USA, i vescovi per la libertà religiosa
La Chiesa americana lancia l'allarme. Il primi dei diritti umani è minacciato. Ma non in qualche angolo oscuro del mondo: negli Stati Uniti di Obama.
Venerdì la Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, con una lettera firmata dal suo presidente mons. Timothy Dolan, arcivescovo di New York, ha annunciato l'istituzione di un "Comitato ad hoc per la libertà religiosa" che sarà presieduto dal vescovo William Lori di Bridgeport (Connecticut). Potrebbe sembrare una delle tante iniziative - benemerite ma non nuove - per richiamare l'attenzione di un Occidente distratto sulle tragiche violazioni della libertà religiosa in Africa e in Asia.
E invece no. Come spiega mons. Dolan, l'iniziativa è storica perché il comitato si occuperà delle violazioni della libertà religiosa in danno dei cristiani non in Pakistan o in Nigeria, ma negli stessi Stati Uniti. Una clamorosa conferma di quanto era emerso il 12 settembre scorso al vertice di Roma - dedicato ai crimini contro i cristiani - dell'OSCE, l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, di cui sono Rappresentante per la lotta al razzismo e alla discriminazione contro i cristiani e i seguaci di altre religioni. L'intolleranza - che è un fatto culturale - sta ormai maturando in discriminazione, un fatto giuridico, anche in Occidente, e anche in Paesi che pure sono giustamente ammirati per il loro contributo alla formulazione delle moderne teorie giuridiche sulla libertà religiosa.
Già Marco Respinti, su La Bussola Quotidiana del 2 ottobre, aveva riferito della lettera dello stesso mons. Dolan al presidente Obama, dove il presule protestava per il sostegno della Casa Bianca alle iniziative che intendono abrogare il DOMA (Defense of Marriage Act), una legge del 1996 che riconosce come matrimonio solo quello monogamico ed eterosessuale, tra un uomo e una donna. Ora i vescovi affermano che l'attacco al DOMA è uno dei sei aspetti critici che mettono in discussione la libertà religiosa dei cristiani statunitensi. E ne elencano altri cinque.
Primo: le norme del Ministero delle Sanità che costringono le compagnie di assicurazione e i fondi previdenziali a includere nella loro copertura la contraccezione, i farmaci abortivi e la sterilizzazione in tutti i piani di assicurazione sanitaria privata. È vero che in queste norme c'è una limitata eccezione religiosa, ma questa - scrive mons. Dolan - «copre quasi solo la perpetua della parrocchia». Negli altri casi ci sarà secondo i vescovi una violazione della libertà religiosa, perché le assicurazioni cattoliche non potranno rifiutassi di coprire questi servizi, né i datori di lavoro cristiani potranno rifiutarsi di pagare contributi previdenziali che andranno a finanziare i contraccettivi o la pillola abortiva.
Secondo: lo stesso Ministero per la Sanità richiede che il Servizio per i Migranti e i Rifugiati (MRS), la storica agenzia della Conferenza Episcopale che assiste gli immigrati, fornisca quella che chiama la «piena gamma di servizi riproduttivi» - ovvero aborto e contraccezione - ad alcuni suoi assistiti, cioè le vittime del traffico di esseri umani e gli immigrati minorenni che entrano negli Stati Uniti non accompagnati da genitori o tutori. Per questi assistiti il MRS riceve un contributo finanziario dal governo federale, e il Ministero - sposando la tesi degli attivisti pro aborto che sono in causa contro il MRS - sostiene che questo contributo implica obbligatoriamente che le giovani immigrate assistite dall'agenzia cattolica siano aiutate, se lo richiedono, ad abortire.
Terzo: nei programmi di aiuti internazionali contro l'AIDS, USAID, un'agenzia federale che riceve le sue direttive dal Dipartimento di Stato ma con cui interagiscono enti e singoli cattolici, dà un ruolo prominente alla distribuzione di preservativi, qualche cosa con cui in coscienza i cattolici fedeli al Magistero non possono collaborare.
