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POPULISMO

Venezuela, inizia la persecuzione della Chiesa

Rapine, vandalismi, distruzione dei beni della Chiesa, irruzioni della polizia per interrompere le omelie, intimidazioni e violenze contro i sacerdoti e i frati, uno dei quali è stato sgozzato il martedì santo. La violenza contro la Chiesa cattolica del Venezuela diventa persecuzione. Perché i vescovi venezuelani non hanno mai cessato di denunciare la situazione disperata e la repressione di Maduro.

Esteri 27_04_2017
Venezuela, minacce ai preti

“Traditore, terroristi, assassini, 666, sacerdote demone”. Queste parole sono state dipinte martedì scorso in una delle pareti laterali della Cattedrale di San Pietro Apostolo a Barinitas. Lo stesso giorno, il parroco don Franklin Rangel Navas ha denunciato aggressioni: “Sacerdote, traditore, sei nel mirino, ti bruceremo vivo, noi non crediamo nella Chiesa cattolica”, con queste parole era stato minacciato da un gruppo di “chavisti”, secondo lui per ordine del consigliere del Municipio Bolivar di Barinas Maritza Vargas. Ora il sacerdote teme per la sua vita. 

Ma non si tratta di un caso isolato, la Chiesa venezuelana è sotto attacco. Già il 30 gennaio 2017 aveva annunciato il Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV), monsignore Diego Padron, durante un’intervista radio: “gli attacchi contro le istituzioni religiose in diversi punti del Paese non sembrano casi isolati; sembrano invece azioni preparate per intimidire la Chiesa cattolica”. 

Polizia e gruppi “Colectivos” si sono schierati contro i sacerdoti. Proprio il giorno prima della denuncia del Presidente della CEV, la Chiesa San Pedro Claver del “23 de Enero”, quartiere popolare di Caracas, è stata assediata da gruppi filogovernativi durante la messa arcidiocesana: “Si sono presentati i colectivos, hanno chiuso la chiesa e costretto tutti a sentire il loro discorso aggressivo contro la Chiesa. I fedeli hanno protetto Mon. Jesus Gonzalez de Zarate, vescovo ausiliare di Caracas, che con coraggio è riuscito ad affrontare la situazione”, ha raccontato il giornalista ed ex portavoce della Mud (coalizione di partiti di opposizione) Jesús Torrealba. Una situazione simile era accaduta nella parrocchia Claret di Maracaibo, quando la Polizia Nazionale (PNB) ha interrotto l’omelia di Don Ovidio Duarte e senza spiegazione hanno tentato di cacciare i fedeli dalla Chiesa. Da ricordare in quei giorni gli attacchi contro le residenze dell'Arcivescovo di Barquisimeto, Mons. José Antonio López Castillo, e dell'Arcivescovo Adam Ramirez a Caracas.    

La Via Crucis è continuata anche durante la Pasqua. Il mercoledì santo è stato uno dei giorni più difficili per l’episcopato venezuelano: un gruppo di persone identificate con il “chavismo” hanno fatto irruzione nella Basilica di Santa Teresa, mentre il cardinale Urosa Savino presiedeva l’omelia: costui ha dovuto andare via con la protezione dei fedeli che hanno affrontato la situazione anche con lo scontro fisico pur di garantire la sicurezza dell’alto prelato;  quello stesso giorno, sono apparse scritte sui muri di diverse chiese di San Cristobal (Tachira) con minacce di morte contro i sacerdoti e sotto l’acronimo “PSUV” (Partito Socialista Unito del Venezuela). Ma l’attacco più blasfemo di quei giorni è quello sofferto dall’immagine del Nazareno della Cattedrale di Valencia, trovato la mattina del sabato 8 aprile coperto da escrementi umani.    

Ma cosa ha scatenato l’ira governativa? La CEV è la unica voce autorevole che denuncia la grave situazione del Venezuela. “Di fronte al peggioramento della situazione economica, politica e sociale degli ultimi tre anni, abbiamo elencato alcuni degli errori che fa il Governo, e abbiamo fatto ripetute richieste di un cambiamento di rotta. Questa è la ragione degli attacchi contro di me, contro il cardinale Baltazar Porras e, in generale, contro l'episcopato. Il governo non tollera alcuna critica”, ha detto il cardinale Jorge Urosa Savino in un’intervista pubblicata da Aciprensa il 21 aprile 2017. 

