Una centrale a carbone non è un serial killer
Secondo la Procura di Savona, la centrale a carbone di Vado Ligure è responsabile per la morte di 400 persone in 10 anni, a causa del suo inquinamento. Un altro caso Ilva è in arrivo. Ma da dove escono i dati sulla pericolosità del carbone?
Il fumo uccide, il nucleare uccide, il petrolio uccide, l’Ogm uccide, l’Ilva uccide. E anche il carbone uccide. Nel gran frastuono degli allarmi ecologisti e salutisti contro le materie e le abitudini più pericolosi per l’uomo, il carbone mancava da un pezzo. Eppure, forse non tutti se ne sono interessati, una grande centrale termoelettrica, a Vado Ligure (Savona) alimentata a carbone è considerata una minaccia per l’umanità. L’impianto, di proprietà di Tirreno Power (società controllata da Gaz de France al 50% e da Sorgenia per il 39%), è sotto inchiesta della magistratura per “disastro ambientale”. E il procuratore di Savona, tre giorni fa, ha dichiarato che, negli ultimi 10 anni, abbia provocato circa 400 morti, quasi dieci volte tanto il totale dei caduti italiani in Afghanistan nello stesso periodo di tempo.
La dichiarazione della Procura dà ragione alla lunga campagna ecologista condotta da comitati cittadini, Legambiente e gruppi ecologisti locali contro il grande impianto elettrico. Legambiente, lo scorso settembre, aveva anche condotto un blitz contro la centrale. “Stop al carbone. Una giornata contro la fonte fossile più inquinante”, recitava il comunicato di allora. La polemica risale a molto prima. Da quando, nel 2010, l’allora ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo (governo Berlusconi) aveva autorizzato la costruzione di un nuovo gruppo a carbone da 460 megawatt con emissioni di anidride carbonica aumentate di circa 2,4 milioni di tonnellate l'anno. Da allora in avanti ci si erano scatenati tutti contro: i quotidiani di centro-destra (perché Sorgenia è la società di De Benedetti), la giunta regionale di centro-sinistra, il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando (Pd), più, appunto, il Movimento 5 Stelle, con i suoi comitati locali in azione.
Ora che la centrale è sotto accusa, il primo risultato, in caso di chiusura, sarà quello di bruciare centinaia di migliaia di euro al giorno, in termini di mancati guadagni di Tirreno Power, ancora meno energia per tutte le attività industriali e commerciali che ne hanno bisogno e che investono più del 40% delle loro risorse, in media, solo in costi energetici. Per non parlare dei posti di lavoro a rischio. E dalla mancata diversificazione delle fonti energetiche, nel momento in cui l’Italia dipende ancora al 50% dal gas, di cui il 90% deve essere importato da Nord Africa e Russia in un periodo di “chiari di luna” sia sulla sponda Sud del Mediterraneo che in Ucraina. Ma ne vale la pena?
Innanzitutto non è affatto confermato che la combustione del carbone per la produzione di energia elettrica sia così mortale come sostengono le associazioni ecologiste. Secondo il recente studio della Stazione Sperimentale per il Combustibile, riferito al periodo 1990-2010, risulta che all’aumentare delle centrali termoelettriche, anche quelle a carbone, diminuisce il loro impatto di emissione di polveri sottili, quelle più pericolose per i nostri polmoni. Se nel 1990, le industrie energetiche e di trasformazione emettevano 43 Gg (giga grammi) di Pm2,5 e 45 Gg di Pm10, nel 2010 i due valori erano ridotti, entrambi, a 3 Gg. Complessivamente, nel 2010, l’emissione di polveri sottili da parte delle industrie italiane contribuiva solo all’1,5% del totale. Tutte le altre polveri sottili erano prodotte, invece, da fonti di emissione non industriali (commerciali, agricole, residenziali), industria estrattiva, autoveicoli, uso di solventi, processi produttivi, trattamento dei rifiuti, altri macchinari mobili. E in quei 20 anni la produzione termoelettrica è aumentata del 30%. Il che vuol dire che all’aumentare del numero di centrali, si sono ridotte le emissioni di polveri sottili. E allora è questo l’assassino? O non altri?
Nella stessa area della centrale di Vado Ligure, il carbone bruciato è in competizione con ben altre fonti, in una zona densamente popolata: automobili, riscaldamento di case e impianti, acciaio, raffinazione idrocarburi, cemento, carta, vetro, metalli vari, smaltimento rifiuti, agricoltura. Per non parlare del fumo, attivo e passivo, delle sigarette. È possibile isolare l’impatto delle emissioni da combustione di carbone da tutte le altre fonti, così da misurarne il livello di pericolosità? Stando a quando afferma l’Istituto Superiore della Sanità del governo italiano, non è possibile. Gli studi commissionati da Greenpeace e dall’associazione Somo, sono stati sonoramente bocciati: «Le conclusioni del rapporto Somo “Enel, il carbone costa un morto al giorno” sono ad avviso dell’Istituto prive di significato per quanto attiene la stima dei decessi prematuri attesi». È quanto specificava, nel luglio 2013, il dottor Giuseppe Ruocco, direttore generale del Dipartimento Prevenzione del Ministero. «L’analisi di Somo – prosegue il rapporto - prende in considerazione la metodologia EEA (European Environmental Agency) che, però, per l’organo scientifico del Sistema Sanitario Nazionale non può essere assunta a modello. Questo il parere: “L’EEA costituisce un importante strumento a disposizione dei decisori per comparare i costi attribuibili alle emissioni industriali e sviluppare a livello continentale adeguate politiche ambientali. Tuttavia la numerosità ed entità delle sorgenti di incertezza che caratterizzano il suo approccio e la drasticità delle assunzioni adottate, necessarie per modellizzare i fenomeni che sono alla base del complesso rapporto tra emissioni industriali ed esiti sanitari, ne sconsigliano l’applicazione su singole installazioni e non consentono l’uso dei suoi risultati come valori assoluti». Detto in termini più semplici: il rischio e l’impatto sono calcolati usando il modello sbagliato, adatto a fare previsioni su larga scala, non su singoli impianti e sul loro impatto locale.
Che sia la centrale a carbone di Vado Ligure la causa di 400 morti in 10 anni risulta difficile facendo anche un altro semplice confronto. In Italia le centrali a carbone sono relativamente poche (il 12% sul totale della produzione), rispetto agli altri Paesi europei. In Gran Bretagna, la produzione di termoelettrico da carbone è pari al 38,4% sul totale, la potenza complessiva delle centrali a carbone è 7 volte superiore rispetto a quella dell’Italia, con concentrazioni di potenza installata che, in alcune località, è pari a 15 volte quella di Vado Ligure. Eppure gli inglesi non sono tutti morti.