Una ferrea determinazione nell'aiutare i bisognosi
Don Oreste Benzi, fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII, dedicò la sua vita all'aiuto dei bisognosi. Sfidava il potere e il conformismo ogni giorno, anteponendo il linguaggio schietto del Vangelo.
Il Vescovo di Rimini, Monsignor Francesco Lambiasi, ha ricevuto negli scorsi giorni la richiesta formale di aprire la causa di beatificazione di Don Oreste Benzi, il sacerdote morto il 2 novembre 2007, fondatore nel 1980 della Comunità Papa Giovanni XXIII.
Non le mandava di certo a dire, Don Oreste. Con quella sua ferrea e determinata volontà di essere accanto ai più bisognosi, tossicodipendenti, prostitute, carcerati, sfidava il potere ogni giorno, anteponendo il linguaggio del Vangelo - quello del sì sì, no no - a qualsiasi tipo di compromesso. Della droga, diceva che il fenomeno del suo dilagare è dovuto ad «sistema ideologico contraddittorio che manda in tilt i giovani. Le società attuali ammettono l’aborto, che è un omicidio premeditato. Quindi, gli adolescenti e i giovani vengono educati all’omicidio. Di fronte all’interesse personale, non esiste alcun altro interesse che li possa fermare. La nostra gioventù viene educata, secondo la legge della giungla. Non ci sono più principi spirituali, valori ai quali si deve obbedire. Siamo di fronte a due conseguenze: un ‘io’ gigantesco e un senso della vita mortificato. In questa situazione, la droga diventa l’elemento a portata di mano per portare via ogni sofferenza, che proviene dal senso del nulla, del non valore, dal non senso della vita. I ‘bulli’ veri sono i nostri Capi di Stato, che addirittura vogliono liberalizzare le droghe. La tensione spirituale, l’idealità, la cultura della vita - intesa come stimolo alla vita - non esiste più nei nostri governanti. Per la costruzione di un’umanità nuova bisogna fare di Cristo il cuore del mondo. La devozione va bene, ma non basta da sola. Come dice Benedetto XVI, occorre la devozione e la rivoluzione, per riconquistare, attraverso lo spirito, il cuore dei giovani».
Operava controcorrente, Don Oreste. Come deve operare un cristiano. Le sue parole erano pietre durissime nei confronti del potere e piene d’amore per i sofferenti, per gli indifesi. In questo fu testimone e attore del piano di Dio, che è il piano degli ultimi. E, tra gli ultimi, Don Benzi ha dedicato decenni del suo impegno al flagello della droga, assistendo e curando migliaia e migliaia di giovani nelle case di accoglienza e nei centri di recupero sparsi per il mondo dell’Associazione Papa Giovanni XXII - riconosciuta come “Associazione Internazionale Privata di Fedeli di Diritto Pontificio” nel 1988 - consapevole che la droga è, nel mondo di oggi, uno dei maggiori ostacoli all’evangelizzazione.
Del fenomeno della prostituzione - altro tema al quale dedicò tutta la vita – Don Oreste diceva: «La donna è sfruttata. Il primo criminale è il cliente! Perché il primo criminale è il cliente? Perché se non ci fosse lui che chiede di andare a sfogare se stesso con il corpo di un’altra donna e pagata, non ci sarebbe questo commercio spaventoso delle donne, la tratta di queste creature sofferenti. Ma lo capite che roba?! Ma il cliente va punito! Perché il male che viene fatto a queste creature che si sentono strumento della passione fisiologica dell’uomo non passerà mai più. Quante ragazze noi le troviamo ferite per sempre. Ma ricordatevi che chi tace sull’iniquità e sull’ingiustizia ne è colpevole».
Don Oreste era nato, settimo di nove figli, in una povera famiglia di operai, il 7 settembre 1925 a Sant'Andrea in Casale, una frazione del Comune di San Clemente, vicino Rimini. «Il babbo era una persona molto buona - diceva Don Oreste - con un grande sentimento di Dio ed elevato senso morale, però non era praticante prima della mia entrata in seminario. A volte quel poco cibo che si portava al lavoro lo riportava a casa la sera. Noi gli andavamo incontro sulla strada principale e facevamo festa intorno a lui». Frequenti erano i periodi di disoccupazione e la numerosa famiglia faceva fatica a tirare avanti, conoscendo anche la fame. «Il babbo in quei periodi andava tutti i giorni a cercare lavoro. Per lui era un incubo tornare a casa e dire ‘Non l'ho trovato’. Sono i ricordi più dolorosi della mia vita». Sulla madre, diceva: «Ci ha insegnato a pregare: la domenica mattina si alzava presto per andare a Messa. Era una donna instancabile, cantava sempre e non si scoraggiava mai».
