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NON PASSA LA MOZIONE

“Uno di noi”, Ue arrogante boccia 1,7 milioni di cittadini

Ha raggiunto 1 milione e 700mila firme, ma la petizione One of Us è stata rifiutata dalla Commissione Ue perché la linea politica prevale. Ma non è questo lo spirito dei trattati che consegnarono ai cittadini il diritto di farsi ascoltare. Ma per l'Ue è ancora vitale finanziare gli abortifici. 

Vita e bioetica 08_06_2017
È normale che un’iniziativa firmata da quasi due milioni di cittadini, che si fonda sulle regole previste nei Trattati, possa essere arbitrariamente respinta dalla Commissione europea solo perché non è di suo gradimento? Un organo come la Commissione, peraltro non elettivo, è ancora soggetto allo stato di diritto o gode di una discrezionalità illimitata?
 
Sono le domande che i rappresentanti legali di One of Us, l’iniziativa che chiede di rispettare la vita umana fin dal concepimento e di fermare il finanziamento di attività che prevedono la produzione in serie e la distruzione di embrioni, hanno posto il 16 maggio nel ricorso davanti a cinque giudici della Corte di giustizia europea, spiegando dettagliatamente come la Commissione abbia calpestato la prerogativa democratica dei cittadini. Un’azione dal basso necessaria, se si considera che l’Ue non solo usa fiumi di denaro pubblico per finanziare ricerche immorali, che trattano la vita umana come una cosa, ma anche per diffondere l’aborto nei Paesi in via di sviluppo.
 
Con 1.7 milioni di firme validamente registrateOne of Us è la maggiore iniziativa di cittadini nella storia dell’Unione europea, frutto di un lavoro di due anni che ha coinvolto volontari di tutti i 28 Stati membri, basandosi sulla possibilità offerta dall’articolo 11 del Trattato sull’Ue (Tue), scritto proprio con il fine di ridurre il deficit di democrazia e riavvicinare il popolo alle istituzioni comunitarie.
 
Trattandosi di una proposta con tutti i crismi del caso, era logico attendersi che il suo iter proseguisse quantomeno per un dibattito a livello parlamentare. Invece, nel maggio 2014 la Commissione uscente a guida Barroso comunicò che non avrebbe trasmesso la proposta dei cittadini al Parlamento europeo, senza fornire alcuna motivazione legale del suo rifiuto e facendo delle affermazioni di carattere esclusivamente politico, per di più contraddittorie.
 
La stessa Commissione Juncker ha avvalorato nuovamente questa linea davanti alla Corte di giustizia, asserendo di avere “un monopolio sull’iniziativa politica” in campo comunitario. “La delusione degli organizzatori non è di nessun interesse per la Commissione”, ha detto il rappresentante legale degli euroburocrati, secondo cui la richiesta dei cittadini “ha il diritto di essere ricevuta dalla Commissione” e di avere una risposta, “ma niente di più”.
 
Il presupposto è che qualsiasi iniziativa popolare possa essere bloccata per ragioni del tutto arbitrarie e, ironicamente, sia il Consiglio sia il Parlamento europeo (da cui i cittadini dovrebbero essere rappresentati) hanno appoggiato la linea della Commissione. Insomma, la democrazia è un valore solo quando il vento democratico soffia nel verso voluto dai potenti di turno.
 
E questo verso, in epoca di pensiero unico, è sempre contrario a qualunque tentativo di proteggere il diritto naturale, che essendo il fondamento razionale a salvaguardia della dignità di ogni persona non può che essere inviso a chi vuole conformare la legge ai propri desideri e interessi. Quando il processo democratico rischia di svolgersi secondo un senso contrario a questi desideri, basta “correggerlo” con soluzioni dispotiche (per restare a casa nostra basterebbe ricordare le modalità che hanno portato all’approvazione della legge sulle unioni civili), chiaramente da mascherare con un linguaggio il più scaltro possibile.
 
Paul Diamond e Roger Kiska, gli avvocati che rappresentano One of Us, hanno argomentato che se il potere discrezionale della Commissione è illimitato, allora si decreta la morte di uno strumento come l’iniziativa dei cittadini e rimane sulla carta quanto scritto nell’articolo 11 del Tue e nel regolamento 211/2011, laddove si stabilisce che con almeno un milione di firmatari si può “invitare la Commissione […] a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione”.
 
Considerando che ogni singolo cittadino dell’Ue ha il diritto di presentare direttamente una petizione al Parlamento europeo e di ricevere una risposta (bypassando perciò la Commissione), non si capisce quale sarebbe la ratio di una norma che prevede la possibilità di un’iniziativa popolare – con l’onere di dover raccogliere un milione di firme – se Bruxelles la interpreta nel senso di poterne impedire a piacere la semplice trasmissione all’Europarlamento.
 
Per logica, se si vuole dare un senso all’idea di democrazia, una proposta proveniente da un numero così grande di persone richiederebbe di essere più attentamente considerata e dibattuta dai rappresentanti eletti. Non a caso Diamond e Kiska si chiedono se la Commissione possa trattare una proposta di 1.7 milioni di persone “essenzialmente nello stesso modo in cui tratterebbe una lettera inviata da un singolo cittadino, o da un gruppo lobbistico o da un’associazione industriale”.
 
E ricordano che ragionando così le iniziative di questo tipo sono destinate a scomparire, come dimostra il loro numero sempre più esiguo, a conferma dell'accresciuta distanza tra cittadini e istituzioni. 
 
La Corte di giustizia europea ha di recente emesso due sentenze (nelle cause T-646/13 e T-754/14) con le quali annulla le decisioni della Commissione di non registrare delle iniziative di cittadini che secondo i giudici rispettano almeno parzialmente i requisiti per la registrazione. Il caso di One of Us, la cui sentenza dovrebbe essere resa nota entro la fine dell’anno, è tanto più significativo perché siamo in presenza di un’iniziativa che ha rispettato in tutto e per tutto i criteri di registrazione. E per la quale appare chiaro che il rigetto ha solo motivazioni politiche, il che contrasta con quanto il Parlamento europeo aveva esplicitamente affermato attraverso la risoluzione del 7 maggio 2009: “La Commissione non è libera di decidere, sulla base di sue proprie considerazioni politiche, se un’iniziativa dei cittadini può o non può essere dichiarata ammissibile”. Un principio che oggi è stato dimenticato tanto dalla Commissione quanto dal Parlamento, in ossequio all’ideologia contro la vita e la famiglia che sta infettando l’Europa, distruggendone l’identità.