Un'esecuzione jihadista, così in Mozambico hanno ucciso suor Maria
Suor Maria De Coppi, suora missionaria comboniana 84enne, da 60 anni in Mozambico, è stata assassinata durante l'attacco dello Stato Islamico alla sua missione. Tutto è stato bruciato. Si è trattato di un'esecuzione mirata, come recita la rivendicazione dell'attacco: "Era troppo attiva nella diffusione del cristianesimo".
Arrivano dal Mozambico nuove notizie sulla morte di suor Maria De Coppi, la missionaria comboniana uccisa la sera del 6 settembre durante un attacco armato alla missione di Chipene, nella provincia settentrionale di Nampula. Si è subito sospettato che ne fossero responsabili i jihadisti al Shabaab, ora chiamati anche al-Sunna wa Jama’a, affiliati allo Stato Islamico e attivi nella regione dal 2017. Se ne è avuta conferma il 7 settembre quando lo Stato Islamico ha rivendicato l’azione sul proprio account Telegram dicendo di parlare a nome di uno dei suoi rami africani, la Provincia mozambicana. Quasi in contemporanea, anche il presidente del Mozambico Felipe Nyusi ha preso la parola. Incontrando i giornalisti, ha spiegato che si tratta di jihadisti in fuga dalle loro basi nella vicina provincia di Cabo Delgado dove contro di loro si concentrano le truppe inviate in aiuto all’esercito mozambicano dal Rwanda e dagli stati della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc). “Stanno scatenando una furia omicida – ha detto – il 6 settembre in una serie di attacchi hanno decapitato sei civili, ne hanno rapiti tre e hanno incendiato decine di abitazioni”.
I jihadisti, nel loro comunicato, affermano di aver attaccato alcuni villaggi tra cui quello in cui hanno una loro sede i comboniani, di aver dato fuoco alla chiesa della missione, a numerosi edifici, a due automezzi e ad altri beni di proprietà dei religiosi. Dicono inoltre di aver ucciso quattro cristiani, tra cui suor Maria. Nella missione abitavano anche due sacerdoti italiani fidei donum della diocesi di Pordenone, don Loris Vignandel e don Lorenzo Barro. Dalle loro testimonianze risulta in effetti che quasi tutta la missione è stata distrutta dal fuoco: la chiesa, l’ospedale, la scuola elementare e quella secondaria, i dormitori, le residenze dei missionari e alcuni magazzini. “Purtroppo uno dei primi spari ha preso suor Maria al volto – ha raccontato don Loris a Il Gazzettino – per lei non c'è stato niente da fare e già la sua salma sta andando verso Carapira (un’altra missione comboniana, n.d.A.) per la sepoltura”. Si era ipotizzato che, mentre tentava di raggiungere alcune studentesse ancora intrappolate in uno dei dormitori della scuola, suor Maria fosse stata colpita a morte dai colpi sparati a raffica dal commando: ai primi colpi di fucile, le altre ragazze erano riuscite a mettersi in salvo fuggendo nella vicina foresta insieme a suor Paula, suor Eleonora, suor Sandrine e suor Angeles, le consorelle di suor Maria anch’esse sopravvissute. Don Loris però, rispondendo alle domande dei mass media, ha aggiunto qualcosa che ha dato da pensare: “riguardo a me e a don Lorenzo, siamo rimasti zitti zitti in camera tutta la notte. Hanno bruciato tutto, sfondando tutte le porte. Tranne da noi. E la cosa ci insospettisce non poco: come mai e perché proprio le nostre due porte non sono state toccate? Pare evidente che hanno appositamente evitato, perché sapevano: non c'è altra spiegazione”.
Che cosa sapevano i jihadisti? Perché si sono comportati in quel modo? La spiegazione è arrivata con il comunicato di rivendicazione in cui si legge: “la suora era andata troppo oltre, era troppo attiva nella diffusione del cristianesimo”. Si tratterebbe quindi di un attacco mirato, una esecuzione.
Nella lunga notte trascorsa convinto di morire, don Loris ha spedito dei messaggi di commiato sulla chat Telegram della diocesi di Pordenone. “Ho perdonato chi eventualmente mi ucciderà – ha scritto in un post – fatelo pure voi”. Ma è difficile perdonare chi infligge così tanto dolore e ancora più difficile è perdonare chi permette che tanto dolore venga inflitto o se ne fa complice. Nel 2017 gli al Shabaab erano poche centinaia, attaccavano villaggi remoti per saccheggiare e intimidire la popolazione. Il governo mozambicano per mesi non ha mosso un dito per fermarli. Tra le autorità della provincia di Cabo Delgado – amministratori, funzionari, forze dell’ordine – tante hanno stretto alleanza con i jihadisti per spartire con loro i profitti del bracconaggio e del contrabbando di pietre preziose, legname e altri prodotti naturali. Così gli al Shabaab sono diventati sempre più numerosi, temibili e violenti. Dai villaggi sono passati ad attaccare città strategiche riuscendo a impadronirsene e a occuparle persino per mesi. Il porto di Mocimboa da Praia è rimasto nelle loro mani per un anno. Uno degli episodi più drammatici è stato l’attacco alla città di Palma, nel 2021, messo a segno da un commando di un centinaio di jihadisti che l’hanno in gran parte distrutta e hanno ucciso decine, forse centinaia di persone. I mercenari russi del gruppo Wagner chiamati dal governo mozambicano hanno fallito. Li hanno sostituiti dei mercenari sudafricani e poi le truppe inviate da diversi Stati africani. Così le offensive jihadiste sono state almeno contenute. Ma dal 2017 si contano almeno 4mila morti civili e centinaia di migliaia di sfollati.
Suor Maria aveva 84 anni. Ne ha trascorsi 60 in Mozambico dove era arrivata nel 1963 quando il paese era una colonia del Portogallo. Ha lavorato in diverse missioni sempre nella provincia di Nampula. In una intervista da lei concessa nel 2021 al settimanale L’Azione.it ha descritto sofferenze e disperazione di una popolazione abbandonata all’arbitrio e alla brutalità di jihadisti e pubblici ufficiali corrotti: “cerco di stare vicina alla gente – aveva detto – soprattutto ascoltando quanto mi raccontano. Nonostante la povertà materiale, l’ascolto dell’altro resta un dono grandissimo, è riconoscergli dignità”.