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CASO ITALIA

Una ripresa piccola piccola

I dati congiunturali, finalmente, sembrano orientati al positivo: crescono la produzione e l'occupazione, in modo sensibile. Ma attenzione, però, perché per recuperare i livelli del 2007 occorrono anni. E le cause della crescita rivelano una fragilità pericolosa, sia in ambito finanziario che produttivo.

Editoriali 18_05_2015
Ripresa?

I dati congiunturali, finalmente, sembrano orientati positivamente. Dalla fredda logica dei numeri si segnala qualche movimento all'interno del sistema economico: l'Italia sembra uscire dalla recessione che ha contraddistinto questi ultimi anni, c'è uno 0,3% di crescita del Prodotto interno lordo, c'é un aumento significativo dei nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato, c'è un rialzo della produzione industriale con segnali di buone prospettive sul fronte delle esportazioni. Scendendo dai grandi numeri alle realtà più piccole abbiamo alcuni elementi da sottolineare: la ripresa del settore dell'auto, come vendite e produzione, il che segnala una ripresa dei consumi da una parte e il risanamento di un'azienda importante come la Fiat dall'altra; e poi il dinamismo di aree tradizionalmente industriali in particolare quella milanese, sia per effetto di una progressiva ristrutturazione, sia per i riflessi di un'Expo che si sta rivelando molto più positiva di quanto potesse sembrare.

I dati positivi quindi non mancano, ma ogni medaglia ha sempre il suo rovescio e se si vuole essere realisti non si possono dimenticare tutti i fattori sul campo. A fare da contrappunto allora vi sono almeno quattro elementi: 1) la caduta di Pil e produzione in questi ultimi anni è stata molto forte e ai ritmi attuali ci vorrebbero almeno vent'anni per tornare ai livelli del 2007; 2) la crescita dell'occupazione a tempo indeterminato (peraltro non più protetto dall'art. 18) è dovuta soprattutto allo spostamento di modelli contrattuali grazie agli incentivi statali: il che va bene, ma non è una crescita netta di occupazione; 3) i conti pubblici sono sempre più a rischio sia per gli oneri connessi al punto precedente, sia per la sentenza della Consulta sulle pensioni, sia per le difficoltà politiche di varare le politiche di taglio alla spesa pubblica; 4) lo scenario esterno favorevole costituito da bassi tassi di interesse, riduzione del prezzo del petrolio, crescita della domanda nelle economie emergenti, sembra (purtroppo) progressivamente ridimensionarsi.

Anzi c’è chi ad alto livello ha parlato addirittura di nuove pericolose tensioni nel settore finanziario. “L’enorme liquidità affluita sui mercati borsistici ha contribuito a innalzare in maniera repentina il valore delle azioni portando a una crescita del rapporto tra prezzo e utili che potrebbe segnalare il rischio di bolle speculative”. Un’affermazione così drastica e insieme preoccupante sulla stabilità delle Borse valori non è stata scritta da un giornalista in vena di facili allarmismi, ma è stata pronunciata nei giorni scorsi  nell’assemblea annuale da Giuseppe Vegas, presidente della Consob, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari.

In effetti in questo periodo il sistema finanziario sembra ancora una volta alla ricerca di un equilibrio molto difficile e complesso. Soprattutto perché gli stimoli alla crescita, sia nello scenario americano, sia in quello del Vecchio continente, sembrano venire quasi unicamente dalla politica monetaria. La Banca centrale europea ha iniziato infatti quest’anno la politica di allentamento monetario (Quantitative easing) che era stata perseguita negli anni scorsi dalla Federal reserve americana. Per alcuni Paesi, come la Germania e in parte anche per l’Italia, i tassi di interesse sui titoli di Stato a breve termine sono addirittura scesi sotto lo zero. Anche per questo il risparmio, sia quello individuale, sia quello gestito dai fondi istituzionali, si sposta alla ricerca di rendimenti perlomeno positivi verso forme più a rischio, come quelle presenti sui mercati azionari.

Ma se cresce la domanda di azioni per un’unica motivazione, la ricerca di rendimenti finanziari positivi appunto, il rischio più evidente è un distacco progressivo dei valori di Borsa dalle effettive prospettive di guadagno delle singole imprese creando le premesse per una pericolosa bolla speculativa. Esattamente quello che è avvenuto sette anni fa. Il problema di fondo è che le politiche economiche continuano a far leva soprattutto sul denaro facile intervenendo solo in modo limitato sui nodi reali del rallentamento economico. Questi nodi sono il calo demografico, che riduce i consumi, i vincoli della finanza pubblica, che frenano gli investimenti in infrastrutture, le innovazioni tecnologiche, che richiederebbero una forte flessibilità sul mercato del lavoro. Su questi punti qualche passo avanti si è fatto: è stato varato il bonus bebè e si è messo mano alla riforma del mercato del lavoro, nonostante la dura opposizione dei sindacati. Ma il Paese partiva e parte da condizioni estremamente sfavorevoli dopo vent’anni di politiche inconcludenti. Quindi la strada della ripresa sarà necessariamente ancora lunga. E probabilmente tormentata.