Una scuola di teatro per i "piccoli Principi" dello slum
Una scuola di teatro nel cuore dell’Africa, in Kenya, ai margini della immensa bidonville di Kibera, a Nairobi, probabilmente il più grande slum d’Africa. Il suo nome è “Little Prince”, sostenuta dalla ong italiana, Avsi, e il piccolo teatro è stato voluto in ricordo del regista Emanuele Banterle. Questa la sua storia.
Cristina Colombo è direttrice della Cooperativa “La Carovana”, Ente Gestore dell’Istituto Tirinnanzi (scuole paritarie) di Legnano. L’abbiamo incontrata poco dopo il suo ritorno da un viaggio a Nairobi, e siamo rimasti colpiti dal modo con cui ci ha raccontato quanto le era accaduto, poiché lei stessa ne era impressionata. Mossi dal desiderio di condividere con tutti la sua esperienza, abbiamo realizzato questa intervista, che è un’incisiva esemplificazione di quanto –fra le tante cose bellissime- ha recentemente detto papa Francesco ai partecipanti al Congresso mondiale promosso dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica, il 21 novembre scorso: «Non si tratta di andare là per fare beneficenza, per insegnare a leggere, per dare da mangiare…, no! Questo è necessario, ma è provvisorio. É il primo passo. La sfida, e io vi incoraggio, è andare là per farli crescere in umanità, in intelligenza, in valori, in abitudini, perché possano andare avanti e portare agli altri esperienze che non conoscono».
Cristina, puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza che ti ha tanto colpita?
«Nei giorni scorsi il nostro Istituto, che da anni intrattiene rapporti e sostiene alcune scuole di Nairobi attraverso la Fondazione Avsi, ha partecipato ad una missione organizzata dalla Ong, inviando in Kenya una piccola rappresentanza guidata dal presidente della cooperativa “La Carovana”, Gian Mario Bandera».
A quale scopo?
«La finalità prevalente del viaggio era l’inaugurazione di una sala teatrale intitolata a Emanuele Banterle, che è stato socio e amico fraterno di Gian Mario Bandera, e che fu fondatore e regista del Teatro de “Gli Incamminati” fino al 2011, anno della sua prematura scomparsa. La sua famiglia e la compagnia teatrale hanno raccolto e donato fondi per poter allestire, in suo ricordo, un vero teatro all’interno della scuola dell’infanzia e della scuola primaria “Little Prince”».
Piccolo Principe…Una scuola di elite?
«Tutt’altro! Questa scuola sorge ai margini della immensa bidonville di Kibera (probabilmente il più grande slum d’Africa), da cui provengono i giovani studenti: a loro la “Little Prince” consente di ricevere una vera educazione, che altrimenti sarebbe preclusa dalle circostanze proibitive in cui questi bambini vivono. Ma, in fondo, è proprio vero che ognuno di loro è trattato proprio come un “piccolo principe”! E lo si vede dalle facce incredibili che tutti questi bambini hanno: trasmettono una gioia di vivere, un orgoglio, una vitalità davvero impressionanti».
Ma se le condizioni sono così drammatiche, perché non usare i fondi per altre finalità più “di base”?
«A dispetto delle apparenze, il teatro rappresenta per questi bambini un’opportunità straordinaria, un investimento sul futuro che è forse più importante del cibo o dei vestiti, che sono pur necessari e ai quali si deve certamente provvedere…»
In che senso?
«L’esperienza teatrale occupa sin dalle origini un posto fondamentale nel progetto educativo della scuola, perché aiuta i ragazzi ad esprimere il meglio di sé e ad acquisire fiducia in sé stessi. Mettendo in scena storie meravigliose, i bambini possono fare esperienza di bellezza straordinaria e, immedesimandosi, imparano un metodo che potenzia la loro capacità di apprendimento e, quindi, di crescita. Il teatro ha un potenziale educativo impressionante…»
E l’inaugurazione come è andata?
«Per inaugurare il teatro, ricavato in una grande sala della scuola, i bambini hanno rappresentato la storia di Pinocchio: una sceneggiatura pregevole ed originale che ha addirittura permesso loro di vincere il primo premio riservato ai Paesi extraeuropei per alunni tra i 6 e gli 11 anni al concorso “Compleanno di Pinocchio” promosso dalla Fondazione Collodi. Le scenografie, i costumi, l’espressività dei bambini hanno lasciato tutti a bocca aperta! Compreso l’ambasciatore italiano in Kenia, che era presente in sala».