L’episcopato venezuelano lotta senza sosta per la difesa dei diritti umani nel Paese. Lo scorso 12 aprile, abbiamo visto il Cardinale Urosa denunciare in conferenza stampa l’azione di gruppi armati, i cosiddetti “colectivos”, contro le manifestazioni pacifiche. “Queste bande armate sono illegali e certamente commettono crimini”, ha detto il secondo Vice Presidente della Conferenza Episcopale Venezuelana. Una dichiarazione che conferma le parole del Presidente della CEV, Mons Diego Padron: “Senza resistenza non c’è speranza, oggi la Chiesa venezuelana si trova in un atteggiamento di resistenza di fronte al potere”, ha affermato durante il suo intervento al VII Congresso Nazionale di Laici, tenutosi i primi di aprile. 

Sullo sfondo si delinea il vero volto del governo di Nicolas Maduro. La Nuova BQ ha intervistato il portavoce della Conferenza Episcopale Venezuelana, Don Pedro Pablo Aguilar, per capire quanto sia grave la situazione di rischio che vive l’episcopato. “È davvero difficile la situazione”, ha detto sottolineando che “purtroppo le persone che seguono il governo non hanno scrupoli e qualunque persona che esprima un’opinione contraria viene accusata di essere terrorista o è vittima di minacce, mentre gli stessi aguzzini parlano di pace e di dialogo”.  

È davvero sconvolgente l’ondata di violenza contro la Chiesa venezuelana. Ecco il bilancio degli ultimi tre mesi: “le diocesi sono state bersaglio di rapine e distruzione di vari beni, per esempio nelle diocesi di Guarenas e Maracay (le cui curie sono state vittima di razzie), a Maracaibo nella chiesa della Consolazione hanno sottratto le ostie consacrate e nel Convento della stessa città hanno rubato il Santissimo Sacramento; l’Invecapi (istituto venezuelano venezuelano di educazione professionale della chiesa cattolica) presso la sede della CEV hanno portato via condizionatori e materiali didattici, distruggendo parte delle installazioni. A Guayana hanno sequestrato e imbavagliato un sacerdote, prima che la polizia riuscisse a liberarlo; sempre a Guayana molte chiese sono state prese d’assalto, nello stato di Guarico si sono verificati vari furti e sono comparse diverse scritte sulle chiese con messaggi minacciosi a favore del governo”. 

Un pesante bollettino di guerra. Si aggiunge il tragico omicidio avvenuto martedì santo di un frate residente nella città La Victoria, stato di Aragua: il francescano della Croce Bianca, Diego Begolla, è stato sgozzato per rubare i computer della casa di accoglienza per anziani che dirigeva. Sono queste scene tristemente note alle cronache europee per i fatti che hanno coinvolto il sacerdote francese Jacques Hamel, barbaramente ucciso da estremisti dell’Isis il 26 luglio 2016. Due mesi dopo il francese è stato dichiarato martire, invece lo sgozzamento del frate venezuelano è passato inosservato.

Ma come vive l’episcopato venezuelano questa atmosfera intimidatoria? “I vescovi sono sbigottiti di fronte a questa ondata di violenza ma mantengono la loro voce profetica, la loro voce energica per denunciare cosa accade in Venezuela. Anzi, queste minacce hanno incoraggiato l’episcopato e, oggi più che mai, la chiesa è presente con i suoi pastori in ogni comunità, accompagnando il popolo nelle sue sofferenze”, ha concluso padre Pedro Pablo Aguilar.

“C’è un gemito segreto nel cuore che non è avvertito da alcuno” (San Agostino). Mentre l’intervista al padre volgeva al termine, avveniva la morte di Juan Pablo Pernalete (20 anni), colpito da una bomba lacrimogena durante la brutale repressione della polizia nazionale bolivariana nel corso di una manifestazione pacifica a Caracas. Da quando sono iniziate le proteste contro l’esautoramento del Parlamento, il 4 aprile scorso, si contano 30 morti, circa duemila arresti e centinaia di feriti. I vescovi venezuelani convocano, insieme alla comunità latinoamericana, una SS. Messa per la pace presso la Parrocchia di San Bonaventura di Roma (Via Marco Calidio 22) sabato 29 aprile alle ore 18.00.