Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi

MEDIO ORIENTE

Una spinta alla pace israelo-palestinese

In una giornata delicatissima papa Francesco ha incontrato le autorità palestinesi e israeliane ribadendo la necessità del riconoscimento di due Stati. Ha invitato i leader dei due popoli a un incontro di preghiera nella sua casa in Vaticano.

Ecclesia 26_05_2014
Papa Francesco prega davanti al muro di Betlemme

Papa Francesco con i bambini palestinesi del campo profughi

La seconda giornata del viaggio in Terrasanta di Papa Francesco, domenica 25 maggio 2014, ha confermato l’intenzione del Pontefice, già espressa sabato, di mettere al centro dei suoi gesti e discorsi due temi: la pace e il dialogo fra i popoli e le religioni, e la libertà religiosa per i cristiani del Medio Oriente. Domenica il Papa, incontrando il Patriarca ortodosso Bartolomeo, ha conferito a questi sforzi un accento ecumenico, all’insegna di quell’«ecumenismo del sangue» che unisce i cristiani perseguitati, e ha pure aggiunto che c’è una cartina di tornasole per verificare se ci stiamo veramente muovendo verso il dialogo e la pace: il rispetto per i bambini, che sono le prime vittime delle ideologie e delle violenze «fin dal grembo materno».

Anzitutto, la pace. Consapevole delle difficoltà di un viaggio dove ogni gesto e ogni parola sono suscettibili di interpretazioni e manipolazioni politiche, il Pontefice aveva ricordato sabato sera incontrando i rifugiati e i disabili a Betania che ultimamente le guerre, le stragi, il terrorismo nascono dal peccato che vive nel cuore dell’uomo e si superano solo con la conversione. «Dio converta i violenti! Dio converta coloro che hanno progetti di guerra!» aveva esclamato il Papa, menzionando anche «l’odio e la cupidigia di denaro» di chi in Medio Oriente vende armi a milizie private, fomentando il terrorismo.  

In una giornata davvero delicatissima Papa Francesco ha incontrato prima le autorità palestinesi e poi quelle israeliane. A entrambe ha ribadito la posizione, da anni assunta dalla Santa Sede, secondo cui la via per la pace in Medio Oriente – «una pace stabile, basata sulla giustizia, sul riconoscimento dei diritti di ciascuno e sulla reciproca sicurezza», ha detto a Betlemme al presidente palestinese Abu Mazen – passa per «il riconoscimento da parte di tutti del diritto di due Stati [Israele e la Palestina] ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti». Non basta però proclamare questo diritto in teoria. Occorre anche che «si evitino da parte di tutti iniziative e atti che contraddicono alla dichiarata volontà di giungere ad un vero accordo»; e che si ricordi che alla pace dopo un durissimo conflitto si arriva «rinunciando ognuno a qualche cosa».

Alle autorità israeliane all’aeroporto di Tel Aviv il Pontefice ha detto di comprendere le «aspirazioni di pace e prosperità» di Israele. E ha ribadito, citando Benedetto XVI: «Sia universalmente riconosciuto che lo Stato d’Israele ha il diritto di esistere e di godere pace e sicurezza entro confini internazionalmente riconosciuti. Sia ugualmente riconosciuto che il Popolo palestinese ha il diritto ad una patria sovrana, a vivere con dignità e a viaggiare liberamente. La “soluzione di due Stati” diventi realtà e non rimanga un sogno». A Tel Aviv il Papa ha auspicato che «non vi sia alcuno spazio per chi, strumentalizzando ed esasperando il valore della propria appartenenza religiosa, diventa intollerante e violento verso quella altrui».

Il Papa a Betlemme pregando ha poggiato la sua fronte sul muro, tanto detestato dai palestinesi, che li separa da Israele. Nello stesso tempo, quando tra i bambini del campo profughi di Dheiseh gli è stata letta una lettera con accenti anti-israeliani piuttosto bellicosi, ha risposto improvvisando nella sua lingua, lo spagnolo, per evitare qualunque equivoco nella traduzione: «Non lasciate mai che il passato determini la vita. Guardate sempre avanti. Lavorate e lottate per ottenere le cose che volete. Però, sappiate una cosa, che la violenza non si vince con la violenza! La violenza si vince con la pace!».

A Tel Aviv ha condannato duramente il terrorismo e l’antisemitismo, citando anche l’attentato di Bruxelles, e ha ricordato l’Olocausto della Seconda guerra mondiale, «la Shoah, tragedia che rimane come simbolo di dove può arrivare la malvagità dell’uomo quando, fomentata da false ideologie, dimentica la dignità fondamentale di ogni persona, la quale merita rispetto assoluto qualunque sia il popolo a cui appartiene e la religione che professa». Nello stesso tempo, ha ricordato che dell’odio fomentato dalle ideologie sono state vittime nel Novecento, oltre agli Ebrei, «anche tanti cristiani». Ovunque, sistematicamente, il Papa ha ricordato il ruolo delle antichissime comunità cristiane di Terrasanta. Al presidente palestinese a Betlemme ha chiesto «speciale attenzione alla libertà religiosa. Il rispetto di questo fondamentale diritto umano è, infatti, una delle condizioni irrinunciabili della pace, della fratellanza e dell’armonia», e viene meno quando la violenza causa «l’esodo di intere comunità».

