Vera accoglienza significa fermare la guerra
I vescovi della Siria e dell'Iraq ce lo dicono con insistenza: il nodo centrale di questa crisi non è l'accoglienza dei profughi ma fermare il conflitto alle radici. È ora che prendiamo sul serio questi appelli, perché l'aumento dei profughi significa anche perdere la speranza di un futuro per i cristiani in Medio Oriente.
«Dico che il punto centrale non è accogliere e ospitare i profughi, ma è fermare il conflitto alle radici. Tutti devono essere coinvolti, dall’Occidente alle nazioni arabe, dalla Russia agli Stati Uniti. Questo è ciò che aspettiamo, la pace… Non parole sui migranti e discorsi sull’accoglienza. Mai più la guerra». Più chiaro di così il patriarca melchita, Gregorio III Laham, non poteva certo essere, e la sua non è certo una voce isolata: da anni ormai i vescovi iracheni e siriani continuano a chiedere un intervento militare dai paesi occidentali per porre fine alle sofferenze della popolazione, e le voci si sono alzate ancora di più in queste settimane che vedono i cattolici italiani ed europei concentrati soltanto sull’accoglienza.
Già, l’accoglienza. È l’invito pressante che sta facendo il Papa, per soccorrere quanti sono arrivati sui barconi e non solo. «Una famiglia per parrocchia», aveva chiesto nell’Angelus di domenica scorsa: una preoccupazione anche educativa, perché tutti si impari a non voltare lo sguardo da un’altra parte davanti a queste tragedie personali e collettive.
Eppure le parole di Gregorio III non possono lasciarci indifferenti; non abbiamo imparato nulla se ci giriamo dall’altra parte o mettiamo i tappi nelle orecchie quando questi vescovi siriani e iracheni intervengono. Non dicono di mettere da parte l’accoglienza, ma ci dicono che c’è un concetto più ampio e profondo di accoglienza, che non si limita a provvedere un tetto e un piatto a coloro che ormai sono già nelle nostre città. Compito importantissimo anche questo, ci mancherebbe, ma non esaurisce l’orizzonte dell’accoglienza, che è farsi carico di tutti i bisogni della persona che si ha davanti. «Davanti alle guerre che stravolgono il Medio Oriente, il nostro desiderio come cristiani e come Chiesa è quello di rimanere nel nostro Paese, e facciamo di tutto per tener viva la speranza». Così ha spiegato in questi giorni all’agenzia Fides il gesuita mons. Antoine Audo, vescovo di Aleppo dei Caldei e Presidente di Caritas Siria.
Bisogna essere consapevoli che l’arrivo in Europa di tanti siriani è un colpo alla speranza di un futuro dei cristiani in Siria, in Iraq e in Medio Oriente.
La situazione ad Aleppo, nel resto della Siria e anche dell’Iraq è più che drammatica, ma il desiderio è restare, ricostruire un futuro nella propria terra. Dice ancora mons. Audo: «Non ce la sentiamo di dire alla gente: scappate, andate via, che qualcuno vi accoglierà. Rispettiamo le famiglie che hanno i bambini e vanno via. Non dirò mai una parola, un giudizio non benevolo su chi va via perché vuole proteggere i suoi figli dalle sofferenze. Ma per noi è un dolore vedere le famiglie partire, e tra loro tante sono cristiane. È un segno che la guerra non finirà, o che alla fine prevarrà chi vuole distruggere il Paese».
A fuggire peraltro sono i giovani, quelli che hanno la forza fisica e hanno anche la possibilità di pagarsi il passaggio per l’Europa: «È un fenomeno grave, di disperazione. Ma è quello che sta accadendo. Vuol dire che qui rimarranno solo i vecchi».
La pur necessaria accoglienza per chi comunque è riuscito ad arrivare in Europa non può evitare di affrontare il problema alla radice, là dove si combatte. «L’Isis va fermata» ripete da due anni il Patriarca di Babilonia dei Caldei, monsignor Louis Sako, e con lui tutti i preti e i vescovi di cui abbiamo sentito la testimonianza in questo tempo. E l’Isis non si ferma con le chiacchiere, ma su questo punto si continua a sorvolare, anzi – come dice ancora mons. Audo - «in Occidente dicono di fare tutto in difesa dei diritti umani, e con questo argomento continuano anche ad alimentare questa guerra infame».
Oggi è su questo che bisogna insistere e sfidare i governi occidentali e non solo. Fermare la guerra, neutralizzare l’Isis e le altre formazioni jihadiste, viene prima di qualsiasi altra preoccupazione geopolitica. Se non si prende questa decisione, anche l’accoglienza ai profughi diventa un esercizio di ipocrisia.