Urlano al patriarcato, poi non vedono la violenza in casa gay
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La violenza si verifica anche nelle coppie gay e lesbiche, ma non viene riconosciuto perché il tema del patriarcato domina a suon di stereotipi. Invece in Gran Bretagna l'associazione Broken Rainbow si occupa proprio di violenza fra gay e lesbiche. E i numeri dicono che...
Un tragico evento di cronaca nera è diventato l’innesco per una offensiva durissima contro l’istituto della famiglia, in particolare attaccando la figura maschile, già sotto attacco da decenni di propaganda contro la paternità, la figura del padre. Non per niente la propaganda ideologica ha lanciato in questa occasione un termine tanto iconico quanto immediatamente demonizzato: patriarcato. In mezzo al chiasso mediatico, allo strepito politico, persino alle immagini e agli slogan dal sapore esoterico e neopagano («siamo le discendenti delle streghe che non siete riuscite a bruciare», rivendicava un cartello in una manifestazione che voleva essere contro la violenza sulle donne) l’obiettivo è colpevolizzare il sesso maschile, e di conseguenza disarticolare la famiglia naturale, descritta come luogo di turpitudini, di abusi, di violenza. Ma come sempre la malizia ideologica censura la realtà, e la realtà ci dice in maniera assolutamente documentata che anche nuovi tipi di unioni, ampiamente sponsorizzate dal pensiero mainstream, non sono immuni al virus della violenza e dell’odio.
La violenza domestica si verifica infatti anche all’interno di coppie formate da persone dello stesso sesso, con meccanismi e caratteristiche specifiche e riconoscibili, come da alcuni anni hanno mostrato studi, esperienze e ricerche. In Gran Bretagna è nata da alcuni anni una associazione dal significativo nome di Broken Rainbow, l’arcobaleno spezzato, che offre aiuto nei casi di violenza domestica tra coppie dello stesso sesso e che riceve circa 10.000 chiamate all’anno. Donne che hanno subìto abusi dalla loro compagna e uomini che li hanno subiti dal loro compagno.
La ragione principale della scarsa conoscenza e del mancato riconoscimento del fenomeno della violenza nelle coppie omosessuali sono gli stereotipi che circolano intorno alla violenza domestica stessa, in generale. Innanzitutto la diffusa opinione che sia tutta una questione “di forza”. La violenza domestica ha a che fare con i comportamenti violenti e coercitivi, con le intimidazioni e con il controllo: cose che spesso non si traducono in modo esclusivo in azioni fisicamente violente ma in maltrattamenti psicologici, sessuali e sociali. Questo, ovviamente, non ha a che fare né con il genere biologico né con l’orientamento sessuale.
Gli stereotipi intorno alla violenza domestica e l’identificazione di un abuso con il rapporto maschio-femmina, e con il cosiddetto “patriarcato”, portano molto spesso gay e lesbiche a non riconoscere, loro per primi, quello che sta accadendo alla loro relazione: a non interpretare cioè l’aggressività del partner come un vero e proprio maltrattamento. In una specie di circolo vizioso, se invece c’è la consapevolezza di un abuso, spesso si sceglie di non denunciare l’aggressore per il timore dell’omofobia, dei pregiudizi e per la paura di non vedere riconosciuta la gravità della situazione in cui ci si trova.
L’assunzione di una prospettiva ideologica che vede la violenza nelle coppie come esclusivamente eterosessuale e di responsabilità del sesso maschile, è stata e continua a essere un ostacolo enorme per gay e lesbiche in cerca di aiuto.
C’è infine un’ultima ragione del mancato riconoscimento e della poca informazione sul problema: la paura all’interno della stessa comunità LGBT a far emergere la violenza domestica, per l’idea che si possa aumentare così il discredito nei suoi confronti. Il dato della violenza nelle coppie dello stesso sesso potrebbe anche essere sottostimato, perché molte persone omosessuali sono riluttanti a denunciare gli abusi, perché non vogliono essere visti come “traditori” della comunità LGBT.
Arcilesbica Roma nel 2011 effettuò uno studio su un campione di 102 donne omosessuali nel Lazio: in più di un caso su cinque (20,6 per cento) l’intervistata ammise di avere paura del ritorno a casa della propria partner. In caso di violenza, il 70,6 per cento delle donne intervistate disse che avrebbe chiesto aiuto in prevalenza ad amici (29,4 per cento) e ad associazioni (14,7 per cento). La percentuale di donne che non avevano saputo indicare nessun soggetto a cui rivolgersi fu del 32,4 per cento; 27 donne su 102 risposero che non avrebbero chiesto aiuto; il 76,5 per cento di loro non indicò alcun motivo per giustificare questa mancanza di richiesta; l’11,8 per cento invece diede come motivo la riservatezza, il 5,9 per cento l’umiliazione e il disagio.
Nel 2014 sulla rivista Plos Medicine venne pubblicata un’indagine realizzata da alcuni ricercatori su vari studi che in diversi paesi si erano occupati di questa questione. L’obiettivo era studiare le conseguenze fisiche e mentali di tali abusi. I risultati documentarono che le vittime di violenza domestica tra le coppie gay era un problema significativo. Le percentuali andavano dal 15 al 51 per cento a seconda dei vari Paesi. Una proporzione praticamente sovrapponibile a quella delle coppie eterosessuali, e questa rappresenta una prova inconfutabile che la violenza nelle relazioni affettive non ha nulla a che vedere con il sesso, il genere, o l’orientamento sessuale.
Il male non è una istituzione da abbattere - il patriarcato - o un sesso di cui vergognarsi: il male, come fu rivelato 2000 anni fa, è nel cuore delle persone. È lì che bisogna lavorare per sanare e spegnere il terreno dell’odio e della violenza.