Una app per dare dignità economica ai rifugiati
Per porre rimedio all'inattività e dipendenza totale dei 20 milioni di profughi nel mondo, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati ha creato una app con un sistema di accredito elettronico sicuro e utile per diversi motivi. A cominciare dalla dignità della persona.
Restare vivi, trovare un rifugio sicuro. È la prima necessità oggi di 60 milioni di persone, circa 20 milioni delle quali hanno chiesto e ottenuto protezione oltre i confini dei rispettivi paesi. Poi però quasi tutti, in qualche misura, hanno anche bisogno di aiuto, di assistenza quotidiana, per sopravvivere. Spesso sono in condizioni tali da dover dipendere in tutto – alloggio, cibo, cure mediche, abbigliamento… – perché non hanno mezzi propri di sostentamento e perché lì dove sono stati accolti mancano le opportunità di impiego, non riescono a trovare un lavoro.
In loro aiuto interviene l’Unhcr, acronimo inglese dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, che li assiste in collaborazione con organizzazioni non governative specializzate in aiuti umanitari, altre agenzie Onu e le istituzioni governative dei paesi ospiti. È un compito difficile. Non sempre è possibile offrire ai profughi standard minimi di sicurezza, vivibilità, igiene, decoro. Chi festeggia come un traguardo straordinario, un successo da ripetere, l’arrivo in Italia, grazie all’apertura di corridoi umanitari, di alcune centinaia di rifugiati peraltro già sotto mandato Unhcr, non considera che ogni risorsa finanziaria disponibile, fino all’ultimo centesimo, va piuttosto impegnata per contenere disagi e rischi, migliorare per quanto possibile la vita di tutti i profughi, nessuno escluso.
Ed è una sfida immane. Ci sono condizioni ambientali avverse, inevitabili. In questo momento, ad esempio, in Bangladesh quasi un milione di rifugiati Rohingya vivono sotto la minaccia di inondazioni, frane e smottamenti causati dalle forti precipitazioni. In una corsa contro il tempo, prima dell’inizio della stagione delle piogge, la Caritas ha costruito, con l’aiuto di artigiani locali, 7.540 ripari sicuri e ne ha consolidati altri 5.800, ha realizzato muri di contenimento, barriere fatte di sacchetti di sabbia e ponti di bambù, ha ultimato 2.397 bagni e 2.419 pozzi attrezzati con pompe a energia solare.
Nei campi che ospitano decine e talvolta centinaia di migliaia di persone si pongono altri problemi, di sicurezza e legalità. I profughi vi si organizzano per etnie e clan riproducendo le divisioni e gli antagonismi tradizionali, la popolazione si stratifica, donne e bambini, specie se privi della protezione di un parente adulto, subiscono violenze, umiliazioni, discriminazioni nell’accesso agli aiuti.
Chi deve vigilare affinchè ciò non avvenga non sempre ci riesce e non di rado a sua volta approfitta della propria posizione per abusare dei più deboli e indifesi. Funzionari corrotti pretendono prestazioni sessuali in cambio di cibo e altri generi di prima necessità, denaro per accelerare qualche pratica. L’Ispettorato generale dell’Unhcr nel 2017 ha ricevuto complessivamente quasi 400 denunce di frodi, oltre che di abusi e sfruttamento sessuale, che nella metà dei casi sono risultate fondate. In Sudan, ad esempio, si è scoperto che dei dipendenti Unhcr fanno pagare da 35.000 a 40.000 dollari la riallocazione di una famiglia di rifugiati. In Uganda si indaga da febbraio su casi di corruzione, uso improprio dei fondi e, quel che è peggio, l’esistenza di organizzazioni che praticano la tratta di donne e bambine, destinate alla prostituzione e a matrimoni forzati, e di addetti che fanno pagare ai rifugiati servizi che dovrebbero essere gratuiti.
Inattività e dipendenza totale pongono ulteriori problemi. Se prolungate, demoralizzano, creano insicurezza, depressione, privano di dignità, autostima, rispetto, minano i rapporti famigliari, tra coniugi e tra genitori e figli. La portata del danno, che può essere insanabile, è sempre più evidente e preoccupante.
Per porvi rimedio, dal 2016 l’Unhcr ha introdotto un programma di assistenza che include la corresponsione ai profughi di denaro contante per far sì che possano almeno in parte provvedere direttamente ai propri bisogni e a quelli dei loro famigliari. Nei primi due anni di attuazione l’agenzia Onu ha distribuito 1,2 miliardi di dollari, per lo più con un sistema di accredito elettronico tramite app chiamato Mobile Money. Ne hanno già usufruito 10,5 milioni di persone, in 94 paesi, tra cui Libano, Giordania, Somalia, Sudan, Afghanistan, Bangladesh, Uganda. Attualmente ai destinatari del progetto l’Unhcr fornisce più contanti che aiuti in natura.
È un sistema sicuro, spiegano i funzionari dell’Unhcr, perché i profughi ritirano il denaro man mano che ne hanno bisogno e quindi non circolano con molto contante con il rischio di subire aggressioni e furti. Il sistema favorisce l’economia locale perché i profughi acquistano merci e servizi locali invece di riceverli da enti e organismi che si riforniscono altrove, addirittura importandoli. Ma soprattutto tutela la dignità e aumenta la capacità di resilienza dei profughi, rendendo la loro dipendenza meno opprimente e imbarazzante. Una mamma che, come quanto era a casa, entra in un negozio, acquista per i figli cibo, quaderni e matite, qualche volta un giocattolo o il necessario per cucinare un dolce, invece di mettersi in fila e aspettare il suo turno davanti a un centro di distribuzione dove riceverà beni scelti da altri, non si sente mortificata, inutile, inadeguata. I suoi figli si fidano di lei e hanno meno paura. Un numero crescente di persone inoltre impiega quel che riesce a risparmiare per avviare piccole attività redditizie e il loro esempio stimola altri a fare altrettanto.
Il denaro viene assegnato senza condizioni, i profughi possono scegliere come spenderlo. C’era ovviamente il timore che qualcuno sprecasse il denaro a disposizione. Per ora si è dimostrato infondato.