza. Seguire questi tentativi di autoinganno è la nostra ineluttabile consapevolezza che non siamo in grado di trovare in questa dimensione ciò che cerchiamo: non possiamo ottenere alcuna soddisfazione. Ma ci proviamo e ci proviamo e ci proviamo e ci proviamo.
Nell'enciclica Spe Salvi, Papa Benedetto XVI ha spiegato il processo attraverso il quale questo funziona attraverso una vita umana:
«L'uomo ha, nel succedersi dei giorni, molte speranze – più piccole o più grandi – diverse nei diversi periodi della sua vita. A volte può sembrare che una di queste speranze lo soddisfi totalmente e che non abbia bisogno di altre speranze. Nella gioventù può essere la speranza del grande e appagante amore; la speranza di una certa posizione nella professione, dell'uno o dell'altro successo determinante per il resto della vita. Quando, però, queste speranze si realizzano, appare con chiarezza che ciò non era, in realtà, il tutto. Si rende evidente che l'uomo ha bisogno di una speranza che vada oltre. Si rende evidente che può bastargli solo qualcosa di infinito, qualcosa che sarà sempre più di ciò che egli possa mai raggiungere. In questo senso il tempo moderno ha sviluppato la speranza dell'instaurazione di un mondo perfetto che, grazie alle conoscenze della scienza e ad una politica scientificamente fondata, sembrava esser diventata realizzabile. Così la speranza biblica del regno di Dio è stata rimpiazzata dalla speranza del regno dell'uomo, dalla speranza di un mondo migliore che sarebbe il vero "regno di Dio". Questa sembrava finalmente la speranza grande e realistica, di cui l'uomo ha bisogno. Essa era in grado di mobilitare – per un certo tempo – tutte le energie dell'uomo; il grande obiettivo sembrava meritevole di ogni impegno. Ma nel corso del tempo apparve chiaro che questa speranza fugge sempre più lontano. Innanzitutto ci si rese conto che questa era forse una speranza per gli uomini di dopodomani, ma non una speranza per me».
Negli anni '60, la libertà è stata ridefinita nelle culture occidentali come l'impulso di incassare all'istante ogni opportunità di piacere, guadagno e ricompensa, con crescente scetticismo su "l'aldilà", che fornisce una logica più ampia. Il risultato è stato un'insoddisfazione collettiva crescente ma non riconosciuta - che equivale a un'alienazione collettiva - mimetizzata dalla creazione di un "ascensore della libertà", su cui libertà precedentemente non riconosciute hanno raggiunto a turno i loro quindici minuti di fama.
I "boomers" (parola terribile, specialmente quando vi sei incluso) avendo già smesso di credere, hanno poi smesso di “rimandare” - anzi hanno ripudiato quella stessa idea - e tutte le generazioni che ne sono seguite hanno implicitamente seguito la loro leadership culturale.
Da allora abbiamo costruito culture in cui la dimensione religiosa - quel certo senso di un luogo oltre l’oltre - è stata strappata dalla coscienza collettiva e può essere preservata all'interno della coscienza individuale solo facendo massima attenzione. La vita continua ma in gran parte a forza di falsi infiniti, che sono diventati importantissimi. Con Dio eclissato nella cultura, anche le anime meglio disposte devono utilizzare come gradini i piccoli piaceri che animano un giorno altrimenti anonimo, privo di significato.
Il mio libro Beyond Consolation, pubblicato dieci anni fa, è stato ispirato dalla morte di Nuala O'Faolain, una collega del giornale per cui scrivevo allora, The Irish Times, a seguito di un cancro che l’ha consumata in breve tempo. Atea, andò in radio subito dopo aver ricevuto la diagnosi definitiva, per parlare del suo dolore e della sua disperazione. In una parte dell'intervista, ha descritto come, dopo aver appreso la notizia, fosse tornata da sola nella sua amata Parigi per rivivere, un'ultima volta, "un po' della gioia di vivere".
Ha prenotato una stanza in un hotel elegante e la mattina dopo è uscita alla ricerca di un bar. Descrisse l'acquisto di un caffè e di una tartina, il sedersi e pensare: “Bene, questo è tutto. Io amo questo." Lei adorava essere lì con la sua copia dell'International Herald Tribune e la sua croccante fetta di pane con il latte macchiato. “E ha funzionato benissimo per mezz'ora. Ma poi sono andata troppo lontana, sono caduta e così via, e non ha più funzionato un granché". Il diavolo è negli aggettivi: "croccante", "macchiato", "internazionale": tutte parole che evocano la libertà, sebbene di un tipo effimero e fragile.
