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EDITORIALE

Una giustizia che deve inquietare

L'assalto simultaneo di diverse procure contro Berlusconi, fa nascere più di un sospetto sugli obiettivi di questa azione. E anche il presidente della Repubblica Napolitano dovrebbe occuparsi di queta emergenza giustizia.

Editoriali 13_03_2013
Giustizia

Dopo l’incontro con il segretario del PDL Alfano e i capigruppo di Camera e Senato, avvenuto il giorno dopo la manifestazione senza precedenti che i parlamentari del PDL hanno inscenato davanti al Tribunale di Milano, il Presidente Napolitano ribadisce l’indipendenza della magistratura e convoca il Comitato di Presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura per un incontro, rinvia ad un altro appuntamento in cui chiarirà ampiamente le sue valutazioni e si dice “rammaricato per la manifestazione senza precedenti del Pdl all'interno del Palazzo di Giustizia di Milano, ma adesso bisogna fare appello al comune senso di responsabilità".

I fatti sono noti. Silvio Berlusconi è ricoverato in ospedale, impedito ad esercitare il suo diritto ad essere presente al processo che si sta celebrando a Milano per il caso Ruby - dove si deve difendere dall’accusa di favoreggiamento di prostituzione minorile – ma visitato fiscalmente due volte al fine di accertare le sue condizioni di salute, nonostante i certificati medici prodotti. E’ indagato a Napoli, in base alle dichiarazioni dell’ex deputato De Gregorio, che racconta ai magistrati – dopo cinque anni - di aver intascato due milioni di euro in nero qualche anno fa. E’ stato appena condannato ad un anno di reclusione con l'accusa di rivelazione di segreto d'ufficio, in concorso con il fratello Paolo, in relazione all'ormai nota telefonata tra Fassino e Consorte (“Abbiamo una banca”) avvenuta nel 2005, in piena scalata a Bnl da parte della compagnia assicurativa bolognese. Altri processi sono in corso e altre indagini di sicuro all’orizzonte. Come le inchieste che si sono succedute in questi vent’anni, a partire dalla sua discesa in campo, nel 1994, quando da Presidente del Consiglio, mentre presiede una conferenza internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli, riceve un invito a comparire in relazione all’“inchiesta Telepiù”, condotta dalla procura di Milano e avente come oggetto la proprietà della pay tv e la compatibilità del ruolo di Fininvest con quanto stabilito dalla legge Mammì. Quel fatto determina il ribaltone operato dalla Lega e la caduta del suo governo. Da quel fatto, Berlusconi viene in seguito dichiarato estraneo.

Vent’anni di processi, di indagini, decine e decine di migliaia di ore di intercettazioni telefoniche, per fare fuori l’incarnazione del male, come se una persona possa essere e rappresentare, in quanto tale, il male. Eppure, forze di carattere economico-finanziario e mediatiche – oltre che settori consistenti degli apparati giudiziari, purtroppo – hanno esercitato, in maniera spregiudicata, un condizionamento pesantissimo sulla vita politica del Paese. Si sono mobilitati per abbattere il nemico, guardandosi bene però, quando sono stati al potere, di occuparsi di una legge sul conflitto d’interessi, che l’Italia aspetta da vent’anni. Si è perfino organizzata la possibilità di un governo cosiddetto “tecnico” o di “armistizio”, come taluni inopinatamente l’hanno chiamato.

Oggi, i nemici di Berlusconi, anche incalzati da uno dei tanti torquemada che di tanto in tanto lo scenario politico propone – scrive, tra l’altro, Beppe Grillo suo blog, “Berlusconi ha paura di fare la fine di Bettino Craxi, ma sarebbe invece la sua fortuna. In fuga sulle spiagge tunisine piene di Ruby senza la rottura di coglioni quotidiana dei suoi questuanti. Senza Ghedini, Alfano, Gelmini, senza Biondi, Gasparri, Cicchitto, Brunetta e soprattutto D’Alema. Un paradiso terrestre. Si faccia condannare al più presto senza attenuanti e, prima dell’arresto, si dia alla latitanza. Ci guadagnerà in salute. Guarirà dall’uveite e gli italiani guariranno finalmente dall’orchite con cui li affligge da vent’anni” – hanno l’obiettivo del suo arresto, della sua resa definitiva. Della sua fine politica, oltre che umana.

Il “comune senso di responsabilità” richiamato dal Presidente Napolitano non si comprende cosa voglia dire. Si vuole forse suggerire che quasi il 30% degli italiani dovrebbe rassegnarsi a vivere in un paese senza certezza del diritto, consegnato a dei Robespierre demagoghi e populisti o, in alternativa, a post-comunisti o, come già accaduto, a tecnici, del tutto indipendenti – come si sa – dai diktat dei mercanti e dei banchieri? Anche il Presidente della Repubblica farebbe bene a prendere atto che la politica non può continuare a svolgersi a colpi di sentenze e di inchieste unidirezionali, che negli ultimi mesi hanno tra l’altro oscurato uno scandalo come quello del Monte dei Paschi di Siena che fa un baffo a quello della Banca Romana di oltre un secolo fa.