Una sentenza costringe il Regno Unito a ridefinirsi
La Brexit è stata votata a maggioranza nel referendum dello scorso giugno, ma ora è di nuovo in discussione. Una donna, Gina Miller, ha fatto ricorso presso l’Alta Corte e ha ottenuto una sentenza favorevole dai giudici: deve esprimersi il Parlamento. Ed è giunto il momento della resa dei conti.
La Brexit è stata votata a maggioranza nel referendum dello scorso giugno, ma ora è di nuovo in discussione. Una donna, Gina Miller, ha fatto ricorso presso l’Alta Corte e ha ottenuto una sentenza favorevole dai giudici: si deve passare da un voto del Parlamento prima che il governo possa chiedere l’articolo 50 (uscita dall’Unione). Il governo May, a sua volta, ricorre in appello presso la Corte Suprema per cercare di annullare il verdetto. Nel frattempo annuncia che il ruolino di marcia non cambia e che entro marzo chiederà formalmente l’uscita dall’Ue. Ma non sarà così semplice.
Gina Miller incarna l’ideale della Londra cosmopolita e filo-europea. Nata nella Guyana britannica, avrebbe voluto fare una carriera da avvocato penalista, ma la via le è stata preclusa “perché è un mestiere per uomini” (lo era, almeno nel 1988, quando compì il suo tentativo). Si rifece una carriera nella finanza e dal 1992 iniziò la sua ascesa fino a diventare, assieme al marito Alan Miller, la fondatrice di uno degli Hedge Funds più ricchi del regno e dell’associazione senza fini di lucro Miller Philanthropy. Ha reagito al referendum sulla Brexit fondando un movimento europeista e lanciando la campagna per il ricorso giudiziario. E tre giudici dell’Alta Corte, Sales, Thomas ed Etherton, le hanno dato ragione, sia sulla base dei trattati europei (a cui il Regno Unito è ancora vincolato), sia sulla base del principio costituzionale secondo cui la sovranità appartiene al Parlamento e non al governo, o direttamente al popolo. Come è possibile che si sia votato per la Brexit senza sapere che occorre prima un’altra votazione parlamentare? Perché il governo “fingeva di niente”? E’ possibile, perché il Regno Unito è uno dei tre paesi al mondo, assieme al Vaticano e ad Israele, a non avere una Costituzione scritta. Dunque ci si basa sulla giurisprudenza, sui principi costituzionali e sulla loro interpretazione da parte della magistratura. E’ possibile che una sola persona possa ribaltare l’esito di un referendum? Sì, perché nel Regno Unito, da quando la monarchia è costituzionale, governa la legge. Non la maggioranza. L’Alta Corte e il governo si basano su due interpretazioni differenti della legge. E la Corte Suprema, il mese prossimo, dovrà decidere chi ha ragione.
Dal punto di vista del governo, il Parlamento si è già espresso nel 2015 quando ha votato la Legge sul Referendum, con una maggioranza schiacciante (un rapporto di 6 a 1). La Legge sul Referendum ha conferito al popolo la decisione se rimanere o uscire dall’Unione Europea. Ma contiene un “dettaglio” non da poco: il referendum è infatti definito come “consultivo” e non “legalmente vincolante”. Dunque, dopo il voto popolare, spetta alle istituzioni trasformare in legge ciò che è stato deciso alle urne. Da quale istituzione? Governo o Parlamento? Il governo ritiene di poter farsi forza della sua “prerogativa reale”, cioè del potere conferitogli dalla regina di invocare l’articolo 50 (uscita dall’Unione) sulla base del mandato popolare, senza ulteriori passaggi in Parlamento.
Dal punto di vista dell’opposizione e della campagna di Gina Miller, invece, il Parlamento è ancora detentore della sovranità e rappresenta quel popolo che si è espresso con il referendum. Quindi spetta ancora una volta al Parlamento votare per chiedere l’uscita dall’Ue. Inoltre (non meno importante) il Regno Unito fa ancora parte dell’Unione Europea, dunque è ancora in vigore la Legge del 1972 con cui Londra ha aderito alla Comunità Europea. E, secondo i giudici dell’Alta Corte, nulla, in quella legge, suggerisce che il governo possa agire da solo, in base alla prerogativa reale, per invocare l’articolo 50.
La reazione del governo guidato da Theresa May esprime una gran determinazione a portare avanti fino in fondo ciò che è stato deciso dal voto popolare. La premier, che aveva fatto campagna per il Remain, ora è convinta di non tradire il parere espresso dai sudditi britannici. Quindi ha annunciato che la tabella di marcia non cambia ed entro marzo, come previsto, Londra invocherà l’articolo 50. Nel frattempo, ha dichiarato che ricorre in appello. A chi? Alla Corte Suprema, nata in tempi recentissimi, appena 11 anni fa, per gestire la devoluzione delle nazioni che compongono il Regno Unito (Inghilterra, Scozia, Galles e Nord Irlanda). Se anche la Corte Suprema dovesse decidere di confermare la sentenza dell’Alta Corte, la voce passerebbe al Parlamento. In questo caso, ci sono altre due possibilità, da qui a marzo. La prima, meno probabile, è che il governo May faccia ancora ricorso, questa volta alla Corte Europea. La seconda, molto più probabile (e ventilata da alcuni parlamentari conservatori), è che si vada alle urne per elezioni anticipate il prima possibile. Inoltre, secondo David Davis, il segretario di Stato per l’uscita dall’Ue (una nuova carica inedita di questo governo), prima di procedere al voto, il Parlamento dovrà promulgare una legge ad hoc. Il ché, a meno di procedure emergenziali, potrebbe richiedere mesi.
Da un punto di vista puramente politico, la sentenza dell’Alta Corte complica notevolmente la vita al partito Conservatore. Theresa May, proprio in quanto Remainer convertita alla Brexit, ha sempre cercato di mantenere un buon equilibrio fra chi aveva votato pro o contro la secessione dall’Ue. Se si dovesse andare al voto, tornando alle urne, o nel solo Parlamento, sarebbe costretta alla resa dei conti, all’epurazione dei Remainer. Un partito diviso non sarebbe più presentabile, un partito riconvertito alla causa del Remain sarebbe suicida. I Laburisti approfittano del caos creatosi all’improvviso per farsi paladini della causa parlamentare, contro un governo che invoca un potere regio: dei Cromwell redivivi. E intanto gli Scozzesi sfruttano la riapertura dei giochi per avere più voce in capitolo nel dibattito e rilanciare la loro causa indipendentista. La premier scozzese Nicola Sturgeon invita il governo a uscire allo scoperto, sottolineandone la divisione interna. Un voto chiaro a favore della Brexit spingerebbe la Scozia a chiedere l’indipendenza per accedere all’Ue. Questo, la Sturgeon, non lo ha ribadito ieri, ma era sottinteso. Comunque vada, questa sentenza sta obbligando il Regno Unito a interrogarsi sulla sua identità e a ridefinirla, da tutti i punti di vista.