Un western che apre gli occhi sul Risorgimento
Il mio corpo vi seppellirà, di Giovanni La Pàrola, parla di quattro brigantesse meridionali, diventate tali per disperazione. Il film è un western alla Tarantino ambientato nel 1860 che non fa sconti: mostra le efferatezze commesse dai sudisti, dai Piemontesi e dai latifondisti. Poi la storia (ancora da scrivere) delle tre donne su quel che i «fratelli d’Italia» hanno fatto alle «sorelle meridionali».
Ero molto giovane e col mio gruppo musicale facevamo concerti «a tema» in Toscana. In uno di essi, intitolato «Viaggio in Sicilia», eseguimmo brani, anche d’epoca, che presentavano il Risorgimento come una guerra civile tra Sud e Nord, con le «giacche blu» (i piemontesi) e quelle «grigie» (borbonici e briganti).
L’idea piacque e dovemmo replicarla più volte. Forse in rete si trova ancora la marcetta che composi per l’occasione, La conquista del Sud, il cui titolo riprendeva il saggio di Carlo Alianello che mi aveva aperto gli occhi sul Lato Oscuro del Risorgimento. Con piacere, dunque, a oltre quarant’anni di distanza, ho guardato un film che, per caso, riprende quella mia vecchia idea. Si tratta di Il mio corpo vi seppellirà, di Giovanni La Pàrola. Di solito, quando scorro la lista dei film appena usciti salto a piè pari quelli italiani, perché da quando i marxisti hanno messo gramscianamente le mani sulla cultura, cinema in primis, la noia e il politicamente corretto abbuiano le pellicole, e a spese del contribuente. Ma la prima riga (l’unica che leggo) della presentazione di questo film mi ha intrigato, così ho voluto vederlo. E ho avuto, una volta tanto, una piacevole sorpresa. E’ la storia, tragica, di quattro brigantesse meridionali, diventate tali per disperazione. Ora, i c.d. neoborbonici non si aspettino niente di nuovo. Nemmeno i liberali. Il film non è altro che un western alla Tarantino ambientato nel 1860. E non fa sconti a nessuno: mostra le efferatezze commesse dai sudisti, quelle perpetrate dai Piemontesi, i latifondisti gattopardiani resisi subito conto che col cambio di regime ci avrebbero guadagnato appropriandosi delle terre comuni e affamando i contadini, eccetera. Ce n’è anche per gli inglesi, che nel nostro Sud avevano feudi ed enormi interessi commerciali. L’unica altra attrice di quella tragedia che non compare è la Chiesa, la quale non ebbe solo vittime e martiri ma anche traditori, come il famigerato fra Pantaleo, cappuccino, che seguiva Garibaldi con al fianco due fondine, una per la pistola e l’altra per il crocifisso: finì pubblicamente schiaffeggiato quando, a Napoli, predicò contro Lourdes e - ingrata Patria - morì all’estero in miseria.
No, forse il regista non ha avuto il tempo, in un’ora e mezza, per dire la sua anche sul versante religione. Ma in fondo, ripetiamo, si tratta di un western, e davvero quel frammento storico si presta a fare da sfondo ad avventure di guerriglia, lestofanti e giustizieri. Il più cattivo è un colonnello savoiardo, crudele e paranoico, che nel look ricorda, forse non a caso, Cialdini. Parla con accento fortemente piemontese, mentre gli altri personaggi si esprimono in siculo-pugliese, cosa che conferisce maggiore realismo alla storia. Un ufficiale borbonico, sbandato e alcolizzato, finisce catturato e gli viene proposto di diventare un cattura-briganti per conto dei nuovi padroni. Accetta e, come prova, porta le teste delle sue prede. La scala dell’abiezione è senza fondo, così accetta anche di far fuori un bambino. E la madre di quel bambino si dà alla macchia al solo scopo di vendicarsi. Sulla via dei monti trova altre tre «drude», che come lei hanno dei conti da regolare con quell’inferno che è diventato il Sud dopo l’arrivo dei «liberatori». Divenuta anche lei una belva, sarà l’unica a sopravvivere dopo aver fatto giustizia di tutti i cattivi. Tra parentesi, la storia di quel che i «fratelli d’Italia» hanno fatto alle «sorelle meridionali» è ancora tutta da scrivere. Ed è ancora più atroce se si pensa a qual fosse, nell’Ottocento, il senso del pudore delle donne e la gelosia negli uomini, nel nostro Meridione.