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DOSTOEVSKIJ/6

Uno scrittore profeta dei nostri tempi

Il contenuto delle profezie di Dostoevskij è la certezza che «nel deserto della solitudine umana Cristo mai abbandonerà l’uomo». Dice Evdokimov: «Ci basterà dire che egli è attuale, che lo è oggi e che lo sarà domani di più, perché è un fenomeno escatologico del nostro tempo»

Cultura 19_04_2016
Dostoevskij

Spesso si è detto a proposito di Dostoevskij che fu un profeta, più precisamente il profeta dei nostri tempi. Ancor più, di lui dice Evdokimov: «A che cosa ci servirebbe definire Dostoevskij? Ci basterà dire che egli è attuale, che lo è oggi e che lo sarà domani di più, perché è un fenomeno escatologico del nostro tempo, un commentario vivente dell'Apocalisse».

Il contenuto delle sue profezie è la certezza che «nel deserto della solitudine umana Cristo mai abbandonerà l’uomo». All’uomo che urla la sua angoscia del non senso, al disadattato che non trova ragioni esistenziali, all’uomo morto perché vuoto, Dostoevskij lancia la sua risposta, la sua sfida a quel mondo che apparentemente sta andando alla deriva, verso la sua fine. Il suo grido si alza ancora contro il desiderio umano dell’autodistruzione, dello scetticismo, dell’immanentismo, della noia demoniaca, che toglie vigore al rinnovamento e che sembra condurci nell’immobilità di una vita stanca e delusa della stessa esistenza. 

Dostoevskij parla con parole da innamorato, con le parole di colui che ha cercato di sedurre e di farsi sedurre dalla sua amata, parla con voce piena di emozione e di anelito al suo Dio, a quel Dio che non ha badato neppure alla sua vita per riabbracciare, nelle braccia tese della croce, la sua creatura. In quest’atto di abbandono all’umana stupidità, da parte di Dio, Dostoevskij ritrova e contempla quella bellezza di sé stesso e di tutti gli uomini, e del creato, perché ora anche lui guarda con gli stessi occhi del Risorto.

Mi piace così concludere con le parole di un maestro, Pavel Evdokimov, un uomo che ha cercato di contemplare la bellezza di Dio, contemplando quella dell’uomo; un uomo che per sensibilità si è stretto nell’intuizione e nella conoscenza che fu di Dostoevskji e che, parlando di lui, così scrive:

«… Non è l’esistenza di Dio che tormenta Dostoevskji bensì la sua Sapienza e i rapporti tra Dio e l’uomo: la coesistenza e l’interazione di Dio e dell’uomo nella storia. In definitiva è l’uomo, sono le sue origini, la sua radice celeste, a costituire l’unico tormento della sua anima. Nella cerchia dei rivoluzionari che hanno liquidato Dio, un vecchio ufficiale tentenna e dice: - Se Dio non esiste sono ancora capitano?. È a lui che Mitia risponde: - Viva Dio e la sua gioia divina. Sapere che Dio esiste, è già tutta la vita … io vincerò tutte le sofferenze per dire e ridire ad ogni istante: io sono, io esisto … . L’uomo è attaccato alla sorgente trascendente del suo essere, come l’amore di Dio alla croce.
Gli occhi di Dostoevskij sono coperti da una mano, ma essa è forata, e gli occhi vedono attraverso i fori. Egli scorge il mondo attraverso la mano del Cristo crocefisso, ed è già il mondo visto alla luce del Risorto. La fede, per questo tipo di uomo non può essere credenza, abitudine, certezza, essa è sempre una lotta accanita, una follia, un’angoscia, un’estasi, una violenza dello spirito che si impadronisce dell’evidenza e che, infine, vinto, fa sgorgare questo grido di gioia (l'inno di San Giovanni Climako):  Il tuo amore ha ferito la mia anima ed essa non può sopportare le sue fiamme; io avanzo cantando le tue lodi.
È dunque facile capire che Dostoevskij … turba e non cessa di turbare le anime troppo impiantate nella comodità della tradizione o del conformismo. Egli parla della spiritualità di domani e della realtà dei tempi preapocalittici … non si può vivere secondo l’Apocalisse. Neppure si può vivere secondo Dostoevskij. Ma nessuna lettura della storia o dell’esistenza umana è illuminante al di fuori della sua visione. Egli getta nel mondo quel sale di cui parla il Vangelo e senza il quale tutto è insipido; egli suscita la Bellezza senza cui non ci sarebbe niente da fare su questa terra. La sua fede introduce Dio nell’anima, come il roveto ardente vi ha posto le radici.
Dostoevskij ha cercato con passione, per tutta la vita, di decifrare l’uomo e, alla fine, ha saputo leggere in lui il nome di Cristo. Come San Giovanni Battista il violento, egli è sceso agli inferi e vi ha incontrato il Cristo e, come lui, ha indicato l’Agnello, sole immobile dell’amore. Con la croce, nella croce, egli ha afferrato la scala di Giobbe lungo la quale scendono incontro all’uomo gli angeli ed il Signore degli angeli. Ha disegnato l’icona della filantropia divina, ha disegnato il sorriso del padre. Tutto il mistero del Dio cristiano è racchiuso in questo sorriso e Dostoevskij ci fa capire che noi avremo tutta l’eternità per contemplare questo sorriso, sempre nuovo come il mattino del primo giorno della creazione … le ultime parole de I fratelli Karamazov con la quale lo scrittore si congeda da noi dicono, con la semplicità dei fanciulli, del regno: "sSenza dubbio resusciteremo, senza dubbio ci rivedremo e con gioia, con allegrezza ci racconteremo tutto ciò che è stato”». 

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