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LE DIMISSIONI DI COSTA

Un'armata Brancaleone centrista favorisce Berlusconi

La chiamano già la “quarta gamba” del centrodestra. Le dimissioni del Ministro degli affari regionali, Enrico Costa non provocheranno una crisi di govern. Ma una formazione così eterogenea e composita somiglia più a un’armata Brancaleone che non ad una forza coesa, ma intanto riuscirebbe a superare i vari sbarramenti alla Camera e al Senato.

-IL MINISTRO ALLA FAMIGLIA. SENZA SAPERLO di Marco Guerra

Politica 21_07_2017
L'ex ministro Costa

La chiamano già la “quarta gamba” del centrodestra. Di qui alle elezioni politiche dovrebbe calamitare le aspirazioni di tutti i centristi “apolidi”, che vogliono tornare in quell’area politica ma senza lasciarsi fagocitare da Forza Italia. Le dimissioni del Ministro degli affari regionali, Enrico Costa, di Alternativa Popolare, non provocheranno una crisi di governo né faranno tremare l’esecutivo Gentiloni, che per varie ragioni è solidissimo, ma aprono un altro cantiere centrista con vista sulla prossima legislatura.

Il dissenso sullo ius soli è stato un pretesto che il ministro dimissionario ha utilizzato per smarcarsi dal governo e poter fare il battitore libero, da semplice parlamentare, per riaggregare le varie anime della galassia centrista. Pare ci siano già vedute comuni con Gianfranco Rotondi, Gaetano Quagliariello, Lorenzo Cesa, Flavio Tosi (ex sindaco di Verona), Enrico Zanetti e altri. L’obiettivo è quello di arrivare ad un cartello moderato che includa anche l’attuale Ministro degli esteri, Angelino Alfano, Stefano Parisi, Pierferdinando Casini e quanti ritengono chiusa l’esperienza di collaborazione col Pd e intendono rientrare nel recinto del centrodestra.

Una formazione così eterogenea e composita somiglia più a un’armata Brancaleone che non ad una forza coesa, ma intanto riuscirebbe, con ogni probabilità, a superare i vari sbarramenti alla Camera e al Senato e a riposizionare alcune sue pedine nel prossimo Parlamento. E non è escluso che possa anche risultare determinante per i nuovi equilibri di governo, considerata l’incertezza che mostrano i vari sondaggi che circolano da mesi. Un contenitore così composito potrebbe essere spendibile sia nell’ipotesi di governo di centrodestra, sia in quella, assai più realistica, di esecutivo di larghe intese. E consentirebbe di superare alcuni veti che al momento appaiono invincibili, come quello di Salvini su Alfano.

Ma perché proprio ora le dimissioni di Costa? Alcuni pensavano che la sua presenza nell’esecutivo potesse contribuire a logorarlo dall’interno, senza farlo cadere. E’ quello che in fondo vuole Berlusconi, mentre a Renzi avrebbe fatto comodo andare alle urne in autunno. Ormai, però, il segretario Dem, che aveva promesso che si sarebbe ritirato dalla politica in caso di sconfitta al referendum del 4 dicembre e invece tenta disperatamente di dare ancora le carte, appare in un vicolo cieco: se tentasse di far cadere l’esecutivo, a Gentiloni arriverebbe il soccorso trasversale dei bersaniani e del centrodestra, che per opposte ragioni ritengono utile arrivare alla scadenza naturale della legislatura; se invece seguiterà ad appoggiarlo, inevitabilmente ne pagherà le conseguenze in termini elettorali, considerate le scelte impopolari in materia economico-finanziaria che l’attuale governo sarà chiamato a fare dopo l’estate per soddisfare i desiderata di Bruxelles. Dunque Costa ha scelto di non legare i suoi destini a un esecutivo con una forte connotazione di sinistra, considerato che intende ricandidarsi nel centrodestra. Tra gli alfaniani ci sarebbero altri pronti ad uscire, lusingati dai colonnelli berlusconiani come Ghedini e Romani. Anche tra i verdiniani molti si sarebbero già accordati con Berlusconi per la prossima legislatura, e sarebbe stato lo stesso ex Cavaliere a dire loro di continuare ad appoggiare il governo per qualche mese ancora, al fine di non farlo cadere.

Nel frattempo, dal Quirinale, oltre che arrivare un appoggio incondizionato all’operato di Paolo Gentiloni, si susseguono molteplici sollecitazioni bipartisan affinchè si affronti al più presto il nodo della legge elettorale. Quanto meno occorrerà uniformare per decreto i due sistemi di voto, di Camera e Senato, ma Mattarella non dispera di poter arrivare ad una nuova legge elettorale che assicuri governabilità valorizzando le coalizioni e non i singoli partiti. Magari scongiurando quello che il Colle vede come un rischio concreto, cioè una vittoria dei Cinque Stelle. Anche il Presidente del Senato, Piero Grasso, durante la consueta cerimonia del Ventaglio (incontro con la stampa parlamentare), ha auspicato un accordo su una nuova legge elettorale che coniughi rappresentatività e governabilità. Ma l’intesa, almeno per ora, non sembra dietro l’angolo.