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PAPA IN PARAGUAY

"Una società più umana è possibile anche oggi"

Ultimo giorno di Papa Francesco in Paraguay: è l'occasione per celebrare le "reducciones" dei missionari gesuiti in Paraguay, fra il XVII e il XVIII Secolo. "In esse il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’era fame, né disoccupazione, né analfabetismo né oppressione. Questa esperienza storica ci insegna che una società più umana è possibile anche oggi".

Ecclesia 13_07_2015
S. Roque Gonzalez celebra messa in una missione in Paraguay

Si è concluso nella notte tra domenica e lunedì il viaggio di Papa Francesco in Paraguay. Nell’ultima giornata il Papa ha celebrato l’esperienza delle «reducciones», micro-società modello per l’evangelizzazione degli indigeni organizzate dai missionari gesuiti in Paraguay nel XVII e XVIII secolo, definendole «una delle più interessanti esperienze di evangelizzazione e di organizzazione sociale della storia». Le «reducciones» – che molti conoscono dal film Mission del 1986, spettacolare ma non esente da errori storici – coinvolsero circa 144.000 indigeni. Dopo una martellante opera di calunnia della propaganda protestante e illuminista, furono attaccate con vere e proprie operazioni militari dai governi portoghese e spagnolo, e l’esperienza prese fine poco dopo la metà del Settecento. Ma resta un esempio, ha detto il Papa, di una Chiesa e di una società concordi e unite, pur nelle differenze di etnia, di lingua, di tradizioni.

In occasione dei vespri con il clero nella cattedrale di Asunción, il Pontefice ha proposto «una Chiesa che rifletta e ripeta l’armonia delle voci e del canto nella vita quotidiana». Ricordando la storia tormentata del Paraguay, ha affermato che «questa Cattedrale, che tante volte ha dovuto ricominciare di nuovo, è segno della Chiesa e di ognuno di noi: a volte le tempeste da fuori e da dentro ci obbligano a buttar giù ciò che abbiamo costruito e cominciare di nuovo, ma sempre con la speranza riposta in Dio; e se guardiamo questo edificio, senza dubbio non ha deluso i paraguayani, perché Dio non delude mai».

La forza che sorregge nelle difficoltà e anche nelle tragedie è la preghiera: «fa emergere quello che stiamo vivendo o che dovremmo vivere nella vita quotidiana, almeno la preghiera che non vuole essere alienante o solo decorativa». E la preghiera costruisce l’unità nella Chiesa: «Se la divisione tra noi provoca la sterilità, non c’è dubbio che dalla comunione e dall’armonia nasca la fecondità, perché sono profondamente consonanti con lo Spirito Santo». La preghiera, infine, è scuola di umiltà: il cristiano che prega «non si vanta, non va in cerca di riconoscimenti né di applausi effimeri, non sente di esser salito di categoria e non tratta gli altri come se fosse su un piedestallo».

Delle «reducciones» Francesco ha parlato in particolare nell’incontro con la società civile nel Palazzetto dello Sport di Asunción. «In esse – ha affermato –, il Vangelo era l’anima e la vita di comunità dove non c’era fame, né disoccupazione, né analfabetismo né oppressione. Questa esperienza storica ci insegna che una società più umana è possibile anche oggi». «Quando c'è amore per l’uomo, e volontà di servirlo, è possibile creare le condizioni affinché tutti abbiano accesso a beni necessari, senza che nessuno sia escluso».

Le «reducciones» sono una lezione anche per il Paraguay di oggi. «Un popolo che vive nell’inerzia dell’accettazione passiva è un popolo morto». Oggi i giovani aspirano alla felicità, ma «la felicità e il piacere non sono sinonimi», e «la vera felicità passa attraverso la lotta per un mondo più fraterno». Come aveva già detto a Sarajevo, al Papa «dà tristezza vedere un giovane pensionato» e tanti giovani che vivono come «anestetizzati» o cercano «la sistemazione per evitare la lotta». Ma «questa lotta non fatela da soli», chiede Francesco ai giovani: trovate le risorse necessarie «nella forza della preghiera, in Gesù».

Le «reducciones» sono anche un esempio di dialogo fra la cultura india guaraní e quella di origine europea. Il Papa chiede «un incontro che sappia riconoscere che la diversità non solo è buona: è necessaria. L'uniformità ci annulla, ci trasforma in automi», mentre «il bene comune si cerca a partire dalle nostre differenze». Allargando lo sguardo alla definizione generale di dialogo, Francesco ricorda che «dialogare non è negoziare», perché solo «con una forte identità posso dialogare». L’unità «non rompe le differenze, ma le vive in comunione attraverso la solidarietà e la comprensione. Cercando di capire le ragioni dell’altro, cercando di ascoltare la sua esperienza, i suoi desideri, potremo vedere che in gran parte sono aspirazioni comuni», pur mantenendo «ciascuno la propria cultura, la propria lingua, le proprie tradizioni».