Nell’incontro con il Patriarca Ecumenico Ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo, celebrato a Gerusalemme a cinquant’anni da quello fra il venerabile Paolo VI (1897-1978) e il Patriarca Atenagora (1886-1972), Papa Francesco ha ripreso con forza lo stesso tema, ricordando che quello che unisce anzitutto oggi, in tempi in cui in tante parti del mondo si «uccidono e perseguitano i cristiani», cattolici e ortodossi è «l’ecumenismo del sangue, che possiede una particolare efficace non solo nei contesti in cui esso ha luogo ma anche, in virtù della comunione dei santi, per tutta la Chiesa», Il messaggio congiunto che il Papa e il Patriarca hanno diffuso insiste sulla «profonda preoccupazione per la situazione dei cristiani in Medio Oriente e per il loro diritto a rimanere cittadini a pieno titolo delle loro patrie» e  sulla volontà dei cristiani «di salvaguardare ovunque il diritto ad esprimere pubblicamente la propria fede e ad essere trattati con equità», sviluppando anche una dottrina sociale comune «in un contesto storico segnato da violenza, indifferenza ed egoismo, [dove] tanti uomini e donne si sentono oggi smarriti».

La dichiarazione congiunta riconosce i progressi compiuti nel cammino ecumenico grazie agli sforzi di san Giovanni Paolo II (1920-2005), di Benedetto XVI e dei loro interlocutori ortodossi. Nel suo discorso, Papa Francesco si è detto ancora una volta disponibile a studiare, in continuità con gli sforzi avviati dai suoi due predecessori, «una forma di esercizio del ministero del vescovo di Roma che, in conformità alla sua missione, si apra a una situazione nuova», in modo da favorire la possibilità di una piena riconciliazione con gli ortodossi, in attesa della quale – ha pure affermato con chiarezza – la «condivisione della stessa mensa eucaristica» non è possibile e non può essere praticata. Infatti, spiega la dichiarazione, un vero ecumenismo non può avanzare a spese della verità. Il vero dialogo ecumenico «non cerca un minimo comune denominatore teologico sul quale raggiungere un compromesso, ma si basa piuttosto sull’approfondimento della verità tutta intera, che Cristo ha donato alla sua Chiesa».

Particolarmente toccante è stato, nell’omelia nella Piazza della Mangiatoia a Betlemme, il passaggio dall’adorazione di Gesù Bambino al ricordo dei tanti bambini che della mancanza di pace e di libertà sono le prime vittime. I bambini, ha detto il Pontefice, sono un «segno “diagnostico” per capire lo stato di salute di una famiglia, di una società, del mondo intero. Quando i bambini sono accolti, amati, custoditi, tutelati, la famiglia è sana, la società migliora, il mondo è più umano». Quando invece «fin dal grembo materno» – Papa Francesco di rado dimentica nei suoi interventi più impegnativi di fare un cenno all’aborto – i bambini sono uccisi, «sfruttati, maltrattati, schiavizzati, oggetto di violenza e di traffici illeciti», allora dobbiamo chiederci se anche la nostra società, anche noi non «siamo come Erode».

Oggi, ha affermato il Papa, «piangono i bambini, piangono molto, e il loro pianto ci interpella. In un mondo che scarta ogni giorno tonnellate di cibo e di farmaci, ci sono bambini che piangono invano per la fame e per malattie facilmente curabili. In un tempo che proclama la tutela dei minori, si commerciano armi che finiscono tra le mani di bambini-soldato; si commerciano prodotti confezionati da piccoli lavoratori-schiavi. Il loro pianto è soffocato: il pianto di questi bambini è soffocato! Devono combattere, devono lavorare, non possono piangere! Ma piangono per loro le madri, odierne Rachele: piangono i loro figli, e non vogliono essere consolate». E certo non le consolano gli appelli «retorici e pietisti [di] persone che sfruttano le immagini dei bambini poveri a scopo di lucro».

La pace, l’unità tra i cristiani, la libertà religiosa, il rispetto dei bambini fin dal grembo materno ultimamente sono un dono di Dio. Di qui il sorprendente invito del Papa ai presidenti palestinese e israeliano nel Regina Coeli a Betlemme «ad elevare insieme con me un’intensa preghiera invocando da Dio il dono della pace. Offro la mia casa in Vaticano per ospitare questo incontro di preghiera».