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PORPORATI

Venezuela, un cardinale scomodo (a Maduro)

In un momento di alta tensione politica e di crisi umanitaria in Venezuela, Papa Francesco ha reso cardinale quell’arcivescovo “scomodo” al presidente Nicolas Maduro, Baltazar Enrique Porras Cardozo. Molto conosciuto per la sua voce critica contro un governo cieco di fronte all’emergenza che vivono i venezuelani. Ecco cosa intende fare.

Esteri 21_11_2016
Porras Cardoso

In un momento di alta tensione politica e di crisi umanitaria in Venezuela, Papa Francesco ha reso cardinale quell’arcivescovo “scomodo” al presidente Nicolas Maduro, Baltazar Enrique Porras Cardozo. Molto conosciuto per la sua voce critica contro un governo cieco di fronte all’emergenza che vivono i venezuelani. La sua nomina arriva come “un dono di Dio” in un paese dove mancano farmaci e cibo, dove ogni giorno muoiono da uno a due bambini per la malnutrizione e dove perdono la vita circa 200 persone ogni fine settimana per la criminalità. Questo lo ha riferito il portavoce della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV), il padre Pedro Pablo Aguilar, durante l’incontro con la stampa organizzato dall’Associazione Iscom. La Nuova BQ presenta un riassunto in pillole delle parole di Baltazar Porras ai giornalisti, per capire il profilo del neo-porporato venezuelano.

Chi è il cardinale Baltazar Porras? È nato il 10 ottobre 1944 a Caracas ed è stato ordinato sacerdote il 30 luglio 1967. Alla Pontificia Università di Salamanca (Spagna), ha conseguito la laurea in Teologia (1966) e il dottorato in Teologia Pastorale (1977). Il 30 ottobre del 1991 Papa Giovanni Paolo II lo ha nominato Arcivescovo di Mérida. Ha ricoperto numerosi incarichi nella Conferenza Episcopale Venezuelana, della quale è stato Presidente per due mandati consecutivi dal 1999 al 2006, dopo esserne stato a lungo Vice-Presidente. Primo Vice-Presidente del CELAM dal 2007 al 2011, è tuttora Membro del Consiglio Speciale per l’America del Sinodo dei Vescovi (dal 1997).

Un cardinale scelto dalle periferie venezuelane. La diocesi di Mérida si trova in una zona montuosa delle Ande, con piccole strade, ripidi tornanti e profondi dirupi, dove tante volte i sacerdoti devono viaggiare a dorso di animali per raggiungere i luoghi più remoti e poter compiere la loro missione pastorale. “Questo ci permette di vedere ciò che è la realtà in un paese come il Venezuela, un paese con tante contraddizioni”.

Quei pastori con odore di pecora che vuole Papa Francesco. “La chiesa venezuelana è presente nei barrios (favelas), è molto sensibile alla realtà e per questo siamo al sevizio della gente, non di una tendenza politica. Una virtù che ha la chiesa latinoamericana è la sua vicinanza e semplicità di fronte alle sofferenze del popolo”. 

La teologia latinoamericana deve essere guardata senza alcun pregiudizio. Sulla teologia della liberazione, “penso che ci sono tanti cliché che non corrispondono alla realtà. Sì, è vero che alcuni degli esponenti della teologia della liberazione hanno sottolineato alcuni elementi di analisi marxista. Ma questo è cambiato nel corso del tempo”, ha spiegato il cardinale venezuelano, aggiungendo che si tratta di un concetto più ampio che non può essere spiegato soltanto con lo sguardo politico. “Si deve anche guardare la cultura latinoamericana, la nostra antropologia. La teologia latinoamericana non è solo la teologia della liberazione, ci sono diverse tendenze”.

Una nomina che rafforza una chiesa critica del socialismo. “La distruzione delle istituzioni del paese è molto grave. Forse solo la chiesa resta forte e unita, per questo abbiamo tanta credibilità tra il popolo. A tutti i governi brucia la pelle quando facciamo qualche critica, soprattutto l’attuale (Nicolas Maduro), ma quello che facciamo è raccogliere il sentimento di malessere della gente”. 

La censura imposta dal governo colpisce anche i media cattolici. “La restrizione della libertà di informazione è molto grave in Venezuela. Nella mia Arcidiocesi ci sono diversi canali di comunicazione e soffriamo gravi restrizioni: siamo obbligati a passare determinati messaggi ufficiali; quando facciamo qualche critica arriva la chiamata, una visita o a volte anche la minaccia. Mi trovo vicino al confine con la Colombia e riesco ad avere più informazione di quello che accade in Venezuela seguendo le emittenti colombiane”.

Il Socialismo del XXI Secolo ha portato povertà e distruzione. “L’attuale regime ha distrutto le cose buone che avevamo prima. Negli ultimi 18 anni sono state chiuse 5 mila aziende, per questo motivo dobbiamo importare quasi tutto. Non c’è praticamente alcuna produzione nazionale. Il governo vuole fare un calco del regime cubano, gettando l'intero paese in una povertà mai conosciuta. La classe media è quasi scomparsa e stiamo soffrendo una grave fuga di cervelli: solo in Ecuador ci sono 250 docenti venezuelani”. 

Le soglie di impunità sono allarmanti. “Su 100 crimini commessi, solo 10 arrivano alla fase istruttoria, e di questi appena 2 o 3 arrivano alla sentenza finale. E come si può credere in un potere giudiziario che si è trasformato in un difensore del governo? Ad esempio, quando c'è qualcosa che ci tocca, come un furto in una chiesa, non immaginate quanto sia difficile fare la denuncia, perché non c'è nemmeno un procuratore che possa riceverla senza un ordine dall'alto. Credo che occorra capire prima questo clima per comprendere perché i venezuelani hanno bisogno di risposte veloci, risposte concrete. Il dialogo non può essere una semplice chiacchiera”.

I venezuelani non hanno fiducia nel dialogo. “Parlare di dialogo in Venezuela è una brutta parola, perché in passato non ha portato nulla di positivo. I rappresentanti del governo che partecipano al dialogo sono gli uomini più radicali di Maduro. Quindi non è facile parlare con loro e poi il loro discorso all’esterno delle trattative crea un’enorme diffidenza nel popolo”. 

E cosa vorrebbe dire il nuovo cardinale al governo venezuelano? “Una volta, Papa Giovanni Paolo II mi ha detto che non si deve parlare con i governanti perché non ci ascoltano, invece dobbiamo parlare con le persone, loro sì ci ascoltano. Perciò ogni volta che un giornalista mi chiede quello che vorrei dire al governo rispondo che non ho niente da dire al governo, io parlo con la gente. Così come ho imparato da Papa Giovanni Paolo II”.