Ma occorre che ogni cultura si apra alle altre. «Le autentiche culture non sono chiuse in se stesse, perché se si chiudono in se stesse muoiono, ma sono chiamate ad incontrarsi con altre culture e creare nuove realtà». E una cultura autentica si apre ai poveri, non in modo ideologico ma chinandosi sui loro problemi reali e concreti. «Un aspetto fondamentale per promuovere i poveri è nel modo in cui li vediamo. Non serve uno sguardo ideologico, che finisce per utilizzare i poveri al servizio di altri interessi politici o personali». I discorsi «magniloquenti» e «le ideologie finiscono male, non servono», perché «hanno una relazione incompleta o malata o cattiva con il popolo»: «per questo le ideologie finiscono sempre con le dittature...pensano per il popolo, ma non lasciano pensare il popolo ... tutto per il popolo, ma non con il popolo».

Ci sono anche altre ideologie: «oggi l'adorazione dell'antico vitello d'oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di un’economia senza volto». «Vi chiedo – implora il Papa – di non cedere ad un modello economico idolatrico che abbia bisogno di sacrificare vite umane sull’altare del denaro e del profitto. Nell’economia, nell’azienda, nella politica, la prima cosa è sempre la persona e l’ambiente in cui vive». La memoria delle «reducciones» incita anche a lottare contro «la corruzione [che] è la cancrena, il marcio di un popolo». E insegna che «un altro modello di sviluppo è possibile».

Dalle «reducciones» alle inondazioni, i gesuiti sono attivi ancora oggi in Paraguay. Il Pontefice gesuita li ha visitati il 12 luglio nel quartiere di Asunción chiamato Bañado Norte proprio perché periodicamente colpito dalle inondazioni del fiume Paraguay. «Tutto quello che fate per superare l’inclemenza del tempo, le inondazioni di queste ultime settimane, tutto – ha detto il Papa – mi riporta alla memoria la piccola famiglia di Betlemme. Una lotta che non vi ha rubato il sorriso, la gioia, la speranza».  «Questo è ciò che accade quando Gesù appare nella nostra vita. Questo è ciò che la fede suscita».

Domenica il Pontefice ha quindi celebrato Messa, davanti a una folla immensa, nel Campo grande di Nu Guazú, ad Asunción. Il Papa ha commentato il Salmo 84: «Il Signore ci darà la pioggia e la nostra terra darà il suo frutto». «La pioggia – ha detto – è segno della sua presenza nella terra lavorata dalle nostre mani. Una comunione che dà sempre frutto, dà sempre vita. Questa fiducia scaturisce dalla fede, sapere che possiamo contare sulla sua grazia, che sempre trasformerà e irrigherà la nostra terra». Ma questa fiducia «si impara, si educa». Si apprende «nella vita di una famiglia», di una nazione, della Chiesa.

Gesù sfida i discepoli «con una serie di atteggiamenti, comportamenti che devono avere. Non sono poche le volte che ci possono sembrare esagerati o assurdi; atteggiamenti che sarebbe più facile leggere simbolicamente o “spiritualmente”. Ma Gesù è molto preciso, è molto chiaro». Lo abbiamo sentito (anche in Italia) nel Vangelo della domenica: «Non prendete per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, ne denaro… rimanete nella casa dove vi daranno ospitalità». «Sembrerebbe qualcosa di impossibile», commenta il Papa. Ma la parola-chiave nel brano evangelico non è «denaro». È «ospitalità». Il cristiano conta su un mondo diverso, dove si dà e si riceve ospitalità prescindendo dal denaro. «Potremmo dire che il cristiano è colui che ha imparato ad ospitare, che ha imparato ad accogliere». Gesù vuole insegnare a «vivere in un altro modo, con un’altra legge, sotto un’altra normativa. È passare dalla logica dell’egoismo, della chiusura, dello scontro, della divisione, della superiorità, alla logica della vita, della gratuità, dell’amore. Dalla logica del dominio, dell’oppressione, della manipolazione, alla logica dell’accogliere, del ricevere, del prendersi cura».

E noi, ha chiesto Francesco, quale logica seguiamo? «Quante volte pensiamo la missione sulla base di progetti o programmi. Quante volte immaginiamo l’evangelizzazione intorno a migliaia di strategie, tattiche, manovre, trucchi, cercando di convertire le persone con le nostre argomentazioni. Oggi il Signore ce lo dice molto chiaramente: nella logica del Vangelo non si convince con le argomentazioni, le strategie, le tattiche, ma semplicemente imparando ad ospitare».  La Chiesa è «la casa dell’ospitalità»: «quante ferite, quanta disperazione si può curare in una dimora dove uno possa sentirsi accolto, ma per questo occorre tenere le porte aperte, soprattutto del cuore».

È una lezione molto attuale. «Tante volte ci dimentichiamo che c’è un male che precede i nostri peccati. C’è una radice che causa tanti ma tanti danni, che distrugge silenziosamente tante vite. C'è un male che, poco a poco, si fa un nido nel nostro cuore e “mangia” la nostra vitalità: la solitudine». Il Signore «rompe il silenzio della solitudine» e lo stesso deve fare la Chiesa. «Una cosa è certa: non possiamo obbligare nessuno a riceverci, ad ospitarci; è certo ed è parte della nostra povertà e della nostra libertà. Ma è altrettanto certo che nessuno può obbligarci a non essere accoglienti, ospitali verso la vita del nostro popolo. Nessuno può chiederci di non accogliere e abbracciare la vita dei nostri fratelli, soprattutto di quelli che hanno perso la speranza e il gusto di vivere». Anche questa è una lezione della storia cristiana del Paraguay, e delle «reducciones».