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CHIESA

Unioni civili, ad alcuni vescovi piacciono

Le dichiarazioni di monsignor Mogavero, ex vicepresidente della Cei, a favore del riconoscimento delle unioni di fatto tradiscono l'assoluta ignoranza della materia. Ma sono anche il segnale di un più vasto attacco al Magistero.

Ecclesia 07_01_2014
Monsignor Domenico Mogavero

E’ vero che il Vangelo non si annuncia con “bastonate inquisitorie”, come papa Francesco ha detto pochi giorni fa parlando ai gesuiti. E sempre papa Francesco più volte ha messo in guardia dall’usare la dottrina come una clava, che impedisce agli uomini di accostarsi a Cristo. Ma mentre papa Francesco si concentra sull’essenziale dell’annuncio, sta accadendo che certi teologi e vescovi si stanno facendo scudo delle sue parole per affermare la loro personale dottrina, che poi coincide sempre – guarda caso - con la cultura dominante. Ormai non passa giorno che non c’è un’uscita che annuncia qualche nuova posizione della Chiesa.

Così alla fine non sorprende più di tanto l’intervista a monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo ed ex vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), pubblicata da La Stampa il 5 gennaio (clicca qui). In questa intervista Mogavero interviene sull’argomento del giorno, ovvero le unioni civili, per sostenere che la legge «non può ignorare centinaia di migliaia di conviventi». E quindi ben venga il riconoscimento delle unioni di fatto, che sarebbe anzi doveroso da un punto di vista della Chiesa: «Contrasta con la misericordia cristiana e con i diritti universali il fatto che i conviventi per la legge non esistano. Oggi se uno dei due viene ricoverato in ospedale, all’altro viene negato persino di prestare assistenza o di ricevere informazioni mediche come se fosse una persona estranea. Mi pare legittimo riconoscere diritti come la reversibilità della pensione o il subentro nell’ affitto in virtù della centralità della persona». E poi ancora: Per la Chiesa «su tutto ciò che riguarda la sfera civile e umanitaria si può arrivare ad un accordo. Senza equipararle alle coppie sposate, non ci sono ostacoli alle unioni civili».

Monsignor Mogavero non è certo nuovo a uscite quanto meno discutibili, ma in questa occasione è addirittura sconcertante perché al sovvertimento del Magistero unisce anche una clamorosa ignoranza dell’argomento su cui si avventura. 

Cominciamo da quest’ultimo: evidentemente monsignor Mogavero non sa che in Italia i conviventi non sono “un signor Nessuno”, come lui sostiene, e la storia dell’impossibile assistenza in ospedale alla persona convivente è ormai una barzelletta. In realtà le coppie conviventi – per legge o per sentenze – godono ormai di quasi tutti i diritti delle coppie regolarmente sposate, compreso il subentro nell’affitto e, ovviamente, l’assistenza ospedaliera. Proprio per togliere di mezzo tanti luoghi comuni, mesi fa su La Nuova BQ abbiamo pubblicato una lista dei diritti spettanti alle coppie di fatto (clicca qui per leggere). Per un approfondimento ancora maggiore sull'argomento è poi molto utile il libro di Alfredo Mantovano La Guerra dei "Dico" (Rubbettino 2007).

Informazioni comunque facilmente reperibili per chi ne abbia voglia, e buon senso vorrebbe che prima di impegnare la Chiesa con proprie dichiarazioni, almeno ci si prendesse la briga di studiare l’argomento. Certo, i conviventi non hanno diritto alla pensione di reversibilità, come dice monsignor Mogavero, ma con buona ragione, visto che chi si sposa si assume dei doveri e delle responsabilità nei confronti della società che invece non si assumono i conviventi. Ma soprattutto, se dal punto di vista economico e sociale coppie sposate e conviventi dovessero avere gli stessi diritti – come vorrebbe monsignor Mogavero – dove starebbe la differenza tra le une e le altre? In altre parole, cosa vuol dire “senza equipararle alle coppie sposate” se poi possono godere di tutti i diritti senza peraltro assumersi i rispettivi doveri? Un’affermazione senza senso, che semplicemente tradisce l’ignoranza della materia.

