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LA RIBELLIONE

Venezuela, ecco chi fa il tifo per Maduro e chi per Guaidó

Il Venezuela è ancora spaccato in due: Guaidó contro Maduro, parlamento contro presidenza. Usa, paesi sudamericani e Regno Unito sono con Guaidó. Russia, Turchia, Cina (e la Cgil in Italia) sono con Maduro. Il Papa prega per le vittime. L'Ue diplomaticamente si limita a invitare al rispetto dei diritti. E dalle favelas e dall'esercito potrebbero esserci sorprese.

Esteri 25_01_2019
Juan Guaidó e Nicolas Maduro

Il Venezuela, da due giorni, continua ad avere due presidenti. Il presidente dell’Assemblea Nazionale (il parlamento) Juan Guaidó rivendica il diritto costituzionale di svolgere le funzioni di presidente ad interim, fino a convocazione delle prossime libere elezioni. Il presidente in carica, Nicolas Maduro, denuncia un tentativo di colpo di Stato nei suoi confronti. L’opposizione accusa Maduro di elezioni fraudolente per la sua conferma il 20 maggio 2018 e di aver illegalmente esautorato un parlamento regolarmente eletto. Non è guerra civile, ma quasi. E intanto gli attori politici, nazionali e internazionali, prendono posizione.

Dalla parte di Guaidó e del potere legislativo venezuelano si schiera con decisione il presidente Usa Donald Trump. Il consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton ha dichiarato ieri che gli Usa si adopereranno per interrompere i canali di finanziamento di Nicolas Maduro e del suo regime. Mentre i fondi verranno stornati a Guaidó, che da ieri gli Usa riconoscono come unico presidente legittimo del Paese. L’Organizzazione degli Stati Americani (così come la maggioranza assoluta dei governi sudamericani, oltre al Canada) riconosce Guaidó quale unico presidente legittimo. Nel vertice di ieri dell’Oas, il governo di Maduro è stato definito “moralmente corrotto” e “sostanzialmente non democratico”. Il presidente ad interim è stato riconosciuto come legittimo anche, in Europa, dal Regno Unito. Il Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza per sabato prossimo, per discutere la questione Venezuela.

Dalla parte di Maduro, invece, si schiera soprattutto la Russia. Il presidente Vladimir Putin, alleato di lunga data di Chavez e del suo successore, ha chiamato Maduro e ha enfatizzato il fatto che “interferenze esterne distruttive (degli Usa, ndr) sono una grave violazione delle fondamentali norme del diritto internazionale”. La Russia ha condannato il riconoscimento di Juan Guaidó da parte di governi stranieri, denunciando che questa mossa “è la via diretta per un bagno di sangue”. In termini meno intimidenti, ma altrettanto decisi, Maduro ha incassato anche il sostegno della Turchia di Recep Tayyip Erdogan, della Cina (cha ha lauti interessi nell’economia di Stato bolivariana), dell’Iran e da una minoranza di Paesi latino-americani, fra cui ovviamente Cuba e la Bolivia, ma anche il Messico con il suo nuovo presidente progressista Lopez Obrador.

L’Unione Europea assume una posizione mediana, non riconoscendo direttamente Guaidó, ma chiedendo nuove elezioni e il rispetto di “libertà, diritti civili e sicurezza”. Juan Guaidó è sostenuto tacitamente dalla Germania (“il Parlamento avrà un ruolo speciale nel futuro del Venezuela”) e indirettamente dalla Francia, poiché il presidente Macron aveva giudicato “illegale” la vittoria di Maduro nelle elezioni del 2018 e oggi plaude al coraggio dei democratici venezuelani.