Tuttavia riconosciamo immediatamente l'esplosione di pura gioia che tale evocazione può infondere. La gioia di stare ozioso in un paese straniero in una mattinata di sole in un momento di puro, semplice piacere - un falso infinito reale quanto qualsiasi cosa terrena finché dura, ma qui rivelato nella terribile luce della morte imminente. È così triste: che Nuala non sia riuscita a vedere i "piccoli infiniti" come doni, o segni, di qualcosa oltre. Il percorso religioso ci porta a vedere queste cose in modo che vibrano solo perché rimandano a una promessa di qualcosa di infinitamente più grande.
Il lockdown del coronavirus ci ha portato a un punto in cui, venuti meno molti dei nostri "piccoli infiniti", possiamo affrontare l'orizzonte con una maggiore possibilità di vedere che tutte le gioie, piccole e grandi, provengono dallo stesso posto. È già stato osservato quanto sia strano che Covid-19 abbia colpito l'Occidente all'inizio della Quaresima. Ma mi chiedo se ci sia mai stato prima, in tutta la civiltà occidentale, un momento in cui è stato bloccato contemporaneamente l’accesso sia alle chiese di Dio sia alla maggior parte delle cattedrali di Mammona. Non solo le nostre chiese sono state chiuse, ma anche i centri commerciali, le palestre e i bar, i luoghi in cui le popolazioni occidentali negli ultimi anni hanno inseguito le gioie falso-infinite che, se perseguite ossessivamente, causano un cortocircuito nella connessione Infinito-Eterno-Verità.
Ora, con i centri commerciali e i pub chiusi, dobbiamo entrare in contatto con infiniti di qualsiasi tipo senza l'assistenza degli intermediari. Sebbene malgrado il lockdown ci siano ancora piaceri diversivi offerti da Amazon e YouTube, siamo per lo più confinati alle nostre contemplazioni, preghiere e meditazioni, oppure a quelle varietà di "infinito" di basso livello che possono essere accessibili a casa con apribottiglie, modem o telecomando.
Il materialismo impone a tutti i suoi sudditi una pressione per restringere i loro orizzonti, per avvicinare i loro desideri a se stessi in modo che non tendano più verso un infinito Altro. Nella Germania di oggi, o in Spagna o in Italia o in Francia o in Irlanda, è quasi inutile parlare alla popolazione in generale della speranza che si manifesta nel cristianesimo. Perfino gli anziani sono alla deriva prima del traguardo che avanza verso di loro, e in questa situazione pietrificata si occupano di ciò per cui possono accontentarsi: quei "piccoli falsi infiniti" che fanno sembrare un giorno degno di essere vissuto – una visita al negozio di libri usati per fare qualche buon affare, poi una tazza di caffè nel bar dall'altra parte della strada, la passeggiata nel parco ascoltando un podcast con gli auricolari, incontrare un vecchio amico al cancello e crogiolarsi in un'altra tazza di tè, e così via.
È strano, in un'epoca di incessanti discorsi sulle malattie mentali, che le autorità di così tanti paesi abbiano condannato così allegramente gli anziani - alla deriva su una roccia culturale di nichilismo - alla privazione di questi piccoli piaceri; come se, dopo aver dimenticato l'indispensabilità di Dio, ora abbiano dimenticato l'indispensabilità di ciò che lo ha sostituito.
Ma forse, prima che i mesi di lockdown diventino una mezza memoria a malapena credibile, potremmo trovare il tempo di meditare su un'esperienza che, attentamente osservata, potrebbe permetterci di esaminare più utilmente i meccanismi che ci muovono e comprendere più precisamente la natura del nostro andare. Privati temporaneamente di così tanti dei nostri "piccoli infiniti", forse vedremo che queste gioie transitorie sono solo gradini sulla strada verso gioie durature.
Speriamo che, quando riscopriranno il coraggio, i vertici della Chiesa coglieranno l'opportunità offerta per ricordare ai loro fedeli il vero significato dei momenti terreni di felicità e indirizzarli così verso la natura più profonda della realtà.
* Scrittore e giornalista irlandese