Nel 1937, all'età di 12 anni, entrò in seminario, prima ad Urbino, poi a Rimini. Nel 1943, si trasferì al seminario di Bologna. Il 29 giugno 1949, ricevette l'ordinazione sacerdotale e pochi giorni dopo venne nominato cappellano nella parrocchia di San Nicolò al Porto. Nel 1954, lasciò l'incarico di assistente della Gioventù Cattolica per dedicarsi completamente al ruolo di direttore spirituale in seminario, senza abbandonare i ragazzi che ormai l'avevano incontrato. Ogni sabato li riceve dalla mattina fino a notte. Vanno da lui a confessarsi fino a una settantina di giovani ogni sabato. «È nella preadolescenza che si formano i valori pressoché definitivi. Io vedevo che i ragazzi si scontravano con tanti disvalori e non si incontravano con l'unico valore, Cristo. Bisognava perciò fare aver loro, e specialmente ai ragazzi lontani dalle parrocchie, un incontro simpatico con Cristo», diceva.
Da questa intuizione nascerà, alcuni anni dopo, nel 1961, la casa "Madonna delle Vette", ad Alba di Canazei, in cui sono passati migliaia di ragazzi. Per acquistare il terreno in Val di Fassa sul quale costruire la "casa", occorrevano tre milioni di lire. Il progetto fu affidato ad un famoso architetto e la sua realizzazione completa prevedeva 120 milioni, una cifra enorme per quel periodo. Don Oreste decise di chiedere al vescovo di Rimini il permesso di fare un viaggio negli Stati Uniti per iniziare a raccogliere i fondi necessari. Il vescovo si disse d'accordo. Nel frattempo, una banca riminese gli concesse un prestito di dieci milioni. Don Oreste provvide all'acquisto del terreno e all'avvio della costruzione. Nell'agosto 1958, si depose la prima pietra. Dieci giorni dopo, Don Oreste partì in nave per gli Stati Uniti. Con molte peripezie e rischi, riuscì a raccogliere i primi nove milioni. In seguito, fece un secondo viaggio negli Usa con Don Sisto Ceccarini. Andarono dal vescovo di Boston. «Mi chiese quanto mi occorreva. Io dissi la cifra necessaria per costruire il grezzo dell'edificio: ventidue milioni, trentacinquemila dollari. Me li portò lui stesso in Italia. Con quei soldi costruimmo il grezzo. Il resto venne dalla Provvidenza, finché nel 1961 inaugurammo la casa», raccontava Don Oreste.
Nel 1968, si aprì a Rimini un istituto per persone con handicap gravi e gravissimi fra cui anche molti giovani. Don Oreste iniziò a frequentarlo, creando un legame con queste persone. «Mi dissi: perché gli adolescenti possono andare sulle vette delle Dolomiti e gli handicappati no? Dove siamo noi, lì anche loro!» A maggio andò ad incontrare i 50 minori ospiti del centro discinetici dell'ospedale Rizzoli di Bologna e alla suora direttrice del centro, propose di portarli sulle Dolomiti. Don Oreste insegnava al liceo scientifico. Per l'estate 1968 fece ai suoi studenti una precisa proposta: "Diamo una vacanza a chi non l'ha". In tanti aderirono e così, a settembre, si fece il primo soggiorno estivo a Canazei. Qualche anno dopo, nel 1973, nacque l'Associazione "Comunità Papa Giovanni XXIII", che è ora diffusa in 25 paesi del mondo: oltre che in Italia, è presente in Albania, Australia, Bangladesh, Bolivia, Brasile, Cile, Cina, Croazia, Georgia, Kenya, Kosovo, India, Israele/Palestina, Moldavia, Olanda, Repubblica di San Marino, Romania, Russia, Spagna, Sri Lanka, Tanzania, Nord Uganda, Venezuela, Zambia. Per svolgere questo impegno sono state create, promosse e sostenute 26 entità giuridiche diverse in tutto il mondo. Don Oreste amava dire «ogni giorno, almeno 20mila persone siedono alla nostra tavola». Tutto egli ha costruito, badando a queste parole: «Forse, un giorno, nella nostra vita, il pentimento più grande non sarà quello di aver fatto il male, ma sarà quello di avere omesso il bene».