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EDITORIALE

Una casa per Francesca Ecco il miracolo

Una giovane donna, al primo mese di gravidanza. Si chiama Francesca, attende con trepidazione e gioia la nascita del suo bambino, ma un grosso problema: non ha una casa, un tetto dove ripararsi. Non c'è posto neppure nella famiglia di Giovanni, il padre del suo bambino. Ed ecco che il miracolo avviene: c'è posto nella casa dove ci sono altre ragazze madri.

Editoriali 26_07_2014
Mamma e bambino

Non ero felice questa mattina andando al Centro di Aiuto alla Vita. Le emozioni più strane mi rigiravano nel cuore e, come sempre mi capita in questi casi, analizzavo i miei vissuti, le mie speranze, i miei sentimenti, per vedere di trovarne il senso. La storia di Leila, incontrata ieri con tutta la sua sofferenza, mi faceva sentire avviluppata da una cappa di piombo. Continuamente mi ripetevo che l’ineluttabilità del mistero del dolore, fa parte della condizione umana. Mi consolavo pensando che sarebbero venute al Cav, Ornella e Piera che, sul territorio del Lago Maggiore, vorrebbero istituire, a loro volta, un Cav all’interno dell’ospedale. Così, provando a dare significato alla tristezza, inventando cose importanti per la vita, salgo e mi accingo ad accoglierle.

Arriva prima, invece, una giovane donna, al primo trimestre di gravidanza. «Si accomodi, immagino che sia venuta per un colloquio con noi». Certo è proprio così.  Si trova veramente nei guai, e viene a chiedere di essere aiutata: «Mi chiamo Francesca e ho ventisette anni. Vi conosco già! L’anno scorso ero gravida e voi avevate fatto un progetto di aiuto per me. Purtroppo la mia gravidanza si è interrotta spontaneamente. Il mio bambino è morto al terzo mese di gestazione e senza alcun segnale. Me lo sono portato dentro, così, per una settimana fino a quando sono andata a fare un controllo già fissato in precedenza e mi sono sentita dare la brutta notizia. Ora sono di nuovo incinta ma la mia situazione è davvero grave».

Penso che se non fosse così, non l’avremmo incontrata e, per una volta di più, mi metto in ascolto. «Sono contenta del mio bambino. L’anno scorso ho molto sofferto di averlo perso». Dice tutto ciò con voce quasi allegra. Sembra una ragazzina che si sta inventando un modo nuovo di vivere. «Francesca perché non mi racconta un po’? ». «La mia famiglia è lontana e la mia mamma è morta due anni fa. Avevo un lavoro che è terminato con la fine del contratto a tempo determinato. Non ho più nemmeno una casa. Il posto letto costava, e io non posso più pagare. Mi trovavo bene con quella famiglia»

Ha come un’aria un po’ trasognata mentre racconta tutte queste cose difficili. Mi viene spontaneo chiederle: «E, ora, dove sta?». «Non ci crederà. Vivo, nascosta, nella casa dove una mia amica lavora come badante. La signora è molto anziana e non si accorge di me. Ho paura, però.  Il figlio di questa signora potrebbe arrivare senza telefonare prima e, se mi dovesse trovare, non solo mi manderebbe via ma farei perdere il posto di lavoro alla mia amica. Non voglio proprio metterla nei guai». Evidentemente il suo bambino le regala uno stato di serenità. Non sembra disperata.

Ci sarà bene un padre da qualche parte, mi dico. Così: «Francesca, e il padre del suo bambino?». «Si chiama Giovanni e ha la mia stessa età. Lui, vive con la famiglia e sono tanti. Per me non c’è posto». Faccio velocemente una specie di riepilogo dentro di me: 27 anni, famiglia lontana, senza casa e senza lavoro. Aspetta un bambino di cui è contenta.  É venuta da noi perché conta sul nostro aiuto. Che cosa possiamo mettere in atto per lei? La cosa più urgente mi sembra sicuramente l’ospitalità. Il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli è povero.  Attualmente ha in carico circa quattromila donne gravide o che da poco hanno partorito. Abbiamo fatto tante promesse; ora bisogna mantenerle.

Penso alle case che abbiamo in affitto per fare accoglienza; mi sembrano tutte affollate.  Telefono: «Laura, c’è un posto per una mamma?». É tutto occupato, ma io ho Francesca in strada.  Insisto: «Mi sembra che in Legioni Romane, ci sia un divano in soggiorno.  Potremmo usarlo per questa emergenza». Sento Laura perplessa ma sento anche Francesca che dice: «Anche adesso dormo su un divano. Lì, non avrei paura di essere scoperta». Il nostro progetto comincia a prendere forma: un posto, l’abbiamo trovato. «Ci saranno i lavori da condividere e, poi, bisognerà andare d’accordo con le altre mamme!». «Perché no?! Mi sembra una cosa bella, stare con altre ragazze.  Forse, qualcuna, avrà già avuto il suo bambino. Potrei dare una mano».

Sento che siamo sulla strada giusta e, così, completo il nostro progetto offrendo il nostro percorso consultoriale, la “borsa della spesa”, le “cose per il bambino”. Francesca si è del tutto tranquillizzata e si affida completamente. Ecco sono arrivate Ornella e Piera che stavo aspettando.  Domando a Francesca: «Ci sono le mie amiche che le avevo preannunciato.  Vorrebbero aprire un Cav e credo non si rendano conto fino in fondo di quante cose servano. Tra noi è andato tutto bene, vero? Vogliamo raccontarglielo?».

Eccoci tutte sedute ed è Francesca che racconta. Un clima di simpatia, quasi di amicizia, ci pervade. Le mie amiche, da anni, confezionano golfini, copertine, perfino pigiamini e tutine per i nostri bambini. «Francesca, il corredino te lo prepareremo noi. Attraverso Paola ci farai sapere se stai aspettando un maschio o una femmina, così il tutto sarà personalizzato». C’è un bel sorriso sul viso di tutte noi e l’aria è di festa.