Di ignoranza però è difficile parlare a proposito del sovvertimento del Magistero che compie. Il vescovo di Mazara del Vallo non può certo ignorare – tra i tanti che ci sono - un documento dettagliato sull’argomento, e per certi versi profetico, pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia nel 2000 (“Famiglia, matrimonio e unioni di fatto”). Qui viene spiegata con molta chiarezza non solo la differenza, dal punto di vista del riconoscimento dello Stato, tra le diverse unioni, ma anche la rivoluzione antropologica che si accompagna al tentativo di conformare le unioni di fatto alla famiglia naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna.

E' un documento che vale la pena leggere tutto, ma ci permettiamo qualche breve citazione, tanto per dare un'idea: «La comunità familiare nasce dal patto d’alleanza dei coniugi. Il matrimonio che sorge da questo patto d'amore coniugale non è una creazione del potere pubblico, bensì un'istituzione naturale e originaria che lo precede. Nelle unioni di fatto, al contrario, si mette in comune l’affetto reciproco, ma allo stesso tempo manca quel vincolo coniugale di natura pubblica e originaria che fonda la famiglia. Famiglia e vita formano una unità che deve essere protetta dalla società, in quanto si tratta del nucleo vivente della successione (procreazione e educazione) delle generazioni umane. 

Nelle società aperte e democratiche di oggi, lo Stato e i poteri pubblici non devono istituzionalizzare le unioni di fatto, accordando loro uno statuto simile a quello del matrimonio e della famiglia. Tanto meno equipararle alla famiglia fondata sul matrimonio. Si tratterebbe di un uso arbitrario del potere che non contribuirebbe al bene comune, poiché la natura originaria del matrimonio e della famiglia precede e supera, in maniera assoluta e radicale, il potere sovrano dello Stato».

E ancora: «L'uguaglianza di fronte alla legge deve rispettare il principio di giustizia, che esige che si tratti ciò che è uguale come uguale, e ciò che è diverso come diverso; cioè che ciascuno abbia ciò che gli è dovuto in giustizia. Questo principio di giustizia si infrangerebbe se si desse alle unioni di fatto un trattamento giuridico simile o equivalente a quello spettante alla famiglia fondata sul matrimonio. Se la famiglia matrimoniale e le unioni di fatto non sono simili né equivalenti nei loro doveri, funzioni e servizi alla società, non possono neanche essere simili né equivalenti nello status giuridico. 

Il pretesto addotto da coloro che premono per il riconoscimento delle unioni di fatto (cioè la "non discriminazione"), comporta una vera discriminazione della famiglia matrimoniale, che sarebbe posta su un piano di uguaglianza con tutte le altre forme di convivenza, senza tenere assolutamente conto dell’esistenza o meno di un impegno di fedeltà reciproca e di generazione-educazione dei figli. La tendenza attuale di alcune comunità politiche a discriminare il matrimonio riconoscendo alle unioni di fatto uno statuto istituzionale simile o equivalente a quello del matrimonio e della famiglia o perfino equiparandolo, è un grave segno di deterioramento della coscienza morale sociale, di "pensiero debole" di fronte al bene comune, quando non si tratta di una vera e propria imposizione ideologica esercitata da gruppi di pressione influenti». 

Sono solo delle brevi citazioni, ma che fanno almeno intuire la gravità di certe affermazioni. A maggior ragione se fatte da un vescovo, che peraltro pretende di parlare a nome di tutta la Chiesa. Purtroppo, come già abbiamo avuto modo di rilevare da queste colonne, monsignor Mogavero non è un caso isolato in questa posizione e mette in rilievo un problema che va ben oltre la vicenda delle unioni civili. Negli ultimi decenni infatti, molti teologi e vescovi hanno sviluppato un magistero parallelo - di formale obbedienza ma sostanziale disobbedienza alla Chiesa - che ora sta emergendo in tutta la sua virulenza. E ha scelto il prossimo Sinodo sulla famiglia per sferrare l’assalto decisivo. Il caso della Chiesa tedesca è emblematico. Sperano di ottenere ora ciò che non fu possibile con Paolo VI, quando il Pontefice con l’enciclica Humanae Vitae (1968) stoppò la rivoluzione antropologica nella Chiesa.