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VISIONI

Una separazione

Nell’Iran di oggi, due coppie litigano, mentono, difendono la propria verità. Mentre due bambine osservano e giudicano. Ma la grandezza di questo film sta nell’essere una storia universale che, depurata dalle condizioni specifiche iraniane, parla di uomini e donne che si arrabattano per sopravvivere a situazioni da cui non riescono a uscire, e per questo mentono senza pensare alle conseguenze, e senza riuscire a evitare una violenza col prossimo sempre più dilagante.

Visioni 26_11_2011
Una separazione

sentieri


(Regia: Asghar Farhadi; Interpreti: Leuila Hatai, Peyman Moaadi, Sahab Hosseini, Sareh Bayat, Babak Karimi; Genere: drammatico; Durata: 123').


Un altro massacro tra due coppie, dopo Carnage di Polanski, ma ben diverso, per stile e tono. Nel film iraniano vincitore dell’Orso d’oro al festival di Berlino 2011 (e selezionato per l’Iran per correre agli Oscar 2012), inizialmente vediamo una coppia borghese, benestante, alle prese con la separazione del titolo: davanti al giudice (che non vediamo: geniale l’idea della soggettiva con cui noi spettatori diventiamo il giudice) una donna spiega in realtà che non vorrebbe separarsi dal marito ma convincerlo a espatriare, per il bene della figlia 11enne; e subito quella motivazione, dare alla ragazzina migliori opportunità di vita, fa correre un brivido per il rischio corso dal regista Asghar Farhadi nei confronti della temibile censura del suo dittatoriale Paese (come per il precedente, anomalo giallo, About Elly, Orso d’argento a Berlino 2009). Il marito non vuole però partire, per non abbandonare il padre, malato di Alzheimer. E inizia così il percorso di separazione che dovrebbe portarli al divorzio. E che innesca una serie di fatti a catena: per curare il padre mentre è al lavoro, l’uomo assume una badante; che però, oltre a essere ultrareligiosa (telefona a un imam per sapere se può lavare il malato o se fa peccato), è incinta ma non l’ha detto al marito, anche perché l’uomo – fanatico religioso, disoccupato e violento – non apprezzerebbe certo che lei lavori in casa di un uomo sposato; nonostante siano poverissimi e dei soldi abbiano bisogno.

Ma quando la donna perde il bambino la spirale di bugie si ingarbuglia e rischia di degenerare in violenza, che porteranno le due coppie in questura, ad accusarsi di omicidio (del bambino in grembo), di furto e di altro ancora… Mentre la ragazzina della coppia che sta per separarsi e la bimba della coppia povera e ipertradizionalista osservano dapprima perplesse, poi spaventate le dinamiche degli adulti. I bambini ci guardano. E ci giudicano. E in un finale aperto una delle due dovrà fare una dolorosissima scelta, al termine di una vicenda in cui ognuno dei protagonisti mente a se stesso senza ammetterlo, difendendo a oltranza il proprio punto di vista senza cercare di capire quello degli altri. Giustamente qualcuno ha citato Rashomon di Akira Kurosawa, per l’intrigo di verità – ognuna diversa tra loro – che i vari personaggi difendono con ostinazione.

In realtà nell’ottimo film iraniano, pian piano la macchina da presa smaschera la pretesa di verità dei personaggi, non così in buona fede come vorrebbero dare a credere. Chi sembra onesto e integralista spergiurerebbe sul Corano per soldi, chi sembra aver subito un torto lo sta commettendo, chi sembra voler salvaguardare l’unità familiare cerca di manipolare la figlia senza ritegno… Forgiato con uno stile austero e intensissimo al tempo stesso (come le voci dei personaggi, sempre alterate dalla tensione) e arricchito da attori di grande intensità (a Berlino il film vinse altri due premi, per il complesso delle interpretazioni maschili e femminili), Una separazione è film immerso nella realtà del suo Paese: con tutte le cautele di un regista che ancora lavora in patria (mentre i colleghi più celebri sono in esilio e qualcun altro, come Jafar Panahi, è pure finito in prigione), sembra essere una metafora della situazione dell’Iran, dalla divisione rigida in classi al condizionamento di dinamiche di potere e violenza tra le persone; senza contare l’oggettiva descrizione della condizione della donna, pur non tematizzata.

Eppure, la sua grandezza sta anche nell’essere una storia universale che, depurata dalle condizioni specifiche iraniane, parla di uomini e donne che si arrabattano per sopravvivere a situazioni da cui non riescono a uscire, e per questo mentono senza pensare alle conseguenze, e senza riuscire a evitare una violenza col prossimo sempre più dilagante. Persone senza alcuna possibilità di perdono; al massimo, ci può essere una transazione (con soldi) o un’udienza in un’aula di tribunale. In cui una giovane innocente – costretta a una scelta straziante, più grande di lei – farà le spese di tutto questo.