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MEDICINA

Vaccini, l'Emilia Romagna li impone negli asili

Non vaccini? Niente asilo. Questa è la legge della Regione Emilia Romagna. Si tratta del progetto di riforma dei servizi educativi per la prima infanzia. Obbligare alla vaccinazione è veramente la miglior strategia? Nel resto d'Europa fanno più efficaci campagne di informazione.

Creato 02_12_2016
Vaccino

Non vaccini? Allora niente asilo. Questa è la legge della Regione Emilia Romagna approvata nei giorni scorsi. Si tratta del progetto di riforma dei servizi educativi per la prima infanzia.

La norma introduce un nuovo requisito per accedere ai servizi: “Avere assolto gli obblighi vaccinali” prescritti dalla normativa vigente. “In Emilia Romagna la percentuale di bambini vaccinati è notevolmente diminuita negli ultimi anni – ha spiegato il presidente della Regione Stefano Bonaccini – dal 2014 è scesa sotto il livello di sicurezza del 95% e nel 2015 la copertura per le quattro vaccinazioni obbligatorie ha raggiunto il 93,4% rappresentando un potenziale rischio per la salute della collettività. In realtà il problema dell’abbassamento della percentuali di vaccinazioni non è solo emiliano: le coperture vaccinali si stanno abbassando, e non solo in Italia, ma in tutta Europa. In Italia le percentuali più basse si registrano nelle zone peraltro più benestanti e acculturate, come le provincie di Bolzano e Trento.

Il fenomeno della disaffezione e la diffidenza alla pratica vaccinale è dunque diffuso in tutta Europa, e i vari Paesi stanno attuando le migliori strategie per affrontarlo, che consistono soprattutto in una migliore informazione sulle malattie infettive, che sono le patologie da cui i vaccini ci proteggono, e sui vaccini stessi, per chiarire ai genitori i dubbi e le perplessità. In Italia invece il modello emiliano sembrerebbe voler introdurre una strategia della coercizione. Cosa c’è dietro questa scelta? Innanzitutto diciamo che è prima di tutto un problema unicamente di strategia. Ciò perché la normativa italiana prevede già l’obbligo vaccinale contro quattro malattie: la Difterite, il Tetano, la Poliomielite, l’Epatite di tipo B. Il fatto è che questo obbligo può essere disatteso senza alcuna conseguenza per i genitori inadempienti. Fino a non molti anni fa tali genitori venivano segnalati ai tribunali dei minori. Oggi questo non si fa più quasi del tutto, e anche in caso di segnalazione, sono i tribunali stessi a non procedere nei confronti dei genitori. Una scelta libertaria maturata nel clima “pro-choice” degli anni passati. Ora tuttavia anche la cultura progressista sembra avere cambiato idee e indirizzi, e trovare il modo di sanzionare l’inosservanza della legge.

Già nei mesi scorsi la NBQ aveva parlato del documento della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) in merito ai medici che sconsigliano le vaccinazioni, nei confronti dei quali si vorrebbe arrivare a provvedimenti disciplinari, compreso quello estremo della radiazione dall’Albo professionale, con la conseguente impossibilità a svolgere l’attività medica. Ora invece è il turno la Regione Emilia Romagna che, di propria iniziativa, senza aspettare una normativa nazionale, vuole vietare l’iscrizione a scuole pubbliche  ai bambini non in regola con il calendario vaccinale, una restrizione mutuata dalla legislazione degli Stati Uniti, un tempo visti nella rossa Emilia come il male assoluto. L’Emilia insomma come ultima spiaggia dell’Obamacare, la discussa riforma sanitaria attuata dalle ultime amministrazioni statunitensi. Non deve passare inosservato quel dettaglio: la norma vale per iscriversi agli istituti statali. Ciò significa che i bambini non vaccinati potrebbero essere iscritti ad altri tipi di scuole, come le paritarie, e ciò sembrerebbe garantire un minimo di libertà di scelta a quei genitori che non vogliono essere forzati alla scelta vaccinale. Tuttavia, ciò potrebbe invece danneggiare quegli istituti che, accogliendo bambini non vaccinati,  verrebbero visti come luoghi pericolosi, dei “lazzaretti”, in cui a causa di questi bambini, visti come potenziali “untori”, non sarebbe opportuno mandare i propri figli. Alla fine, questi stessi istituti potrebbero vedersi costretti - per non essere discriminati - ad adottare le normative degli istituti pubblici. 

C’è poi un altro importante aspetto su cui porre l’attenzione: all’attuale stato delle cose, esiste in Italia una sorta di “federalismo sanitario”, per cui alcune competenze in materia di salute pubblica competono alle Regioni. Infatti, a parte le quattro vaccinazioni obbligatorie per tutti di cui si diceva, esistono dei “piani vaccinazioni” regionali. Ogni Regione cioè raccomanda e propone una serie di vaccinazioni facoltative. Ad oggi, il quadro è piuttosto variegato, con alcune regioni, come Sicilia e Puglia, che propongono numerosi vaccini facoltativi. Esiste poi anche un “piano nazionale vaccini”, che in questo quadro variegato dà a tutti delle linee guida fondamentali. Bene: il piano nazionale 2016-2018 (si tratta di piani triennali) non è stato ancora licenziato. Motivo? Si attende l’esito referendario. Se infatti il 4 dicembre vincesse il Sì, l’attuale differenziazione - motivata dalle dimensioni dell’Italia e dalle sue differenti condizioni epidemiologiche diverse tra una regione e l’altra - sarebbe destinata a sparire, sostituita da un “centralismo sanitario”. Anche per questo è arrivata la scelta unilaterale dell’Emilia, che intende proporsi come Regione-pilota, con una  normativa che potrebbe/dovrebbe essere estesa in seguito a livello nazionale. Magari coi complimenti per essere stata di modello per tutti.  Non per niente il presidente della Regione Lazio, Zingaretti, ha già detto che l’imiterà. Poi, eventualmente, dopo il 4 dicembre, toccherà allo Stato. Ma questa è una partita che - per una volta - è nelle mani degli elettori che andando a votare per il quesito referendario avranno anche la responsabilità di determinare il futuro del Servizio Sanitario.