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MANIFESTAZIONE BRESCIA

Uomini e donne del Pdl? Gente di serie B

Enrico Letta era libero di andare all’assemblea del suo partito e Angelino Alfano non poteva presenziare alla manifestazione elettorale del suo partito? E cosa dire riguardo agli insulti che hanno colpito diverse esponenti del Pdl? Valgono meno della presidente Boldrini?

Politica 14_05_2013
Manifestazione del Pdl a Brescia

Il governo Letta, nonostante alcune stridenti contraddizioni che lo animano e che difficilmente lo renderanno un governo durevole e di legislatura, rappresenta l’unica via d’uscita possibile dalla crisi per un Paese sempre più incagliato nelle maglie della rissosità e dell’ingovernabilità. Esiste la profonda percezione, in vasti settori dell’opinione pubblica, che qualcuno scalpiti e non veda l’ora di riscrivere la storia di questo Paese spiando “dal buco della serratura”, magari calpestando la volontà popolare e negando i diritti fondamentali dei singoli e delle collettività organizzate, non ultimo quello di manifestare, anche contro un potere dello Stato, in questo caso il potere giudiziario.

È giusto che un ministro manifesti in piazza o partecipi ad assemblee di partito? Dipende dal carattere e dai contenuti dell’iniziativa. Certo, sarebbe grottesco se un ministro manifestasse contro il governo di cui fa parte. È quanto accadde nel 2006-2008, con i ministri del governo Prodi, che entravano a Palazzo Chigi per approvare i provvedimenti che il giorno dopo essi stessi contestavano in piazza al fianco dei sindacati e delle forze di lotta sociale e antigovernativa. Una schizofrenia politico-istituzionale che ha procurato a quell’esecutivo una lenta agonia e una burrascosa fine anticipata.

Sabato scorso, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta ha partecipato all’assemblea nazionale del suo partito in occasione dell’elezione del nuovo segretario “traghettatore”, Guglielmo Epifani, e il vicepresidente del Consiglio e Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha partecipato a Brescia, nel suo ruolo di segretario nazionale del Pdl, a una manifestazione elettorale del suo partito a sostegno del candidato sindaco e per contestare la presunta “persecuzione giudiziaria” ai danni del leader del suo partito, Silvio Berlusconi.
Alla manifestazione erano presenti anche altri ministri e viceministri del governo Letta. Da taluni si è gridato allo scandalo, in particolare per la presenza di Alfano a Brescia. Non se ne comprendono le ragioni.

Enrico Letta, come vicesegretario dimissionario del Pd, era libero di andare all’assemblea del suo partito e Angelino Alfano, attuale segretario nazionale del Pdl, non poteva presenziare alla manifestazione elettorale del suo partito? E solo perché durante quella manifestazione veniva attaccato un settore della magistratura accusato di essere politicizzato? Sia Letta che Alfano, nei rispettivi interventi, hanno separato il piano della stabilità dell’esecutivo da quello della dialettica politica e sono stati molto chiari: il governo non si tocca e Pd e Pdl lo appoggeranno con lealtà.

Ma in quale Stato democratico è vietato criticare i giudici? Nell’equilibrio dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), che in Italia è saltato da diversi decenni, non va considerato legittimo l’esercizio del diritto di critica anche nei confronti di alcuni magistrati? Non ci si scandalizzò durante il governo Prodi, quando i ministri erano affetti da “strabismo” e guardavano al Palazzo e alle piazze contestando le loro stesse decisioni, e ci si indigna oggi perché un ministro invoca in piazza una riforma della giustizia, peraltro desiderata, e non da oggi, da milioni di cittadini, di destra, di sinistra e di centro?

L’ultimo caso, alcuni giorni fa, ha riguardato l’assoluzione con formula piena, in appello, di un noto immobiliarista, accusato di bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, appropriazione indebita e falso ideologico, condannato in primo grado a sei anni di carcere e sottoposto a due anni di custodia cautelare, durante i quali ha perfino tentato di togliersi la vita dopo che il suo gruppo, a seguito di tali vicissitudini giudiziarie, aveva registrato danni per centinaia di milioni.
Chi lo risarcirà pienamente? Mai nessuno. Chi gli restituirà la dignità lesa da quest’errore giudiziario? E, soprattutto, chi pagherà per quest’errore?

Tale distorsione della dialettica democratica, con valutazioni spesso faziose e unilaterali, ha investito, nei giorni scorsi, anche una meritoria battaglia, quella contro il femminicidio, lanciata da alcuni rappresentanti delle istituzioni appartenenti a tutte le aree politiche (Boldrini, Alfano e altri), e lodevolmente amplificata dal Tg1, che ogni sera dedica spazio all’argomento.
Tematiche come questa dovrebbero unire, non dividere, dovrebbero sorvolare sulle distinzioni destra-sinistra, che rispetto alla violenza sulle donne non hanno nessun senso, ed essere affrontate come battaglie di civiltà, non ideologiche e senza accenti di fanatismo.

Il caso Biancofiore ne era già stata l’avvisaglia. Una neodeputata, rea soltanto di aver espresso, sia pure in modo goffo e inelegante, un punto di vista legittimamente contrario all’eventuale riconoscimento dei matrimoni gay, viene subito accusata di razzismo anti-gay e nessuna donna, dentro e fuori il suo partito, la difende.
Le vengono perfino ritirate le deleghe come sottosegretario alle pari opportunità. Il tritacarne mediatico, fatto di semplificazioni e titoli a effetto, l’ha divorata e si è dovuta “accontentare” di un’altra delega, quella alla pubblica amministrazione.

Sabato a Brescia nuova puntata di un femminismo a senso unico. Alcune donne del Pdl, non solo parlamentari, ma anche semplici iscritte, vengono fatte oggetto di intollerabili insulti sessisti, provenienti da manipoli di contestatori dei centri sociali e di Sinistra, Ecologia e Libertà. La Presidente della Camera, Laura Boldrini, che ha giustamente chiamato a raccolta l'opinione pubblica di ogni tendenza per difendere la propria dignità femminile e di cittadina offesa dalle sconcezze scaricatele addosso via web, ha taciuto per 24 ore, salvo poi meritoriamente solidarizzare con le donne del Pdl, sfregiate con parole di inaudita gravità.

Non si può neppure lontanamente alimentare il sospetto che nei vertici istituzionali esistano donne di serie A e donne di serie B solo in ragione della loro appartenenza politica. La responsabilità morale, la credibilità individuale, la dignità di donna si difendono ogni giorno sui luoghi di lavoro, nella famiglia, nelle istituzioni, nella politica. Esistono milioni di donne che fanno politica in tutti i partiti, anche nel Pdl, e che hanno il diritto di essere rispettate nella loro dignità, senza pregiudizi ideologici e culturali e indipendentemente dal loro colore politico. Le offese alle donne del Pdl, francamente più gravi e pericolose di quelli subite in Rete dalla Presidente della Camera, hanno giustamente ricevuto la censura di quest’ultima, che, sia pure tardivamente, ha riaffermato un principio: la volgarità sessista non ha colore, né politico né di pelle. Peccato che ad aver pronunciato a Brescia quelle parole impronunciabili e a sfondo sessuale contro le parlamentari e le militanti del centro-destra siano stati alcuni facinorosi appartenenti allo stesso partito della Boldrini.

Ruben Razzante è Docente di Diritto dell’informazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano