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LA RIFORMA NORDIO

Una Giustizia più garantista: il traguardo è vicino

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La riforma della Giustizia targata Nordio prevede un pacchetto di norme garantiste che in un Paese “normale” si danno per scontate, mentre in Italia, per il potere soverchiante dei giudici e media sensibili alle sirene delle Procure, sono traguardi ancora da raggiungere. 

Politica 22_07_2023

Quando al governo c’era Berlusconi, non appena si parlava di riforma della giustizia le opposizioni strumentalizzavano le iniziative riformatrici dell’esecutivo accusandolo di volersi vendicare dei magistrati che indagavano su di lui. Lo scontro tra toghe e Cavaliere ha dominato la cronaca politica degli ultimi trent’anni e questo ha impedito di fare riforme necessarie per garantire un equilibrato rapporto tra politica, informazione e magistratura.

Forse oggi esistono le condizioni per provare a mettere mano alla separazione delle carriere e agli altri punti qualificanti di una possibile riforma della giustizia, settore che in Italia rappresenta una delle aree più critiche del cattivo funzionamento delle istituzioni.

Ieri il Presidente della Repubblica ha dato il via libera al disegno di legge per la riforma della giustizia, che era stato approvato lo scorso 15 giugno dal Consiglio dei ministri. Il testo sarà ora esaminato al Senato dalla commissione presieduta dalla leghista Giulia Bongiorno. Sergio Mattarella ha quindi inviato alle Camere il disegno di legge Nordio recante modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare. La firma del Presidente Mattarella però non è stata accompagnata da alcun messaggio, probabilmente perché il capo dello Stato presume che le sue raccomandazioni alla premier Giorgia Meloni, consegnate a voce solo qualche giorno fa, possano contribuire a una riflessione politica sul disegno di legge.

Nei giorni scorsi si era vociferato di possibili contrasti tra la Meloni e il Guardasigilli Carlo Nordio e di un richiamo informale che il Quirinale avrebbe fatto al Presidente del Consiglio affinchè “commissariasse” in qualche modo il suo ministro. Forse sulla cancellazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa la diversità di vedute tra i due permane, ma sul resto del pacchetto di norme “garantiste” contenute in quel disegno di legge la convergenza è piena e c’è da essere ottimisti sul fatto che esso possa essere approvato in entrambi i rami del Parlamento, stante una sostanziale compattezza delle forze di maggioranza, senza contare la possibile convergenza sul testo da parte dei renziani.

La cosiddetta riforma della giustizia prevede tra le altre cose la cancellazione dell’abuso d’ufficio, il traffico d’influenze ridotto ai minimi termini, i limiti alla pubblicazione delle intercettazioni (e alla possibilità di citarle negli atti), l’inappellabilità delle sentenze di proscioglimento per una serie di reati. E soprattutto un depotenziamento delle misure cautelari a tutto vantaggio dei colletti bianchi: per arrestare i corrotti bisognerà avvertirli cinque giorni prima.

Tutte norme di civiltà giuridica che farebbero finalmente compiere un salto di qualità al nostro Paese e contribuirebbero a ridimensionare quel “partito giustizialista” che ha per decenni frenato la crescita del Paese alimentando la cultura del sospetto e la prolungata sospensione dei diritti fondamentali di migliaia di pubblici amministratori solo indagati ma trattati come già colpevoli nel dibattito pubblico e sui giornali.

La cancellazione del reato di abuso d’ufficio (art.323 codice penale) solleverà sindaci e amministratori locali dal terrore di mettere una firma su un atto amministrativo e quindi accelererà la realizzazione di opere pubbliche, con innegabili benefici sul piano sociale ed economico. L’attenuazione del reato di traffico d’influenze solleverà la nostra democrazia dall’imbarazzo di dover considerare scorretti e fuori legge tutti quei professionisti (che in altri Stati vengono chiamati senza disprezzo lobbisti) impegnati a perorare in piena regola e trasparenza le ragioni di chi produce, crea lavoro, garantisce benessere alla collettività, in altre parole imprese, associazioni, comunità intermedie.

Infine, sul versante intercettazioni, il ddl Nordio amplia il divieto di pubblicazione del loro contenuto, che vengono consentite solo se il contenuto è riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o è utilizzato nel corso del dibattimento. Si stabilisce il divieto di rilascio di copia delle intercettazioni delle quali è vietata la pubblicazione, quando la richiesta è presentata da un soggetto diverso dalle parti e dai loro difensori, salvo che tale richiesta sia motivata dalla esigenza di utilizzare i risultati delle intercettazioni in altro procedimento specificamente indicato.

La riforma inoltre afferma il divieto per la polizia giudiziaria di riportare nei verbali di intercettazione i "dati relativi a soggetti diversi dalle parti, salvo che risultino rilevanti ai fini delle indagini" e vieta al giudice di acquisire (nel cosiddetto stralcio) le registrazioni e i verbali di intercettazione che riguardino soggetti diversi dalle parti, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza. In più stabilisce il divieto per il pubblico ministero di indicare nella richiesta di misura cautelare, con riguardo alle conversazioni intercettate, i dati personali dei soggetti diversi dalle parti, salvo che ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione. In modo corrispondente, vieta al giudice di indicare tali dati nell’ordinanza di misura cautelare.

In un Paese “normale” tutti questi provvedimenti contenuti nel disegno di legge Nordio si danno per scontati, mentre in un Paese come l’Italia, caratterizzato da un potere soverchiante dei giudici e da una parte consistente del mondo dell’informazione particolarmente sensibile alle sirene delle Procure, si tratta di traguardi ancora da raggiungere. La speranza è che finalmente sia la volta buona.