Sono quantomeno curiose le reazioni in Italia. Mentre Maurizio Landini veniva eletto segretario della Cgil, il sindacato pubblicava una “mozione urgente” a favore del regime venezuelano. “Il congresso Cgil – dice l’account ufficiale del sindacato – visto quanto accade in Venezuela, secondo i propri principi di libertà, democrazia e solidarietà, approva una mozione di condanna verso l’autoproclamazione di Juan Guaidó a presidente e le ingerenze straniere verso la presidenza democraticamente eletta di Maduro”. Il Movimento 5 Stelle, in cui molti esponenti non hanno mai celato le loro simpatie per il regime chavista, anche in tempi molto recenti, prevale la linea del silenzio. Rotto qua e là da alcuni interventi significativi, come quello del deputato Pino Cabras che, in Commissione Affari Esteri, alla vigilia delle proteste più grandi (22 gennaio), ha tenuto un lungo discorso in difesa di Maduro e del modello chavista. Arrivando a dire che: “il sistema elettorale venezuelano è stato giudicato dal Carter Centre tra i migliori ed i più efficienti al mondo” e “la stampa gode di un’ampia libertà di espressione, soprattutto se confrontata con la situazione di altri Paesi latino-americani”. Il deputato pentastellato ha proseguito segnalando “i pericolosi intrecci di interesse tra l’Amministrazione statunitense e la borghesia compradora venezuelana”, sposando così in pieno la propaganda di Maduro, secondo cui non vi sarebbe una protesta genuina, ma un golpe organizzato dagli Usa.

Silenzio dal Papa. Interrotto solo da un comunicato molto neutrale della Sala Stampa: “Il Santo Padre, raggiunto a Panama dalle notizie provenienti dal Venezuela, segue da vicino l’evolversi della situazione e prega per le vittime e per tutti i venezuelani. La Santa Sede appoggia tutti gli sforzi che permettano di risparmiare ulteriore sofferenza alla popolazione”. Papa Francesco, a Panama per la Giornata Mondiale della Gioventù, ha lanciato un appello a tutti i capi di Stato, indistintamente, affinché “abbiano l’audacia di costruire una politica autenticamente umana, che ponga la persona al centro come cuore di tutto; e questo spinge a creare una cultura di maggiore trasparenza tra i governi”. La Chiesa nel Venezuela ha sostenuto apertamente l’opposizione democratica a Maduro. Ieri il cardinale venezuelano Baltazar Enrique Porras Cardozo (arcivescovo metropolita di Mérida e amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Caracas), rivendica il diritto dei sacerdoti a manifestare “se lo si fa senza protagonismi, senza slogan politici, in atteggiamento fraterno”. È necessario, dice, “uscire semplicemente per accompagnare e proteggere la gente, specialmente i più vulnerabili, e trasmettere loro speranza, gioia e pace”.

Ovviamente, all’interno del Venezuela, si conta chi sta da una parte e chi dall’altra. Il presidente in carica Maduro, ha dalla sua la compagnia petrolifera statale, la Pdvsa, che era stata invece all’origine della rivolta contro Chavez nel 2002 e da allora è stata interamente assoggettata al partito presidenziale. Dà per scontato di avere dalla sua parte anche la Corte Suprema, anch’essa ampiamente penetrata dal suo partito. E ritiene sicuro l’appoggio dell’esercito e delle fasce più povere della popolazione. Appoggio tutt’altro che scontato. Nell’esercito ci sono segni sempre più evidenti di insofferenza, non solo il piccolo ammutinamento di 27 guardie nazionali di lunedì scorso. Secondo ufficiali dissidenti, ora in esilio all’estero, come il generale Herbert García Plaza, “Le forze armate, oggi, non hanno né la volontà, né la capacità di andare contro la popolazione in una protesta di massa". Un gruppo di ufficiali in esilio in Perù, prima della protesta del 23 gennaio, ha pubblicato un comunicato video in cui si dice: “Siate sicuri che potrete esercitare pienamente il diritto costituzionale di scendere in piazza e protestare pacificamente il 23 gennaio. Le forze armate hanno il mandato costituzionale di garantire la sicurezza di tutti i cittadini venezuelani”. Nel comunicato “Noi facciamo appello a tutte le componenti delle Forze Armate Nazionali Bolivariane affinché non si facciano più usare e abusare da questi criminali. E’ nostro dovere di membri delle forze armate di contribuire alla piena applicazione della Costituzione, senza alcun pregiudizio politico”.

Anche le favelas, solitamente bastioni del chavismo, potrebbero riservare sorprese. Il primo giorno delle proteste, infatti, si sono verificati scontri nelle periferie di Caracas. A Petare, periferia estrema nell’Est della capitale, sono state lanciate due bombe a mano contro le forze di sicurezza governative. Non è detto che la base politica di Maduro sia così solida come appare.