Cos’altro è accaduto in questo viaggio?
«Sono stati quattro giorni davvero intensi, trascorsi visitando scuole e opere educative commoventi. Muovendoci tra Nairobi e Mutuati, nel nord del Paese, siamo sempre stati accolti con grande calore, e abbiamo potuto vedere con i nostri occhi ciò che Avsi realizza da anni prevalentemente grazie ai fondi capillarmente raccolti con l’iniziativa delle adozioni a distanza».
Per esempio?
«A circa 3.000 bambini e adolescenti viene data l’opportunità di terminare le scuole superiori o i corsi professionali. Grazie al sostegno a distanza viene garantita la frequenza scolastica ai bambini inseriti nel progetto, si assicurano loro, e se necessario persino ai familiari, le cure mediche; i bambini e le loro famiglie vengono visitati regolarmente a domicilio e a scuola, grazie a un team di assistenti sociali; le famiglie economicamente più disagiate sono supportate con la progettazione e la realizzazione di piccole attività generatrici di reddito; vengono garantiti percorsi di formazione per gli assistenti sociali, gli insegnanti, i genitori dei bambini».
Un lavoro immenso
«Eh sì. Infatti tutte le attività vengono svolte da oltre venti partners locali che operano prevalentemente nello slum di Kibera a Nairobi e nelle province della Rift Valley e dell’est del Paese. Purtroppo, però, in questi ultimi anni di crisi economica, tante adozioni sono state a malincuore interrotte prima della loro naturale scadenza».
Un guaio
«Già, un vero “guaio”, per riparare al quale è nostro compito chiederci: ma noi, come singoli, possiamo aiutare?».
Appunto: possiamo aiutare? E come?
«Il modo più semplice è decidere di assumersi l’onere di un’adozione a distanza tramite Avsi (la si può fare come singoli, come scuola, come classe, con un gruppo di colleghi d’ufficio o di amici…). La nostra piccola delegazione ha potuto visitare a Nairobi la scuola d’infanzia e primaria “Little Prince”, il liceo “Cardinale Otunga”, la scuola primaria “Urafiki-Carovana”, il centro di formazione professionale “St. Kizito Vocational Training Institute”, e a Mutuati, nel distretto di Meru, la scuola primaria “San Riccardo Pampuri”: in tutte queste realtà il sostegno di Avsi è stato possibile anche attraverso il supporto di iniziative di raccolta fondi promosse proprio da tante scuole, spesso direttamente dai ragazzi, in tante occasioni: solo nelle nostre, vedo organizzare ogni anno “merendone solidali” o mercatini, concerti e rappresentazioni».
Molto bello…
«É solo un esempio. Possiamo continuare, con slancio rinnovato, e fare anche di più: sostenere un’opera educativa vuol dire sostenere lo sviluppo di un Paese, contribuendo a generare uomini in grado di assumersi responsabilità, perché consapevoli dell’infinito valore proprio e altrui. Sempre per fare un esempio, posso dirti che il nostro consiglio d’amministrazione sta ragionando con Avsi per sostenere la realizzazione di uno specifico progetto riguardante una delle scuole visitate. Tra breve potrò, spero, dirvi di più».
In conclusione e in sintesi, qual è la cosa che più ti è rimasta di questa esperienza?
«Mi è improvvisamente diventato evidente come certe cose che ci diciamo sull’educazione, talvolta quasi ripetendo frasi fatte o dandole per scontate, per loro che vivono lì, in condizioni assolutamente disumane e per noi impensabili -come quelle che ho visto negli slum di Kibera- diventano essenziali per la vita. Non solo in senso “fisico”, e penso alle ragazze che devono essere protette dalle violenze fisiche quando tornano a casa da scuola, ma anche e soprattutto per sostenere in questi bambini e ragazzi la speranza e la certezza che esiste ciò per cui il nostro cuore è fatto e che ognuno di loro –di noi- ha un valore infinito. A Nairobi come a Legnano».