Una chimera chiamata "difesa europea"
Al vertice di Ventotene si sarebbe dovuto rilanciare il progetto di difesa comune europea, di cui si parla dal 1999, ma che non è mai partito. Non vale più l'alibi dell'opposizione del Regno Unito, ormai fuori dall'Ue. E' la volontà politica di usare la forza che manca alle nazioni europee.
Alla fine degli anni ’90 l’Unione Europea progettò di costituire un Corpo d’armata composto 60 mila militari, non a caso la stessa entità di quello schierato all’epoca dalla Nato in Kosovo. La resistenza di Londra, contraria ad affidare alla Ue compiti di difesa e sicurezza del Vecchio Continente che preferiva restassero esclusiva della Nato (in cui la Gran Bretagna è il “secondo azionista” dopo gli Usa) fece tramontare quell’ambizioso progetto.
Ci vollero altri sette anni perché Bruxelles mettesse a punto un piano più realizzabile, quello dei battlegroup, reggimenti pluriarma e multinazionali costituiti da 1.500 militari e dotati di diverse componenti (fanteria, mezzi corazzati, blindati, artiglieria, antiaerea) e di un supporto logistico in grado di renderli autonomi per alcuni mesi, da inviare in tempi brevissimi nelle aree di crisi.
Però in dieci anni nessuno dei 18 previsti battlegroup è mai stato attivato, un po’ per le riserve espresse dai britannici e soprattutto per l’incapacità della Ue di avere un ruolo nelle crisi internazionali, persino in quelle alle porte di casa. Con il Brexit l’alibi delle reticenze di Londra a dare sostanza alla difesa europea è caduto e infatti da un paio di mesi il tema sembra essere tornato prepotentemente in agenda almeno in Italia, Francia e Germania. Anche per questa ragione era lecito attendersi di più dal vertice trilaterale di Ventotene, rivelatisi più uno show contraddistinto dagli slogan che un summit in cui si sono prese decisioni. Del resto non ci si poteva aspettare di più da un evento che ha previsto prima la conferenza stampa e poi il vertice, a cena, tra Matteo Renzi, François Hollande e Angela Merkel. "Dobbiamo proteggere meglio le frontiere europee e condividere di più le informazioni di intelligence. Vogliamo anche maggior coordinamento, più mezzi e più risorse nel settore della difesa" ha detto Hollande senza entrare nei dettagli. Il summit avrebbe dovuto rivitalizzare il progetto dei battlegroup ma è meglio non nutrire eccessivo ottimismo in proposito. All’Europa non mancano forze militari, neppure quelle congiunte, cioè già da anni addestrate a operare insieme nell’ambito delle diverse brigate multinazionali.
Il problema è invece politico. Quanti Paesi europei sono pronti ad autorizzare l’uso della forza in determinati conflitti? Quanti invece si limiterebbero a schierare forze di supporto ma non di combattimento, oppure truppe con regole d’ingaggio limitate all’autodifesa? E se qualcuno si tirasse indietro all’ultimo momento chi coprirebbe i vuoti lasciati dai suoi reparti? Parlare di crisi alle porte dell’Europa significa riferirsi ai conflitti in Siria, Libia, Ucraina, Iraq: ci sono Paesi Ue pronti a schierare propri soldati in queste guerre? Sembrerebbe di no e del resto le poche “potenze” europee che si muovono in termini militari sui teatri bellici lo fanno autonomamente e in base a interessi nazionali che spesso si contrappongono o quanto meno divergono da quelli degli altri partner della Ue.
Disporre di forze militari efficaci e di pronto impiego sarebbe fondamentale per la Ue ma solo se tutti i partner sono pronti a impiegarle per scoraggiare le minacce (deterrenza) o per contrastarle (guerra). Infatti i risultati concreti sono sconfortanti e minano la credibilità stessa dell’Europa. La fallimentare l’Operazione Sophia (Eunavfor Med), che avrebbe dovuto contrastare i trafficanti di esseri umani in Libia e invece si limita ad arricchirli traghettando in Italia chiunque paghi i criminali, è stata definita da Angela Merkel “un esempio di coordinamento europeo". Del resto lo stesso vertice di Ventotene ha costituito un esempio di come in Italia e in Europa si concepiscano le forze armate e il loro impiego. Un summit del tutto inutile nei contenuti è stato organizzato per motivi di pura immagine mobilitando una portaerei (il cui costo giornaliero è di 365 mila euro secondo le tabelle della Marina risalenti al 2011) e ingenti forze militari e di polizia.
Sulla nave trasformata in ristorante e centro congressi il ponte di volo è stato impiegato per la conferenza stampa e l’hangar come sala stampa per 150 giornalisti. Peraltro imbufaliti per l’assenza di una rete wi-fi efficiente, che ha stranamente funzionato benissimo solo durante la conferenza stampa dei tre leader. Soldi buttati per un evento che si sarebbe potuto tenere in una normale sede istituzionale, specie se si tiene conto che l’intero apparato militare italiano è al collasso. Mancano i soldi per manutenzioni, carburante, addestramento: aerei ed elicotteri volano al minimo, interi reggimenti non svolgono da anni l’addestramento al combattimento e la Marina ha bruciato nelle missioni-taxi per gli immigrati clandestini un numero di ore di moto di molto superiore a quelle che può permettersi in termini di fondi per le manutenzioni.
Del resto la portaerei Garibaldi, e prima di lei l’altra portaerei Cavour, è utilizzata come ammiraglia di una flotta di “traghetti da guerra”, navi da combattimento che non hanno mai sparato un solo colpo nella missione navale Ue, ma in compenso svolgono compiti definiti “umanitari” che potrebbero essere affidati con costi certo inferiori a navi civili. Di questo passo sarà quindi difficile che la Ue possa sviluppare una credibilità militare in grado di incutere, se non timore, quanto meno rispetto.