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L'ALTRO VOTO DEL 3 NOVEMBRE

Usa: sui 120 referendum si infrange l'onda progressista

Negli Stati Uniti, il 3 novembre, non si è votato solo per il presidente e per il Congresso, ma anche per 120 referendum, in 32 Stati. In queste consultazioni poco reclamizzate, gli umori e le tendenze politiche degli americani si rivelano molto più conservatori di quanto si creda, specie su tasse e lavoro.

Esteri 15_11_2020
Usa, spoglio delle schede

Negli Stati Uniti, il 3 novembre, non si è votato solo per il presidente e per il Congresso, ma anche per 120 referendum, a carattere locale, in 32 Stati. E’ importante vedere cosa sia risultato da queste consultazioni poco reclamizzate, per comprendere meglio quali siano gli umori e le tendenze politiche degli americani. A parte qualche significativo successo dei liberal, soprattutto sulla legalizzazione della marijuana, la tendenza è molto più conservatrice di quanto si creda, soprattutto su tasse, lavoro e impresa.

La prima sorpresa viene dall’Illinois, nel Midwest, patria dell’ex presidente Barack Obama e tuttora Stato “blu” (democratico). La tassa sul reddito è molto bassa ed è ad aliquota unica (una flat tax). Il governatore Pritzker aveva proposto un emendamento della costituzionale locale per introdurre una tassa progressiva, ma è stato bocciato alle urne dal 55% dell’elettorato, nonostante la sua retorica sul fatto di far pagare “i ricchi”.

In Colorado, sulle Montagne Rocciose, altro Stato che ultimamente è sempre più “blu”, la sinistra ha fatto campagna per un referendum per introdurre una tassa progressiva, ma non è nemmeno riuscita a raccogliere un numero di firme sufficiente. In compenso, il think tank conservatore Independence Institute ha promosso (con il giusto numero di firme) un referendum di segno opposto per ridurre l’aliquota unica. E ha vinto, con il 57% dei voti. Sempre in Colorado, il 52,3% degli elettori ha votato per la Proposition 117: introdurre una norma statale che impedisca ai politici locali di alzare le tasse spacciandole per “tariffe”. Già il “Taxpayer’s Bill” locale prevede che non si possano alzare le tasse se non dopo un referendum, ma il parlamento locale lo aggirava con l’espediente che d’ora in avanti, grazie al referendum sulla Proposition 117, non sarà più possibile ripetere. Nella remota Alaska, è stato bocciato un referendum  che mirava ad alzare le tasse sul petrolio.

Sempre in tema di fisco, anche la progressista California si è dimostrata più conservatrice di quanto si pensi. Con un referendum ha difeso la Proposition 13, che rese celebre Reagan nel 1978 e che pone limiti sul rialzo delle tasse sulle proprietà residenziali e commerciali. I Democratici proponevano di levare i limiti sulle tasse sulle proprietà commerciali, ma il loro referendum è stato bocciato.

Stranamente gli unici due referendum fiscali in cui ha vinto il partito della tassazione sono in due Stati conservatori: l’Arizona (che quest’anno potrebbe essere passata al campo democratico) e l’Arkansas. Ma hanno vinto col trucco: in Arizona si è trattato di un’introduzione di una tassa molto leggera, del 3,5% sui soli redditi più alti, a scopi umanitari: l’educazione dei minori, una causa promossa dall’associazione Stand for Children. Mentre in Arkansas si è reso permanente un piccolo aumento dell’Iva (pari allo 0,5%) che altrimenti sarebbe scaduto nel 2023, volto a finanziare le infrastrutture dei trasporti.

I referendum non erano solo sulle tasse. Molti erano strettamente locali e riguardavano le leggi elettorali statali, tribunali, parchi, infrastrutture, nomi pubblici. In due contee dell’Alabama si è votato (e vinto) per permettere di portare armi anche nelle chiese. Ma altri temi di rilevanza nazionale riguardavano il lavoro, la discriminazione “positiva”, la marijuana e l’aborto. La marijuana, soprattutto, viene legalizzata, per scopi medici e ricreativi in tutti gli Stati in cui è stata proposta la sua liberalizzazione, conservatori o progressisti che siano: in Arizona, Mississippi (solo per uso medico), Montana, New Jersey e South Dakota.

I conservatori sono risultati vincitori, nella democratica California, anche sul lavoro e sulla questione razziale. La Proposition 22, che ha vinto, definisce i trasportatori di Uber e di altre aziende della “gig economy”, come lavoratori autonomi e non come dipendenti. I progressisti avrebbero voluto renderli dipendenti per sindacalizzarli, ma la maggioranza dei californiani ha optato per la libertà di impresa. La Proposition 16 avrebbe invece introdotto un emendamento costituzionale per eliminare la precedente Proposition 209 del 1996, in base alla quale il governo e le istituzioni pubbliche non possono discriminare o garantire una corsia preferenziale sulla base dell’etnia, del genere, del colore della pelle e dell’origine nazionale di una persona, nel pubblico impiego, nell’educazione pubblica e nella stipula di contratti pubblici. I proponenti dell’emendamento costituzionale, dunque, miravano deliberatamente al ritorno della discriminazione, per creare una corsia preferenziale per le minoranze, nelle assunzioni, come nell’educazione. Ebbene, i californiani, pur votando i Democratici dal 1988, hanno bocciato questa proposta.

Non solo di economia si è votato, appunto. E la Louisiana, altro Stato con governo democratico dal 2016, ha introdotto un emendamento costituzionale contro l’aborto, come abbiamo già visto su queste colonne. Ha vinto l’Amendment 1, che prevede di aggiungere alla costituzione locale la frase “nulla in questa Costituzione può essere inferito in modo da garantire o proteggere il diritto all’aborto o in modo da finanziare l’aborto”. I liberal si sono presi una parziale rivincita in Colorado, dove è stato bocciato il referendum, proposto dai conservatori, che avrebbe posto il divieto dell’aborto dopo la 22ma settimana. Ma il voto della Louisiana, essendo costituzionale, lascerà il segno più a lungo.

Si nota anche un successo conservatore da un’assenza molto particolare. Per la prima volta, dal 2014, non sono più stati proposti referendum per l’introduzione della carbon tax. In tutti i casi precedenti erano falliti. Il riscaldamento globale, per gli americani, non è un’emergenza.