Una sconfitta strategica della Russia in Europa
Dal momento in cui Ucraina, Moldova e Georgia hanno firmato gli Accordi di Associazione con l'Unione Europea, la Russia ha perso la sua influenza su ciò che ha sempre considerato il suo "giardino di casa". È l'esito della sua stessa politica.
Il 27 giugno, l’Ucraina ha firmato con l’Unione Europea l’accordo di libero scambio (Dcfta, acronimo inglese di Deep and Comprehensive Free Trade Area). Con ciò completa l'iter iniziato il 21 marzo scorso, con la ratifica dell'Accordo di Associazione. Sempre il 27 giugno, Moldova e Georgia hanno siglato sia il Dcfta che l’Accordo di Associazione in un'unica soluzione. Difficile sottovalutare la portata di queste firme, non solo perché allargano ad Est la sfera di influenza politica ed economica dell’Unione Europea, ma anche perché segnano un punto di svolta nel braccio di ferro con la Russia. Un punto dal quale è possibile fare una retrospettiva sulla lunga crisi scoppiata in Ucraina nel novembre dell’anno scorso.
Prima di tutto è bene vedere in che cosa consistono questi trattati. L’Accordo di Associazione è politico, ma non costituisce il primo passo per l’adesione di un Paese all’Unione Europea. È semmai un passo in più rispetto al Partenariato Orientale, un forum costituito ad hoc per creare una sorta di limbo, in cui le nazioni partecipi possono dialogare su temi importanti (economia, dogane, riforme e sicurezza), senza tuttavia avere una mappa con date e impegni fissi per accedere all’Ue. Si tratta di un compromesso fra le nazioni orientali dell’Unione (soprattutto la Polonia) più favorevoli all’ingresso dei loro vicini ex sovietici e quelle del “nucleo duro” (Germania e Francia) riluttanti ad ammettere altri membri nel club europeo. Il Dcfta è invece un trattato economico, in forza del quale i tre Paesi ex sovietici potranno esportare liberamente merci in Europa, mentre avranno la possibilità di mantenere una politica protezionista sulle importazioni, per tutelare il loro mercato ancora debole. Per esempio, l’Ue rimuoverà tutte le tariffe doganali opposte all’Ucraina nell’arco di tempo di 7 anni, mentre l’Ucraina rimuoverà le sue in 10 anni, con l’eccezione del mercato delle auto (il più fragile) che rimarrà protetto per ben 15 anni. Non si tratta, dunque, di libero scambio genuino e simmetrico, ma di un modo di aiutare questi Paesi, permettendo loro di affacciarsi a un mercato comune europeo forte di 500 milioni di potenziali consumatori.
Mosca ha sempre temuto soprattutto la parte più dilazionata del trattato: la possibilità di veder arrivare beni e servizi dell'Ue nei mercati dei suoi vicini, cosa che creerebbe un concorrente molto forte per i produttori russi. Il Cremlino avrebbe voluto coinvolgere tutti i Paesi dell’area ex sovietica nella sua Unione Euroasiatica, un’unione doganale esclusiva, tendenzialmente chiusa alle merci e ai servizi provenienti dall’Ue. Il timore russo è anche politico: i due accordi segnano un primo passo informale per l’adesione di questi tre Paesi all’Ue, cosa che li distoglierebbe completamente dall’area di influenza di Mosca.
Perché si tratta di una svolta importante? Perché segna la chiusura di un lungo ciclo: la crisi ucraina è scoppiata a novembre proprio attorno all’adesione di Kiev all’Accordo di Associazione, a cui il (deposto) presidente Viktor Yanukovich, su pressione di Mosca, si era improvvisamente chiamato fuori sotto pressione di Vladimir Putin. Pur se in ritardo di sette mesi, l’obiettivo europeo è stato raggiunto, quello russo no. A questa “defezione” ucraina, si aggiunge sul piatto anche l’avvicinamento all’Ue di Moldova e Georgia, che nel novembre scorso, a Vilnius, avevano già manifestato la loro intenzione di unirsi agli accordi, ma non avevano fissato date precise: la crisi ucraina ha reso certa e accelerato la loro firma. Prima di novembre, Putin aveva in mano molte più carte: l’Ucraina controllata da un governo pro-russo, una Georgia per la prima volta amichevole (grazie alla vittoria del partito Sogno Georgiano, più incline al dialogo con Mosca) e una Moldova sempre tenuta in scacco dalla presenza di truppe russe nella regione separatista della Transdnistria.
Dopo sette mesi di pressioni politiche e militari sull'Ucraina, la Russia, oltre che essere stata sospesa dal G8, si ritrova con tre Paesi confinanti ex alleati diventati ostili, sempre più vicini all’Ue e ormai inconciliabili con il progetto di Unione Euroasiatica. Alla Russia rimane la soddisfazione locale di aver annesso la Crimea, strappata all’Ucraina senza sparare un colpo. Le resta anche la possibilità di minacciare con sanzioni economiche l’Ucraina e la Moldova che dipendono dal suo gas (non la Georgia, che dopo la guerra del 2008 si è resa completamente autonoma da Mosca). E di mantenere la miccia accesa della destabilizzazione nelle regioni russofone: nel Donbass contro il governo ucraino, in Abkhazia e Ossezia meridionale contro quello georgiano e in Transdnistria contro quello moldavo. È come se, consapevole di non poter più recuperare nazioni che hanno divorziato dalla sua causa, il Cremlino abbia deciso di sfigurarle. Non una gran soddisfazione: è una vittoria tattica, ma una netta sconfitta strategica.