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Dottrina sociale
a cura di Stefano Fontana

La rielezione

Ursula-bis, l’Ue passa dalla politica all’amministrazione

La rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea denota l’impoliticità delle istituzioni dell’Unione, che conferma così di preferire un metodo di tipo funzionalistico/amministrativo.

Dottrina sociale 19_07_2024
Ursula von der Leyen, 18 luglio 2024 (LaPresse)

La rielezione di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione dell’Unione europea con la medesima maggioranza uscente denota l’impoliticità delle istituzioni dell’Unione, rispondenti più a pressioni di gruppi di interesse che condizionano il potere europeo inteso come pura funzionalità. Le elezioni avevano fatto emergere un chiaro segnale politico di profonda insoddisfazione. Dal punto di vista numerico la vecchia maggioranza aveva ancora i seggi necessari per governare, anche se di stretta misura, ma il copia-incolla del vecchio quadro di governo ha voluto dire una totale noncuranza del dato politico, anche se non strettamente elettorale, emerso dalle elezioni. In questo modo l’Unione europea conferma di voler sostituire un metodo di tipo funzionalistico/amministrativo ad un metodo governativo/politico.

Getta luce su queste trasformazioni, permettendo di inquadrare nel giusto modo anche l’esito delle ultime elezioni europee e la riconferma della presidente della Commissione, un articolo di Christophe Réveillard pubblicato sul n. 159 della rivista Catholica, ora in distribuzione e dal titolo: “L’Union européenne et la pédagogie des masses” (pp. 39-51). L’autore parla giustamente del «sistema funzionalista dell’integrazione europea, fondata non su pratiche democratiche o politiche, ma su un sistema di governance dove la complessità e la deidentificazione dei meccanismi di decisione è scientemente progettata per disorientare la rappresentanza popolare a vantaggio di gruppi di pressione, esperti, tecnocrati, un ritaglio dell’insieme della comunità per segmenti di interesse».

In Europa ci ritroviamo politici politicamente battuti nel loro Paese di origine, la trattativa è condizionata da capi di governo che sono in scadenza e che tra poco tempo non conteranno più nulla nella loro nazione. Dalla formulazione del voto alla nomina della presidenza della Commissione è passato un lungo periodo di passaggi procedurali percepiti come volutamente complessi. Tutto questo fa pensare che i soggetti realmente attivi nel futuro dell’Unione siano fuori dal Parlamento e dalla stessa Commissione.

Réveillard procede spiegando che nell’Unione c’è il tentativo di sostituire il “governo” con la “governance”. Scrive il Nostro: governance può esprimere, tra le sue numerose definizioni, l’idea della «sostituzione di una logica manageriale e pragmatica a una logica politica e costituzionale» o, sul piano della teoria del diritto, «la sostituzione della “rete” alla “piramide” in quanto traduzione giuridica del pluralismo sociale e concomitante applicazione di forme giuridiche non legate allo Stato sovrano».

Questa nuova governance associa al potere sia rappresentanti politici sia centri di interesse vari presenti nella società europea che esprimono nelle istituzioni la presenza di propri delegati. Essa quindi risponde ad esigenze di funzionalismo manageriale più che di scelta politica, anzi, secondo Réveillard è una vera e propria uscita dalla politica: «Ci stiamo dunque allontanando dalla storia delle idee dei dibattiti fondamentali riguardanti le concezioni politiche», semplicemente usciamo dal campo politico, anche se alcuni presentano ancora la governance come un «lavoro di elaborazione sociale di una nuova categoria dell’azione politica, nella quale prendono parte così bene sia gli attori collocati al centro del potere che diversi gruppi sociali che godono di una prossimità variabile con il centro delle decisioni politiche».

Stefano Fontana