Unioni civili, "Sono un matrimonio, anche se vogliono dire il contrario"
Il presidente Cei Bagnasco all'Assemblea Cei: "I problemi del popolo non sono queste esigenze ideologiche. Le differenze tra nozze e unioni civili sono solo dei piccoli espedienti nominalisti in attesa del colpo finale: l’utero in affitto, che sfrutta il corpo femminile profittando di condizioni di povertà. Mancano, invece, politiche famigliari che possano invertire una rotta mortifera che attanaglia la demografia italiana". Poi la stoccata al Governo: "Che cosa sta facendo lo Stato perché si possa invertire la tendenza?"
Dopo l'apertura dei lavori da parte di Papa Francesco, l'assemblea della Cei, riunita in Vaticano fino al 19 maggio, ha visto oggi l'intervento del Presidente cardinale Angelo Bagnasco. Particolarmente atteso era il passaggio che riguarda la vita politica e sociale dell'Italia e l'arcivescovo di Genova non ha fatto mancare la sua voce in proposito.
Di fronte ai drammi della povertà, del lavoro e di altre questioni devastanti come la denatalità, il presidente dei vescovi italiani ha detto che “è su questi problemi che la gente vuole vedere il Parlamento impegnato senza distrazioni di energie e di tempo, perché questi sono i problemi veri del Paese, cioè del popolo. Per questo non si comprende come così vasta enfasi ed energia sia stata profusa per cause che rispondono non tanto a esigenze – già per altro previste dall’ordinamento giuridico – ma a schemi ideologici”. Il riferimento, ovviamente, è alla recente approvazione delle legge sulle unioni civili.
“La recente approvazione della legge sulle Unioni civili”, ha sottolineato Bagnasco, “sancisce di fatto una equiparazione al matrimonio e alla famiglia, anche se si afferma che sono cose diverse: in realtà, le differenze sono solo dei piccoli espedienti nominalisti, o degli artifici giuridici facilmente aggirabili, in attesa del colpo finale – così già si dice pubblicamente – compresa anche la pratica dell’utero in affitto, che sfrutta il corpo femminile profittando di condizioni di povertà”.
Mancano, invece, politiche famigliari che possano invertire una rotta mortifera che attanaglia la demografia italiana. “Finalmente, dopo anni che lo richiamiamo, oggi perlomeno si parla di inverno demografico: l’immagine – seppur efficace – non suscita però ancora la necessaria coscienza della gravità. (…) Che cosa sta facendo lo Stato perché si possa invertire la tendenza?”, si chiede retoricamente Bagnasco. “Si avverte l’urgenza di una manovra fiscale coraggiosa, che dia finalmente equità alle famiglie con figli a carico. Gli esperti dicono che la messa in atto del cosiddetto “fattore famiglia” sarebbe già un passo concreto e significativo.”
L'Europa deve svegliarsi, “ritrovare la sua anima e così l’amore di “popoli e nazioni”. Possa incontrarsi finalmente con le persone, che non sono pedine sulle cui teste qualche “illuminato” pretende di decidere o esperimentare; né sono apolidi, poiché ognuno appartiene ad una storia, ha una visione della vita e valori di fondo. Capisca che essere europeo non significa entrare nel limbo del pensiero unico: le leggi e gli accordi sono necessari, ma non fanno lo spirito di un continente: lo presuppongono.” Per questo il presidente dei vescovi italiani solleva anche un problema culturale che non è affatto secondario, come, invece, potrebbe apparire ad una prima lettura del suo discorso. Lo fa parlando dell'immigrazione, ma il tema è centrale a tutte le questioni sollevate.
“Quale offerta culturale fa [l'Europa, anzi l'Occidente] alle generazioni di immigrati ormai naturalizzati nel Continente? Quale visione spirituale offre? Il benessere materiale è ricercato e spesso raggiunto; ma i beni di consumo da soli non sono sufficienti: è necessaria una visione di valori e di ideali – favorita da un’alta istruzione e da un contesto di buone relazioni – per cui ognuno senta che vale la pena sacrificarsi”.
“Possa l’Europa ritrovare la sua anima e così l’amore di “popoli e nazioni”. (…) Capisca che essere europeo non significa entrare nel limbo del pensiero unico: le leggi e gli accordi sono necessari, ma non fanno lo spirito di un continente: lo presuppongono”.