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ATTACCO A ORBAN

Ungheria al voto: l'ombra del complotto di Soros

Ungheria al voto il 3 aprile. Le ultime vicende svelano il complotto ai danni del Governo Orban da parte di media vicini alla Open Society di Soros. Evidenti i tentativi di screditare a livello internazionale il presidente ungherese e di gettare sospetti sulla democraticità del voto. 

Esteri 12_02_2022

Le elezioni in Ungheria si svolgeranno il prossimo 3 aprile, EU e OSCE assecondano i desideri di Soros e della sinistra, ma emergono le prove di un complotto anti Orban. La campagna elettorale è iniziata e le indebite pressioni per favorire la vittoria della coalizione multicolore (dove Socialisti, sinistre, liberali e destre estreme si mischiano) sono in fase avanzata.

I fatti degli ultimi giorni confermano ogni sospetto, da anni è in atto un vero e proprio complotto antidemocratico di cui ben pochi possono dirsi estranei. Il 2 febbraio scorso, una enorme quantità di materiali video e documenti è stata ricevuta dalla redazione di Magyar Nemzet, uno dei maggiori quotidiani del paese, il materiale dimostra come la fondazione di Soros Open Society e le organizzazioni non governative nazionali ed internazionali da essa finanziate, da anni stiano manipolando informazioni dei mass media, condizionando le decisioni europee e internazionali per scalzare Orban e stravolgere le politiche del suo governo.

La documentazione è talmente vera che nessuno dei protagonisti di questo complotto ha sinora sporto alcuna denuncia. Andiamo con ordine. L’inspiegabile accanimento contro l’Ungheria per qualsivoglia scusa accampata dalla Commissione europea descritto nei mesi scorsi sulla Bussola, è confermato dalle parole del Commissario alla Giustizia Didier Reynders in un'intervista alla rivista della sinistra internazionale ‘Politico’ di fine gennaio, nella quale svela gli obiettivi di rovesciare il governo Orban dicendo che l'Ungheria non dovrà certamente affrontare sanzioni finanziarie per le violazioni dello stato di diritto dopo le sue elezioni parlamentari ed esse riguarderanno un’ampia “lista di questioni": la corruzione, la libertà dei media e accademica, le leggi sull'immigrazione e l'asilo e la discriminazione contro la comunità LGBTQ+.

Ovvero, se vincerà Orban il Paese sarà penalizzato, se vinceranno le opposizioni il Paese dovrà omologarsi ai dogmi europeisti. Negli stessi giorni, ‘Transparency International’, organizzazione finanziata anche da Soros che stila una classifica mondiale su un campione di cittadini sulla percezione della corruzione nel proprio paese, dichiara l’Ungheria il secondo peggior paese dell’Unione Europea.

Una prima risposta indiretta all’assalto viene espressa dalla prossima Presidente della Repubblica Katalin Novak che al settimanale ungherese Mandiner descrive il suo mandato come pro attivo, in difesa dei valori famigliari e della educazione dei bambini e non di semplice rappresentanza. Orban, dal canto suo, nell’incontro dei leaders conservatori e patrioti di Madrid del 29 gennaio, ribadisce l’impegno comune a difendere la sovranità nazionale contro le pretese egemoniche europee.

Il primo febbraio è ancora il Commissario alla Giustizia Reynders a entrare in gioco e chiedere una missione internazionale di osservatori per le elezioni parlamentari ungheresi per dare credibilità alla stessa Unione Europea. In realtà, la Commissione decide di sostenere la richiesta all’OSCE (un organismo intergovernativo che affronta questioni come la sicurezza, il controllo delle armi, la promozione dei diritti umani e le elezioni libere e trasparenti), presentata a metà gennaio sia da una ventina di NGO’s ungheresi legate a doppio filo con il network internazionale dei diritti umani finanziato dai noti filantropi, sia da 62 parlamentari europei di sinistre, verdi e liberali.  

L'OSCE ha sempre inviato in Ungheria una cosiddetta "missione di osservazione elettorale limitata", ma si chiedeva una missione di osservazione elettorale su vasta scala, di solito inviata nei paesi dove le elezioni non sono completamente eque e la competizione tra i partiti non è uguale. Felicitazioni da parte di Soros per le iniziative messe in atto, vengono espresse dal magnate in un suo intervento del 3 febbraio ad una tavola rotonda sulla democrazia dell’Hoover Institution: le sfide democratiche riguardano la Cina, ma anche l’Ungheria paese nel quale i cittadini nel prossimo Aprile potrebbero cacciar via il loro attuale “leader autoritario”.

Il 4 febbraio si apprende la notizia che gli esperti dell’OSCE raccomandano il dispiegamento di una missione di osservazione elettorale (EOM), di solito comprende da 8 a 15 esperti internazionali inviati da due a otto settimane, che sia affiancata da 18 osservatori a lungo termine e 200 osservatori a breve termine per seguire le procedure del giorno delle elezioni. Una misura mai richiesta per un paese europeo dalle elezioni del 2013 in Bulgaria.

Il Governo Orban fa “buon viso a cattivo gioco” con il Ministro della Giustizia Varga che, dando il benvenuto alla missione degli osservatori, si dice certa che «essi avranno la possibilità di assistere a un'elezione libera, equa e democratica, ma solo se durante la loro missione non tenteranno di interferire nelle elezioni ungheresi».

Coincidenze o complotto? Ebbene le prove dell’accanimento ingiusto contro Orban sono tutte nelle registrazioni di interviste Skype, documenti e registrazioni video consegnate a Magyar Nemzet, i cui ampi estratti vengono pubblicati in questi giorni (e censurati dalla libera stampa mondiale). Si comincia con una lunga intervista Skype a Andrej Nosko, direttore della Open Society Foundations finanziata da George Soros, per la quale ha gestito diverse decine di milioni di donazioni negli ultimi anni.

Nell'intervista Nosko ha praticamente ammesso che c'è ed è tuttora in atto una campagna ingiusta e di parte contro l'Ungheria, suggerita, guidata e promossa attraverso giornalisti di testate internazionali controllati dalla stessa organizzazione di Soros, come da Amnesty International e altre organizzazioni legate a Soros. In un altro video, Dalibor Rohac, un ricercato associato dell’influente think tank American Research Institute, ammette candidamente che il «doppio standard» usato da Bruxelles verso l’Ungheria dipende dalla difesa di Orban della identità nazionale e dalla sua volontà a non omologarsi. Sarà una lunga campagna elettorale e altre bugie e trame verranno a galla.