Quarto: il Ministero della Giustizia, in una causa pendente presso la Corte Suprema, ha "deluso" i vescovi non difendendo la cosiddetta "eccezione ministeriale" che permette alle organizzazioni religiose di assumere o designare chi vogliono per ruoli ministeriali senza sottostare alle normali norme antidiscriminazione. Siamo ancora ben lontani da questa conclusione, ma mettendo in discussione l'"eccezione ministeriale" si compie il primo passo per aprire la porta a cause dove un giudice potrebbe imporre alla Chiesa Cattolica di ordinare delle donne come sacerdoti in nome della normativa contro la discriminazione.
Quinto: la nuova legislazione dello Stato di New York, che ridefinisce la nozione di matrimonio includendovi il matrimonio omosessuale, lascia un ruolo mal definito e ristretto all'obiezione di coscienza. Ci sono già azioni legali e disciplinari contro funzionari pubblici cattolici che si rifiutano di collaborare alla celebrazione o alla trascrizione di matrimoni omosessuali.
Aggiungendo il problema del DOMA - sesto punto - e gli interventi pubblici del presidente Obama a sostegno delle esternazioni di Lady Gaga, i cui attacchi alle Chiese "omofobe" sono la punta estrema di un'ostilità alla Chiesa che Benedetto XVI ha definito come ormai maggioritaria nei poteri forti e nei media, si capisce perché i vescovi abbiano voluto un comitato permanente per la difesa della libertà religiosa dei cristiani negli Stati Uniti.
Si tratta di vicende allarmanti e complesse, e la lettera di mons. Dolan permette tre rapide conclusioni.
La prima è che chi pensava - e scriveva - che con mons. Dolan fosse stato scelto un presidente della Conferenza Episcopale americana più remissivo in materia di rapporti con il potere politico e di "principi non negoziabili" del suo predecessore, il cardinale George, si sbagliava di grosso. Non era, anzi, mai accaduto che la Conferenza Episcopale lanciasse una sfida così articolata insieme al presidente degli Stati Uniti, al governo, ai giudici e a Stati potenti come quello di New York, davvero senza guardare in faccia a nessuno. Molte lamentele "tradizionaliste" sullo stato di sfacelo in cui verserebbe la Chiesa Cattolica statunitense devono forse essere ridimensionate. Certamente ci sono teologi - purtroppo in parte ancora in cattedra in prestigiose università e seminari - che contestano il Magistero in materia morale, ma la voce dei pastori di rado su questa stessa materia era risuonata con tanto vigore.
La seconda osservazione è che, nella tradizione americana e in quella della diplomazia pontificia che ha seguito con attenzione la vicenda, nessuno vuole veramente andare allo scontro frontale. È la mia impressione, e anche il mio auspicio, pure dal mio osservatorio come Rappresentante dell'OSCE, di cui gli Stati Uniti - un Paese, chiunque lo governi, comunque sensibilissimo alle questioni di libertà religiosa - fanno parte. Su tutti i singoli temi ci sono margini di trattativa, com'è avvenuto in passato a proposito della riforma sanitaria. Se si vogliono ottenere risultati concreti, è importante che le porte della trattativa rimangano aperte. Ma il documento di mons. Dolan dà una lezione a un certo numero di suoi colleghi in altri Paesi: alla trattativa si va con molta più forza dopo avere parlato chiaro. Per stringere la mano dell'altro bisogna anzitutto dimostrare di avere una mano, a differenza di quei personaggi stigmatizzati da Charles Péguy (1873-1914) che, in una poesia intitolata - senza riferimenti a Di Pietro, che all'epoca non era ancora nato - «Mani pulite», se la prendeva con i cattolici francesi «moderati» del suo tempo che «hanno le mani pulite ma, o Signore, non hanno mani».
La terza è che - benché la parola «persecuzione», prendendo esempio da Benedetto XVI, vada riservata per non inflazionarla ai casi di violenze e assassini più diffusi in Africa e in Asia - c'è una emergenza legata alla discriminazione dei cristiani anche nelle democrazie occidentali. Questa emergenza non è indifferente né secondaria - e non può essere semplicemente posposta ad altre pure importanti questioni come quelle dell'economia, del lavoro o della legalità, come spesso si tende a fare in questi mesi in Italia - quando si parla di nuovo impegno politico dei cattolici e di nuove classi dirigenti. Chi non difende la libertà religiosa non è credibile quando si candida a difendere qualunque altra libertà.